Vento notturno

Il linguaggio dell'anima


  
  Prima di figliare, il tempo riposava in seno all’Essere, come pura idea. Entrò allora un potere senza pace, l’Anima,  vogliosa di trasferire in un diverso la visione suprema. Essa non era paga che la totalità del mondo ideale le fosse presente in blocco e in eternità, ma voleva poterla vedere a frammenti e a successioni: così ella pose nel tempo se stessa e impose alla creatura del mondo di servire il tempo in cui l’aveva immersa.(Plotino, Enneadi, III, 7, 11)  Con l’anima, dunque, cessa l’immobilità dell’essere, per quel divenire temporale che gli atti creativi scandiscono senza calcolo e riflessione alcuna. La creazione, dice Plotino, “non è intelligente”, non conosce nessi logici e con-seguenze “perché è prima di ogni nesso e di ogni conseguenza”, perciò scorre senza fatica e con esuberanza, al di fuori di ogni calcolo, in nulla simile ai geometri che disegnano i loro piani, perché “io non faccio figure di sorta, ma contemplo; e le linee dei corpi si disegnano come se cadessero da me”.Estranea all’immobilità del concetto, per la quale le cose sono date nel loro significato una volta per sempre, “l’anima non è mai vecchia per le cose, così come le cose non sono mai vecchie per l’anima”. Ma per questo è necessario che le cose trasgrediscano le loro definizioni e si offrano come irradiazioni di immagini rinvianti a quel futuro che non è tanto il tempo che ancora ci attende, quanto quell’ulteriorità di senso che anche le più comuni esperienze non cessano di diffondere; per questo con l’anima “andiamo con stupore di fronte all’inconsueto, senza cessare di stupirci anche delle nostre esperienze già note”.Le esperienze dell’anima, infatti, sfuggono a qualsiasi tentativo di fissarle e disporle in successione ordinata, perché, al di là di ogni progetto razionale, l’anima sente che la totalità è sfuggente, che il non-senso contamina il senso, che il possibile eccede sul reale, e che ogni progetto che tenta la comprensione e l’abbraccio totale è follia. Nel riconoscimento di questa follia è la libertà dell’anima e la sua possibilità più propria.Amica del “demone maligno” che insidia il cogito cartesiano, l’anima fa resistenza a ogni razionalizzazione, perciò in Occidente è straniera. Il Dio che essa conosce non è il Dio che è uscito da un cogito a garanzia delle idee della ragione, ma è un Dio che non ci protegge dalla follia, e perciò consente di recuperare la sorgente a partire dalla quale ragione e follia hanno la possibilità di determinarsi e di dirsi. Questa sorgente è il simbolo, che, nel suo sorgere ambi-valente, è linguaggio dell’anima. U. Galimberti, La terra senza il male (adattato).