La tua amica banca?

Crisi? Non per le banche


di Gianni Petrosillo - 08/01/2010Gli effetti della crisi economica non sono eguali per tutti e, soprattutto, non lo sono per le banche lequali continuano a godere di una certa impunità e del sostegno della mano pubblica, nonostante chegli indizi di colpevolezza, sin dal principio di questo prolungato periodo d’instabilità finanziaria,abbiano condotto ai loro “sportelli”.Ad ogni modo, le cose non stanno proprio così, del resto abbiamo già esplicitato le ragioni secondocui il crollo sistemico non possa essere sceverato o chiarito solo facendo riferimento alla sfera degliscambi, né, tantomeno, ad elementi psicologici e moralistici come la disonestà degli operatori diborsa, il raggiro bancario, l’avidità dei manager o, ancora, la sconsideratezza delle autorità statali dicontrollo che hanno svolto male (o per niente) il loro compito, anche per carenza di un quadro diriferimento normativo adeguato allo scopo.Dette bestialità sono parte integrante di un piano di mistificazione ideologica che, confondendo ilivelli di comprensione e instillando nell’analisi obiettiva i germi del romanticismo economico,impedisce di individuare le vere origini dello sconquasso finanziario della fase.Sulla stessa lunghezza d’onda, per espressa coerenza, dobbiamo collocare i discorsi enfatici deileader mondiali, i quali si richiamano ad un impegno fattivo e unanime di necessaria revisione dellenorme in materia finanziaria solo per simulare l’esistenza di un precedente impianto di regolazioneche, in realtà, non ha mai avuto evidenza. Difficile, se non impossibile, riformare quel che nonesiste; si tratta di una ennesima sofisticazione semantica che svela bene lo spirito lestofantesco colquale i nostri governanti stanno recitano la parte dei redentori.Tutti questi elementi, chiamati in ballo per rappresentare la scena della crisi mondiale, scaturisconocomunque da cause ben più radicate nel periodo storico che, solo in prima battuta, sonoriconducibili ai meccanismi della sfera economica. L’adozione di parametri teorici meno“epidermici”, come quelli da noi proposti con la teoria degli agenti strategici, ci permetterà dicogliere il senso della svolta epocale innalzato a testimonianza dal default finanziario, il quale, almassimo, traccia i contorni di quella fondamentale transizione dal monocentrismo americano almultipolarismo geopolitico, implicante la ridefinizione degli equilibri strategici tra attori nazionalisul piano globale.Se questo è verosimile occorre allora spostare, con urgenza, la cornice dei problemi, oggi ancoraimpressi su uno sfondo economicistico, sulle altre sfere umane al fine di inquadrarne meglio lagenesi politica e sociale.Stante questa situazione è evidente che le regole del gioco debbano necessariamente saltare, cosìcome debba venir meno la disponibilità dei singoli Stati (a prescindere dal chiacchiericcio querulosull’unità delle prospettive generali) ad adattarsi alle decisioni dell’ex Paese predominante, il qualetenta, tenta sempre, di ricondurre (per ora con risultati assai modesti), i profondi cambiamenti incorso nell’alveo di una visione più congeniale alla sua egemonia.Gli Usa mirano ad imporre i loro interessi particolari rivestendoli di un destino universale mal’appeal verso questo paese, anche da parte dei suoi sempiterni alleati, dipende sempre meno dallasua autorità morale e sempre più dal rischio di una reazione militare: l’America parla diglobalizzazione e di collaborazione tra i governi e poi ricorre al protezionismo per recuperareposizioni di privilegio (come nei confronti della Cina), richiama tutti al rispetto dei principi delmercato e inonda di dollari le sue banche in difficoltà, chiede una politica finanziaria menopredatoria (accusa rivolta ancora una volta alla Cina) e poi si fa dettare l’agenda politica dagli amicida Wall Street. Nel frattempo, giustificandosi col pacifismo obamiano, sanzionato con un nobel allebuone intenzioni, inasprisce i conflitti regionali con l’intento di rallentare l’avanzata di potenze riemergenticome la Russia o emergenti come la stessa Cina. Ed è precisamente su quest’ultimi temiche si deve concentrare la nostra attenzione per cogliere le avversità e le opportunità aperte dalmomento storico.Solo chi è cieco di fronte all’evoluzioni del tempo multipolare può sbalordirsi dello scarto che sigenera costantemente tra intenzioni dei decisori globali, verbosamente orientate alle soluzionicomuni in campo economico, e impossibilità di sintesi tra differenti approcci nazionali, i quali cirisentono, inesorabilmente, del diverso “dosaggio” dei rapporti di forza sullo scacchieresopranazionale.A maggior ragione non