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Pane al pane

Post n°3 pubblicato il 08 Agosto 2008 da rassegnastampa.ds
 

Riportiamo la lettera con cui il ministro delle Politiche agricole, Luca Zaia, risponde sul quotidiano Il Foglio alle critiche di Carlo Stagnaro in merito al “prezzo di Stato” per il pane.

Ah, il mercato! Le meraviglie del mercato! Ineluttabile e infallibile. Scopri, poi, ma guarda caso nello stesso giorno in cui si dà del passatista al Ministro dell’Agricoltura, che Putin sta pensando di nazionalizzare l’Agenzia che esporta grano russo nel mondo. Non certo quote di cui infischiarsi, perché stiamo parlando di 13 milioni di tonnellate di grano all’anno. Per schernire il Ministro, ci si rifà al bellissimo capitolo sulla rivolta del pane, descritto così bene da Manzoni. Ci si dimentica però di ricordare che non stiamo vivendo nel ’600, sia pure tardo, ma in un’epoca assai diversa, anche se la questione, ora come allora, era ed è la capacità produttiva dei contadini. Proviamo a dire, con qualche approssimazione, di che cosa stiamo parlando. Parliamo innanzitutto, di pane e poi di prezzi. Il pane per questa civiltà è qualcosa di più che un cibo. Ha un valore simbolico di cui tutti, anche la politica, devono tener conto. Non mi soffermo sulle conseguenze culturali, sociali e politiche di quest’affermazione, non avendo l’abitudine di prendere per bischeri i miei interlocutori.

Poi, i prezzi. All’origine, un chilo di pane comune costa 0,2 centesimi di euro, che diventano 0,38 all’ingrosso. Ma esplodono a ben 3,25 euro al consumo. Solo colpa del mercato? Da giugno 2007 a giugno 2008 il pane comune è aumentato del 13 per cento e sta aumentando a un ritmo di 80 centesimi al mese, che diverranno presto, se non si pongono rimedi, un euro d’incremento ogni trenta giorni. Solo il mercato? La politica nulla c’entra? Il governo nulla deve fare? Ad esempio, la speculazione internazionale che è responsabile, in parte cospicua, di tale straordinario incremento che arricchisce solo alcuni, pochi, redditi, è terreno cui il governo deve rimanere estraneo? La prima responsabilità di chi governa è la capacità di previsione.

Ebbene, oggi facciamo i conti con la disastrosa incapacità previsionale di chi – lobbisti, illusionisti e visionari – per interi lustri ha voluto snervare la capacità produttiva delle aziende agricole (al grido di “libero mercato”, s’intende) e oggi ci inchioda in un mondo che ha penuria di cibo. Nulla fecero contro costoro decine di governi. All’Europa mancano due milioni di tonnellate di latte, mezzo milione di tonnellate di carne, milioni di tonnellate di cereali. Tra cui, appunto, il grano. Invece di agire, abbiamo sovvenzionato l’agricoltura per “non” produrre: sovvenzioni, queste sì scellerate e frustranti. Siamo soggiogati dalla miopia ideologica che non fa vedere ai tanti intellettuali éngagès che il mercato globalizzato non esiste. Per esistere, infatti, dovrebbe essere “equo e solidale”. Dove sta l’equità quando si produce in tante parti del mondo con il ddt, che rende le ciliegie meno costose e rosse rosse, ma, ops!, fanno venire anche il cancro al fegato. Dove sta la solidarietà, quando a lavorare sono decine di milioni di schiavi e di schiave, anche bambini, che producono senza regole e senza diritti, abbattendo, ovviamente, i costi di produzione di chi poi esporta sottocosto in Europa? Dove sta il mercato – e mi fermo qui per carità dovuta al lettore – quando da anni l’Europa e l’Italia sono oggetto costante di dumping impunito, tollerato e sostenuto?

Il Ministro dell’agricoltura dice: lasciateci produrre. Aiutiamo le aziende agricole a uscire dal regime che le voleva trasformare in fantasmi e che ha usato per cogliere l’obiettivo la politica delle quote. E sconfiggiamo il “cupio dissolvi” di chi crede che sia impossibile tornare a una dimensione economica dell’agricoltura. Suggerisco un’ipotesi di lavoro per il pane: mettiamoci al lavoro con le parti in causa – produttori, dettaglianti e consumatori – e proviamo a vedere se quel che è possibile a Matera, dove assieme si è stabilita una forbice minima e massima del prezzo tra 1,4 e 2,2, è realizzabile pure a livello nazionale e solo per la tipologia “pane comune”. Nessuno, tanto meno il Ministro delle “politiche” agricole vuole mettere in discussione la necessità del mercato. Ma che sia un mercato libero in cui tutte le parti rispettino le regole. Altrimenti, non si chiama mercato, ma Far West.

da Il Foglio, 3 agosto 2008

Risponde Carlo Stagnaro
Non mi pare che il ministro Zaia risponda specificamente ad alcuno dei punti da me sollevati. Egli denuncia l'aumento del prezzo del pane dal produttore al consumatore, e quindi, in qualche maniera, se la prende con la catena di intermediazione. La risposta più ovvia è quella di accorciare la filiera, come accade per esempio in alcuni progetti di Coldiretti. I consumatori possono scegliere se acquistare i prodotti agricoli, spendendo meno, presso il produttore, oppure comodamente sotto casa. Non c'è alcun ruolo che la politica possa giocare. Sulla Pac, il ministro dice cose giuste, ma poi il frutto non cade lontano dal ramo: come questo e altri suoi interventi dimostrano, non ha in mente di liberare l'agricoltura europea dalla Pac, ma solo di rivederne i meccanismi. Sorvolo sulla tirata antispeculatori, così come sull'affermazione - davvero stupefacente - che per esistere il mercato globalizzato dovrebbe essere "equo e solidale", qualunque cosa ciò significhi. Dopo di che, Zaia ignora del tutto i rilievi miei e soprattutto l'insegnamento di Manzoni, e passa dal prezzo di Stato per il pane a una forbice di prezzi, sempre definita dallo Stato, sull'esempio di quanto accade a Matera (!). Se non è zuppa è, appunto, pan bagnato. (cs)

Luca Zaia (foglio 3/08/08)

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