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« Capitolo 3 - Intermezzo

Capitolo 3 - Parte seconda

Post n°9 pubblicato il 07 Febbraio 2014 da rasdgl1

Arrivo nel parcheggio della palestra, non c'è nessuno menomale! oggi fa pure caldissimo!. Parcheggio e spengo la radio. Prendo il borsone ed entro. Con mio stupore Mark non è al suo posto, striscio il badge e mi dirigo verso gli spogliatoi, mentre cammino lo vedo in sala pesi che si allena: ecco perchè non c'era all'ingresso, ne approfitta quando c'è poca gente e fa bene!. Indossa una maglietta nera smanicata, leggermente attillata, pantaloncini corti verde smeraldo di quelli larghi, da basket.

Cavoli! Per un secondo lo fisso, non mi ero accorta di quanto fosse muscoloso, in genere porta sempre magliette larghe che nascondono il fisico, non si può dire che sia uno di quei tipi vanesii, poterei quasi diventargli amica. Vado a cambiarmi veloce e salgo sul tapis roulant, corro per un'ora e sfogo tutta la mia frustrazione. Quando scendo sono sfinita ma mi sento molto meglio. Arrivano due tipi ad allenarsi, io entro in sala pesi ed eseguo la mia scheda, sempre con il mio mp3.

Io ed Mark ci ritroviamo a fare gli addominali vicini e parliamo un po'. Lui è un ex atleta, ha trent'anni ed ha dovuto lasciare l'agonismo in seguito ad un brutto infortunio, gli piace allenare le squadre giovanili però, lo soddisfa e lo fa sentire utile, o almeno così dice. Come al solito sono bravissima nel far parlare le persone, ma di me rivelo poco o niente, solo del lavoro e poi, arriva la fatidica domanda: " sei fidanzata?". Io mi chiedo: ma a te che cavolo te ne importa?. Comunque, mento spudoratamente dicendo di essere felicemente fidanzata da cinque anni. Bene la risposta non sembra turbarlo, dunque non era un modo per sondare il terreno ma semplice curiosità, questo mi piace un po' di più.

La palestra inizia a riempirsi, perciò finisco il mio allenamento e vado a farmi la doccia. Nella mente continuano a risuonare le parole di una canzone che ho nell'mp3, Possession di Sarah McLachlan. «Take your breathe away ... and close your eyes dear...» non so neanche come ma inizio a cantare sotto la doccia, per fortuna non c'è nessuno, continuo anche dopo, mentre mi vesto e mi asciugo i capelli. Mi trucco, ne ho bisogno , anche se le occhiaie sono un pò meno evidenti rispetto a stamattina. La gonna del tailleur blu mi sta un po' larga, devo essere dimagrita. La camicetta di pizzo bianca fa risaltare l'abbronzatura e le mie forme; i tacchi mi slanciano, vedo riflessa la mia figura allo specchio e non corrisponde a ciò che sono all'interno, come è possibile?, esternamente sembro giovane, bella, spensierata, ma dentro ho l'inferno, mi sento una vecchietta decrepita in attesa di spirare: attendo pazientemente giorno per giorno che arrivi la mia fine.

Prendo il borsone, ancora canticchio, più nella mia mente a dir la verità, forse per distrarmi da quei pensieri funesti. Apro la porta dello spogliatoio ed esco: con la coda dell'occhio vedo che sta uscendo qualcuno anche dallo spogliatoio degli uomini li a fianco, gli passo davanti senza far caso a chi cammina silenziosamente dietro di me. All'ingresso saluto Mark e gli auguro di trascorrere un buon week end e gli faccio un in bocca al lupo per la partita che le sue ragazze giocheranno domenica, lui mi sorride e mi ringrazia. Scendo le scale e vado verso la macchina, apro il bagagliaio per posare il borsone e noto a malapena qualcuno che scende le scale e va verso la sua auto. Chiudo il bagagliaio della mia auto e mi volto per andare verso la portiera quando rimango impietrita, un ragazzo è davanti a me che mi guarda, occhi negli occhi.

