Racconti Italiani

RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - POEMI ITALIANI MODERNI - MARCELLO MOSCHEN - SCRITTORE, POETA ED ARTISTA MODERNO - CONTEMPORANEO


Da Le feste di una cittàII, 5Tu sai che anche questo può darsi:il desiderio di andare a ritrosolungo il pendio di certe visionigiovanili, ora dissepolte,martoriate dal vento che spostale scarne melodie da questo angoloe le trasforma in cantilene, risortedi recente, in un'esaltazioneche distingue l'aria dalla gente.1959III, 2L'angelo taciturno del meriggioentra nella locanda, contieneIn un'occhiata la luce salientedalle stalle polverose, dai pagliai,squallide insegne del suo ricorsoda un ieri lacunoso e profondo.Di quale carità stai parlandonon sappiamo, né chi regge la musicache incrina la tua dolce volontàdimostrata in questo scorcio di vita.Ma tu sei parte di questa armoniaselvatica, sospiri alla nube di fumoche grava sulla chiassosa penisola.1959 Da Gli sproni ardentiViaggio sentimentaleDi tante primavere vagabonde si acuminal'arcata disperata dell'estatee viscida ne spiove, sdrucciola una correnteche segna il cuore di scorsa ricchezza.Una poesia d'amoreper una serpe una strega una spiga,vi riversi un acume indifferente,un lume diffidente – il timore è di un viaggiolungo inerti olivetie che domani raderà le agavi,toccando punti morti insinuando lucidove non fiume non lago o torrenterisplenda ma una sporca gora grondiconfortando gli armenti – ecco la tuacampagna, il tuo viaggio con le anatre.1961 Da Corpo e cosmoRedibis"Vedi che non incresce a me, e ardo!"Pratica facilmente le paretidel sogno, a intervalli, cancellandoil limite fra vita ed oltrevita,l'amico forte di certi momenti,per dire e per sentirsi dire la verità,anche se lui la sua l'ha nutrita altrimentida quella che gli posso riportaredi qui, di noi, replicata speranzache ci ritorni.E infatti di un recuperodi vita, che non è la nostra (e cercodi capirne il perché, se nella nostralingua si esprime quietamente), suonail suo racconto, illumina le cave della memoria,vi fa giorno, più che giorno –-"Io c'ero:non guidavo, mi facevo guidaredalla sorte, nulla potevo; gli occhi,ultima forza a spengersi, conobberotutto il rogo di vanità compiutosenza pena. Si dice che fui morto,certo, ma vedi che non mi sottraggoal tuo sguardo e ti parlocon la voce di sempre.Uno che sopraggiunseAl punto delle nebbie estreme spinseun foglio contro il mio viso: non arsela carta, fu l'ardore ad asciugarsi,e le fattezze premute risposeroun arco di carbone sulla pagina.Di qui, naturalmente,crebbe la rada veronica, preseun secondo incarnato, riebbe cigliae capelli come un albero fronde,vide, si mosse in una ritrovataproporzione dei sensi. Poi, la voce.Se tornoè per rassicurarti: né segreto né incubo.Sul passo, tutto scorse con la docilitàdel pendio che vedesti qualche ora più tardi.Lì avevo ormai disfatto le mie inutili scorte:polvere, triturata ombra, – stringendominel nucleo di chiarore dal quale mi riconosci".1967