dobbiamo inseguire i vaneggiamenti dei soliti esperti che parlano di riprese,ripresine, di exit strategy ed altre scempiaggini di stessa tipologia miranti a convincerci che dalcaos finanziario si verrà fuori grazie alle loro magiche formulette contabilistiche e alla volontàsolidale dei governi. Stiamo attenti a come si muoveranno banche e speculatori perché di riflesso,da tutto ciò che questi otterranno o non otterranno, dedurremo l’inclinazione dei diversi Stati aperseguire una politica di maggiore o minore indipendenza dal vecchio sistema.DAL BLOG DI MARCELLO FOA NE IL GIORNALE ON LINEA fine anno non leggo mai le previsioni economiche per l’anno nuovo. Raramente sono affidabili.Gli esperti pensano di prevedere il futuro guardando esclusivamente nello specchietto retrovisore,come se la strada percorsa fino a quel momento dovesse continuare all’infinito. E questo spiega, tral’altro, perchè quasi nessuno ci azzecchi.Quel che mi ha colpito in questi primi giorni del 2010, dando un’occhiata ai titoli e ascoltandoscampoli di trasmisionni radiofoniche e televisive, è la ripetitività delle analisi. Tutti parlano di“ripresa lenta”, di “exit strategy”. Tutti sono pronti a darci lezioni, soprattutto gli esperti che hannoesaltato il capitalismo finanziario e speculativo anglosassone, presentandolo come la panacea deinostri mali.Oggi quegli stessi signori avvertono che l’Europa è vecchia, che non sa adeguarsi allaglobalizzazione e, con accenti colpevolisti, ammoniscono a “rimettere in ordine i bilanci statali”,come ha fatto ad esempio il vicesegretario dell’Ocse, l’italiano Pier Carlo Padoan, in una recenteintervista, secondo cui “sarà necessario aumentare le tasse per riequilibrare i conti”.Notate l’ipocrisia: questa crisi non è stata provocata da forsennate spese dei singoli Stati, ma dallanecessità di coprire le voragini provocate dalle banche. Missione compiuta, dicono gli esperti. Ilsistema è salvo.Ma nessuno, né l’Ocse, né il Fmi, né la Banca mondiale accenna a quella che dovrebbe essere unaregola di buon senso. Se il sistema è davvero salvo, a pagarne i costi dovrebbe essere innanzituttochi ha provocato il dissesto, dunque certe ben note banche di Wall Street, che operano in tutto ilmondo.E invece tutto è tornato come prima; anzi peggio di prima, come dimostrano i bonus da 140 miliardidi dollari elargiti quest’anno proprio da quelle banche. Il vero potere è rimasto nelle loro mani, anziè persino aumentato, perché ora hanno la certezza che qualunque errore commettano, gli Stati nonle lasceranno fallire.L’importante è che l’opinione pubblica non se ne avveda. Chi bada più a loro? Nessuno: dobbiamogioire per la ripresina ed essere pazienti, mettendo mano al portafoglio. Ce lo dicono i soliti guru. Cihanno mazziato e ora ci distraggono. Ammansiti a dovere.O sbaglio?ilsole24ore NEW YORK – Non è stato un regalo gradito quello che ha ricevuto Goldman Sachs dalNew York Times il giorno di Natale: il quotidiano ha rivelato retroscena inediti dell’operazioneBaucus, ideata già alla fine del 2006 da Jonathan Egol un giovane di 39 anni considerato un astronascente dell’istituto. L’idea: impacchettare in strumenti “sicuri”, mutui immobiliari sempre piùrischiosi, subprime inclusi, per poi venderli ai clienti. Chi comprava fidandosi del marchio Goldmannon sapeva che la Banca, oltre a scaricare un rischio, stava già scommettendo contro lo stessostrumento, contribuendo alla caduta del mercato. Più gradito il regalo del Financial Times, che hainvece nominato Lloyd Blankfein, il numero uno di Goldman, uomo dell’anno 2009. Una nominatuttavia sospetta vista la vicinanza dei vertici dell’Ft a quelli di Goldman e visto che la stessaGoldman considerò tempo fa di acquistare il giornale.La vicenda del “doppio gioco” sui CDO (Collaterized Debt Obligations) di Goldman era nota e neabbiamo scritto ampiamente su queste pagine. Ma non c’erano ancora i nomi o i dettagli. Secondo ilTimes altri facevano la stessa cosa, Morgan Stanley o fondi come Tricadia, che faceva capo a LewisSachs, che svolge oggi consigliere speciale del segretario al Tesoro Tim Geithner. Goldman però fula più aggressiva nella vendita, e, soprattutto, nello scommettere contro i suoi strumenti. Altri, adesempio il fondo di J.Paulson scommettevano su una caduta del mercato immobiliare in modoaggressivo, ma non contro i propri clienti. Una differenza etica e di “trasparenza” non da poco. Eper Goldman, già nell’occhio del ciclone per aver accumulato profitti ingenti grazie a operazione ditrading favorite dagli aiuti dello stato e per aver stanziato miliardi di dollari da distribuire in bonusai banchieri, si apre un nuovo fronte nella sua crisi di immagine.