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UN BUCO NEL CIELO - CAP. I

Post n°1348 pubblicato il 04 Luglio 2012 da non.sono.io

Leonora aprì gli occhi di colpo ma ci mise un po’ a capire dove si trovasse. Il primo pensiero fu: “sono viva”, ma non si mosse. Si guardò intorno ancora incerta, e con le mani tastò vicino il suo corpo per cercare indizi. La mano destra toccò qualcosa di morbido, e capì che era il suo letto. La sinistra invece sfiorò una cosa fredda e sudaticcia. Era la gamba di un uomo. Allora si voltò ad osservare. Una persona giaceva al suo fianco russando. Non aveva idea chi fosse quell’uomo che dormiva sul suo letto a bocca aperta. Provò a concentrarsi, ma un velo opaco e pesante le impediva di pensare senza provare delle forti fitte alla tempia. Poi mano mano quella nebbia inizò lentamente a diradarsi e qualche ricordo iniziò a farsi largo tra i ronzii che le tormentavano la testa. “La festa di Chiara”, fu il primo suggerimento che gli giunse. Alzò un poco lo sguardo per dare un’occhiata in giro. La sua stanza era piena di vestiti sparsi un po’ ovunque. I suoi slip giacevano scomposti su una sedia, un paio di jeans che sicuramente non gli appartenevano stavano mezzo arrotolati accanto alla porta, e poi una maglietta un poco più là, però era buio e non distinse bene il resto della scena. Si mise seduta aiutandosi con i gomiti e osservò meglio quell’estraneo che ancora riposava rumorosamente. Niente, non si ricordava proprio nulla di come fosse arrivato lì sul suo letto.
Aveva le fauci secche, così con notevole sforzo si rizzò in piedi traballando e scalza si diresse verso il bagno dove bevve dal lavandino. Si lavò il viso, poi le forze per un attimo l’abbandonarono e dovette aggrapparsi al lavabo per non cadere. “Ma quanto ho bevuto ieri?”, si chiese nel silenzio della casa. Naturalmente a quella domanda non seppe rispondere. Era come se un pezzo della sua vita fosse sfuggito alla registrazione naturale che il cervello compie degli atti che compiamo, come se qualcosa avesse strappato la pagina dove era stata scritta la cronaca della notte appena trascorsa. Più provava a concentrarsi, più si scopriva a cercare di mettere a fuoco un baratro vuoto e profondissimo. Gli venne di nuovo sede, e si chinò ancora a bere direttamente dal rubinetto. Poi tornò nella sua stanza.
Quell’uomo sembrava più grande di lei. Aveva i capelli ricci brizzolati e una barba incolta anch’essa striata di grigio. Quei tratti non gli ricordavano niente. Proprio non sapeva come e quando l’aveva conosciuto. Rimase indecisa qualche istante su quello che doveva fare, poi pensò che prima di tutto era meglio cercare di rimettersi in sesto e scese al piano di sotto dove c’era la cucina. A stento riuscì a trovare la caffettiera dove pose una dose di caffè e dell’acqua. L’appoggiò sulla macchina del gas ma si scordò di accenderla e si gettò a peso morto su una sedia. La casa era completamente oscura. Passò qualche minuto prima che ebbe la forza sufficiente di riprendersi dalla fatica di essersi trascinata fino in cucina. All’improvviso, come colpita da un fulmine, si rimise in piedi e si avvicinò alla finestra aprendola. Era giorno. Dalla luce doveva essere circa mezzogiorno o primo pomeriggio. Un’aria afosa si intrufolò subito dentro la cucina non facendo altro che aumentare la sua sete. Serrò gli occhi per abituarsi alla luminosità eccessiva di quella giornata e poi ancora un po’ intontita osservò il cielo orfano di qualsiasi nuvola. Guardava ma in verità la sua mente non assimilò subito il paesaggio. Quando finalmente riuscì a concentrarsi abbastanza per permettere alle informazioni di giungergli al cervello, notò subito una cosa strana. In alto nel cielo terso di quel pomeriggio qualunque di un’estate qualunque, sopra i palazzi che lambivano l’azzurro, sembrava galleggiasse una cosa immensa e nera, anche se Leonora non percepì subito cosa fosse. Al principio, con i sensi ancora spossati dall’alcool, credette di vedere un dirigibile volare flaccido sopra la città. Ma era troppo vicino e troppo grande per essere un qualsiasi oggetto volante conosciuto. Si sporse dalla finestra con tutto il busto stando attenta a non mostrare i seni nudi ai passanti e strinse gli occhi per cercare di mettere a fuoco. Quella cosa sembrava un buco, un buco enorme, perfettamente circolare.
Si portò una mano in fronte come per controllare di stare bene. Girò la testa e la scosse violentemente, si diresse verso il lavandino, bevve ancora dal rubinetto e si riportò a guardare fuori la finestra. Non si era sbagliata: il cielo era bucato. Leonora si spaventò. Fece qualche passo allontanandosi dal davanzale, ma inciampò sul tavolo urtando un dito del piede contro la gamba di una sedia. Il dolore gli fece di colpo riattivare tutti i sensi, tutti insieme. Non stava sognando, ora poteva capirlo anche da sola. L’ubriacatura non c’entrava nulla, era chiaro: anche da quella distanza poteva ammirare una gigantesca macchia scura stagliarsi nitida nell’azzurro di quel cielo estivo. Solo che non era una macchia, era un buco.
Un buco nel cielo. 

 
Rispondi al commento:
EasyTouch
EasyTouch il 04/07/12 alle 15:56 via WEB
E scusa quando hanno sacrificato Cristo non hanno crocifisso anche degli atomi?
 
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