Racconti Italiani

RACCONTI ITALIANI ONLINE - RIO - MARCELLO MOSCHEN


Da <Grazie>(Guanda, Milano, 1988. La traduzione è di Jean Baptiste Para)Di tutte le partenze, una resta impigliata nell'animae tu non sai se sia un volo dell'acquao un'alga che ti afferriper stringerti la gola sulla nebbiacon una grazia feroce e inevitabile, comeun gatto che giocando t'impedisca di scriverestrappi via la pennafaccia a brandelli la cartane porti un pezzo lontano tra le labbraper costruirne un topo simulatouna caccia sognata, un gioco preciso e ribelleuna giro più lungo tra la tua mente e le maniprofonde nelle tasche in questo mattino di trenifischi, vapori, officine faustianeQuesta stazione non assomiglia più a nullaforse è un dedalo di tracce cancellateun terminale per gite oziosea leggere un libro e dormire cullati dal trenoin viaggio turistico verso il passato prossimocome un bistrot funereo, magari sepolcraleun bar di cera, un museo...E tra le statue, le ruote, i chioschi di giornalisi fanno strada ombre, dagherrotipi, vecchie pitturecarte di caramelle, pacchetti vuotiriviste scolorite con donne grasse e spogliatepreservativi, dischi, aranciate amaretutto un armamentario crepuscolaree gli anni, ricordi uccisi dalla fotografia,risucchiati urlando dalla vecchiaia e dalla morte:e questa partenza non è così perdutala sua immagine è più che un residuo, un fiato d'allusioneuna metafora mentale, la tua impercettibilecorrezione del tempo, come quando s'aprononuvole in cielo, e splende spaventatalei, la buona madre dei ladri, pura e mutaMa un diavolo, un simulacro di Minosseorribilmente ringhia dai megafoni sulle pensilinenello scompartimento che puzza di fumosul velluto bruttatoda pensieri annoiati, indifferenti e automi...Lei non ha spessore, calore, fuoco d'animadice, è come la nebbia che s'apprende ai vetridel finestrino, lei è come l'invernoè arrivata tardi, ha perduto la stradaquando ha bussato alla porta il camino era spentoil gatto morto, qualche moscone impazzava per l'ariacon messaggi incompiuti, indecifrabili, infedeliSui muri c'era polvere, polvere sugli specchisul volto di Ermes ridotto a una piccola scimmia seccaun lare stecchito e sgretolato: ronzano i treniscivolano via in questo mattino di buio,so che non fuggirò, sei come Draculacome lui, che il vantaggio ha del non natoe del non morto, porta i segno d'un bilico infinitoe dall'inganno suo vita riceve,tu non hai anima, non l'hai mai avutanei tuoi occhi non si infrange il riflessoil lampo della sera sulla portail ritorno di ciò che arde lontanoindifferente, melanconico, alto sui montie inaccessibile, la lunaQuesto silenzio non è più abitatoda muti fruscii di passi, da segreteanse del tempo, come se ad un trattosenza motivo schiudessero le valved'una conchiglia fossile, e splendessenella roccia l'ardore del cristalloQuesto silenzio è ora pieno d'oggetticitazioni, reperti, tutti i regesti dell'avventuramonti e mari solcati come quando un sognodura oltre il risveglio, e non si tacel'eco d'un gesto prolungato ad arte, il suo bramito Celtis AustralisForse non ci sono che gli alberiper stagliarsi contro il vetro del cieloe non vederee non conoscere filigrana o veloe opacamente, duramente, semplicemente vibrarenella forza che sale e, come fa, ritornanel curioso entusiasmo della seraNon corrono sull'ondache viene e va, non ha riva e non sa restarenon cavalcano un soffionon hanno che un destino, il ritornoil silenzio che non aborronoForse soltanto gli alberi sono sapientisanno bruciare al fuoco del loro fuocoE tu, nel cui nome vibra l'orma d'un ventoil fiato d'un desertoche hai respirato le città, i viali, l'asfaltola polvere selvaggia di primaveraperché sai come crescere dalle pietraiee dalla nebbia, albero poverovegetale straccione, bagolaro t'han detto, spaccasassiposso pensarti forzato o galeottolavorar di radici nella cavainstancabile prete deriso e rientealbero protomartire d'una religionedimenticata, assente, irrilevanteinesistente, che sa essere niente TitanicStanca di tristi tropicitroppa pace nel marelenta l'onda camminalenta come il LeteStanca le tue preteseinquieta, insopportabilelenta mi corre l'animalento si spegne un secoloStanca con le lungagginidelle richieste facilise hai miserie, tienilechiuse dentro di te come uno scrignoE se non hai niente da direniente da fare, se come sei zittastancalo, il tuo silenziosvuotalo, lascialo spegnere(L'acqua s'apre a voraginela nave brilla al fulmine) AlberichUno gnomo maligno ci potrebbe aiutaregettando forse una manciata di fumoevocando la nebbia, lasciando andarecome un volo di anatre lontanelontano uno stormo d'anime, di impronunciatevoglie di distruzione, vomito, carneficinafare un fuoco di sterpi e poi ruggirequieti sopra le pentole, in cucinaAvarizia, cupidigia e gracile lussuriaannunciavano il drago e la sua furianessuno di noi tentò di mettersi a mezzoa causa di ciò, credo, lasciammo un pezzodi psiche, una frattaglia di desolato cuoree qualche avanzo di cibo prima di fuggirecosì ognuno per sé, col suo valorecostruì un castello, mise un nano di guardia:se un demiurgo malvagio di ha ingannatosarà un gatto la tua consolazionesarà scintilla, messaggero, ragioneUno gnomo maligno ci poteva aiutareforse era un topo, angelo del focolare VerbaleInterrogato, risposeche sfumavano eguali in un unico morenteabbraccio, un brillio distrattodi voci, visi, di struggentiinestimabili momenti irrilevantiNon se ne fece vantoentrò nel castello sull'onda di un lamentodimenticò quelle figlie del reno in grave luttosedette a tavola senza la reginacelebrò un addio collettivo, un casto banchettonon volle conoscere lo chef di cucina Da <Una regina tenera e stupenda>(Milano, Società di poesia-Guanda, 1980) I.Una regina tenera e stupendarestituisce la neve delle oreal tiepido fiore del tempo, al rullodel suo rumore acerboPrincipessa dei piccoli passisono fitte radici senza scoglioe il loro bosco, uno strano sentierodiscende – vuole perdersi – sotto l'erba(Il varco verso l'altro paesesi sposta piano, piano sembra vero) II.E' ingenua stasera lei o la sua morteha voglia di sorridere, ripetela sua felicità come uno spillo(E' l'Arca di Noé, un pianetadi colli di giraffe, il loro fiato) III.Straccia la marmellata dell'amoreche trasforma il pensiero in zampe e alitocca fra bacio e parola il filoche separa le ciglia dalla storiadal corpo nero di un rfiuto attesoE' lei, la regina aquilala gallinasupera i monti col suo passo zopponon ha pietà di sé, è ancoraibernata in un sogno di neve Da: <Su, per i meandri del sonno> I.Su, per i meandri del sonno:la fitta colombaia, i rotti ormeggiil tempo di partire, veles'alzano nel risveglio, il finto sonnoe i passeggeri? <Oh, loro non si salveranno> II.Il passeggero di Lenin aveva fretta:guardo i loro ritorni, i loro scudiun lento sferragliare, e i treni al marecorrono senza tuono, voraci III.Il fiume degli anni dolcemente la perse:sale nel sale del cielonon c'è scoglio al cuscinoapre le mani e pianole rive non la lasciano, tra i baci