Vento notturno

Ripudiare l'Ego (risposta ad un'amica preoccupata per il suo Io...)


 
  Mi rendo conto che, in tempi come questi, in cui si verifica un innalzamento dell’Ego al di sopra di qualsiasi altro valore, con tutto ciò che questo comporta (egocentrismo ed egoismo sono concetti troppo vicini per poterli distinguere chiaramente), parlare di abbandono dell’Ego possa apparire quantomeno paradossale. Ma ritengo sia proprio questo, invece, il momento giusto per iniziare a parlarne, proprio perché ormai la gente sta perdendo completamente il senso di una qualunque possibile alternativa a questa mentalità imperante.         Bisogna iniziare, con pazienza ma con decisione, a far capire, prima di tutto a chi ci sembra maggiormente disposto ad ascoltare, che l’autoaffermazione dell’Ego è uno dei mali peggiori con cui ci troviamo a fare i conti in questo periodo storico nella nostra cosiddetta civiltà occidentale.          Bisogna far capire a questi volenterosi, innanzitutto, che il loro stesso predisporsi all’ascolto delle nostre parole altro non è che una momentanea messa tra parentesi del loro Ego. Ascoltare significa accettare l’Altro dentro di sé. Ma se c’è difesa ad oltranza del proprio Ego, non vi può essere reale disposizione all’ascolto, in quanto questo comporterebbe l’accettazione del rischio di poter anche essere modificati da ciò che si ascolta. L’accettazione del rischio di cambiare. E se c’è difesa del proprio Ego, c’è chiusura ad ogni cambiamento. Perché laddove c’è autoaffermatività dell’Ego c’è già, implicitamente, una contrapposizione in atto con un Tu ostile, e non vi può essere quindi alcun reale atteggiamento di ascolto. Perché in ogni atteggiamento proteso alla costruzione del proprio Ego, l’Altro può essere visto solo come limite, come ostacolo, come fastidio, come disturbo. Al contrario, in ogni autentico atteggiamento di ascolto si dà il coraggio di un’apertura, che altro non è che un abbandono delle proprie difese, un mettersi in gioco, un affidarsi all’altro, che risulterebbero inconcepibili nell’ottica dell’autodifesa dell’Ego. Questo accettare di aprirsi, questo affidarsi, questo porsi nelle mani dell’altro è strettamente legato a valori fondamentali della vita di ogni essere spirituale, prima che di ogni buon cristiano, quali l’amore, l’umiltà, la fede.         L’elemento essenziale che accomuna l’amore alla fede è infatti quel donare se stessi che è l’esatta antitesi della coltivazione dell’Ego. Chi si considera molto importante, e attribuisce quindi alla propria persona un ben preciso valore, prima di donarsi vorrà sicuramente sapere se varrà la pena di spendere se stesso per qualcuno o qualcosa, che poi, fatalmente, non verranno mai considerati tanto importanti da richiedere una tale, così ingente donazione. Al contrario, la persona umile, che, per definizione, non attribuisce mai troppa importanza a se stessa, sarà lieta di dare il suo tempo, il suo impegno, le sue energie, per aiutare qualcun altro, o in qualunque altra occasione in cui venga richiesto il suo aiuto.          Tutti questi aspetti sono strettamente legati. L’“Io aperto”, che tu auspichi, è in realtà un “non-Io”, perché l’Io è chiusura, individuazione, delimitazione, contrapposizione all’Altro. Se non c’è un Tu non può esistere un Io, e se c’è apertura all’altro non c’è un Io né un Tu, ma solo un Noi. Come ho intenzione di spiegare approfonditamente nel mio prossimo tentativo letterario, la vita è relazione, e l’unico modo per essere e sentirsi veramente vivi consiste nell’identificarsi non con questo strano oggetto, statico e morto, utile solo ai nostri altrettanto morti e rigidi schemi mentali, che chiamiamo Io, bensì proprio con la nostra capacità di relazione e di scambio, di comunicazione con gli altri, con l’ambiente in cui ci muoviamo, parliamo, ascoltiamo, amiamo. Ognuno di noi è soltanto un nodo di relazioni. Tutto questo si può esprimere in altre parole, dicendo che la nostra vita sarà tanto più ricca quanto più saremo in grado di abbandonare l’Io a favore del Noi.         Tu dici: “Abbiamo bisogno di un Io… che ci renda unici davanti alla vita… Immaginare gli uomini senza un Io sarebbe come vederli tutti uguali, senza bagaglio, senza sogni, senza…”. Ma mia cara, come fai a non vedere che intorno a te c’è già un mondo pieno di strani esseri (non chiamiamoli uomini, per carità!) davvero tutti uguali, davvero senza sogni, senza speranze, senza valori, senza dignità! Esseri totalmente incapaci di ascoltare, in quanto totalmente disinteressati a ciò che un altro può avere da dire, esseri incapaci di concepire e di emettere alcuna frase che non inizi con la parola “Io”. Il guaio è che la nostra dignità di uomini ce l’abbiamo tutti, ma non ci è data se non in potenza: sta a noi scoprirla, faticare per costruirla e renderla forte e salda. Ma questo si può ottenere solo con gli strumenti di cui ti ho appena parlato: amore, umiltà e fede. Non certo con il diffusissimo culto dell’Ego, che rappresenta l’esatto contrario di questi valori, e che anzi è la precisa causa dello stato di cose di cui sopra! Non è un mistero che le persone veramente “grandi” sono normalmente molto umili e disponibili, mentre, dal punto di vista umano, le persone che si danno una grande importanza si rivelano spesso, al contrario, piccole piccole. La nostra unicità di esseri umani non è già data, ma si costruisce, grazie a un serio e duro lavoro di ricerca spirituale. Senza questa fatica, siamo tutti uguali, maschere senza volto, burattini senz’anima. Ma l’atteggiamento di autentica ricerca interiore presuppone la consapevolezza di una carenza, di una mancanza. Chi sente di possedere, non cerca ulteriormente, se non per avidità. Quindi la vera ricerca presuppone l’umiltà, il sapere di non essere qualcosa di già dato, bensì soltanto un progetto. E chi umilmente cerca in se stesso, umilmente riconoscerà di avere bisogno di aiuto, e umilmente si rivolgerà, quindi, al di fuori di sé, verso l’altro. E quest’apertura, consentita proprio dall’umiltà, cioè dalla svalutazione consapevole di ogni forma di importanza data a noi stessi, sarà il primo passo verso quella disposizione alla relazione con l’altro, alla comunicazione, allo scambio, che è alla base di tutte le varie forme dell’amore.          Se poi quest’apertura, derivante dalla percezione del nostro limite, della nostra insufficienza, del nostro essere finiti, mortali, peccatori, diventa relazione con il mistero del divino, allora questa stessa apertura potrà a buon titolo essere chiamata fede.