Mi sembra di averlo gia visto, si, deve essere il ragazzo che era in palestra tre giorni fa! Quando guardavo attraverso la parete a specchio, lui era quello sul tapis roulant. Ups, sto continuando a guardarlo, poi lui mi saluta: « Ciao! » in tono caldo, mellifluo ed un sorriso travolgente. Mi sento soffocare, lo saluto frettolosamente e salgo di corsa in macchina. Non mi sono mai sentita così a disagio in vita mia! Beh, più o meno, si fa per dire. Mi ha infastidita questo incontro, meglio che vada a lavoro, è tardi.

 Sto rintanata in ufficio tutto il pomeriggio, al contrario di stamattina, oggi è un via vai continuo di gente e di appuntamenti tanto che sono le otto emmezza e io sono ancora qui a scivere relazioni. Ora però esco, cavoli è venerdì sera anche per me!. Di solito la gente normale alle quattro già scappa dagli uffici, chissà perchè, me lo sono sempre chiesta, che avranno da fare tutti al venerdì pomeriggio!?!.

Prendo la mia borsa e vado in bagno a cambiarmi: infilo un paio di jeans attillati color dirty danim, una maglietta scollata color verde chiaro acceso, tipo evidenziatore, scarpe color cognac con tacco 12 dello stesso colore del giubino di pelle. Prendo le mie cose dall'ufficio ed esco, cammino verso il parcheggio, la mia macchina è sola soletta ormai da un pò, questa non è una zona residenziale. Attraverso la città dirigendomi verso il "Moonlight" il mio locale preferito, ho sempre adorato il nome di questo locale, mi ricorda quella vecchia canzone dei Toploader, Dancing in the Moonlight, ed in effetti parlando con Victor, ho scoperto che non ci sono andata poi lontana, l'ha chiamato così in nome di una vecchia canzone che gli ricordava tempi più felici: Moonlight in Vermont di Chet Baker. Chissà perché questa scelta non mi stupisce affatto conoscendolo.

 Entro al Moonlight, le luci sono ancora soffuse, sul blu, Victor mi vede e viene ad abbracciarmi, è un po il mio secondo padre. Lui ha sempre creduto in me, a differenza dei miei: pensa che io stia sprecando il mio talento rinchiudendomi in sto buco di locale invece di fare provini, cercare contratti, lui avrebbe ancora alcuni agganci in quel mondo se solo non fossi così testarda, me lo ripete in continuazione!. «Piccola con cosa ti vuoi scaldare?» mi chiede Victor, facendomi l'occhiolino. « iniziamo con Don't make me over che dici?», « preparati piccola che arriva...». Sorrido a Sam, il ragazzo che fa un pò da corista e canta quando le persone si dimenticano le parole o non conoscono bene la metrica della canzone. Ha una voce strepitosa, lui si che è sprecato qui dentro, mi fa una tenerezza! , è il mio fratellino piccolino! Ha solo diciassette anni. Parte la base e inizio a cantare questa preghiera di Dionne Worwick, stupenda. La musica mi trasporta in un altro mondo, sono al centro del palco con il riflettore puntato e per me non esiste più nulla, nella mia voce c'è tutta la speranza, la disperazione, la supplica che il testo richiede.

 Il locale è ancora semi vuoto ma sento quei pochi clienti che già applaudono, ringrazio e poi vado verso il bancone del bar. Corinne come al solito quando mi vede arrivare mi prepara il solito, frappè alla vaniglia, il mio preferito. Me lo porge e poi mi getta le braccia al collo e mi saluta: ogni tanto ho l'impressione che sia un tantino attratta dalle donne, beh, non che mi importi. Però il pensiero mi fa sorridere visto la fila di pretendenti che ha: credo che la maggior parte degli uomini vengano qua solo per vedrere lei, è bellissima, fisico da copertina e lunghi capelli biondi. La ringrazio e "consumo la mia cena", poi salgo sul palco e faccio cenno a Victor che mi accompagna col piano ed inizio a cantare Cry me a river alla maniera di Ella Fitzgerald, il locale si riempie ed il pubblico si infiamma. La canzone giunge alla sua coda e uno scroscio di applausi e fischi di apprezzamento invadono il locale, in mezzo al marasma una voce squillante che mi chiama mi fa trasalire, la conosco! È lei.

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