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Festa di San Giuseppe a Salemi


Suggestive le Cene di San Giuseppe che si ripetono a Salemi, anno dopo anno, sempre uguali, nonostante l'incalzare del tempo, e resistono alla furia devastatrice del dilagante modernismo, significa riconoscere la forza della fede, il valore del credo di un popolo che custodisce, gelosamente intatto, il passato su cui ha costruito la sua storia. Nella cultura contadina antichi riti, celebrazioni particolari di ascendenza pagana, come le feste dei pani, vengono adottati quasi sempre dal culto cristiano e ricorrono periodicamente nell'arco dell'anno a scandire date e ricorrenze. Così la religiosità, molto spesso, rasenta nell'esteriorità la superstizione, ma nulla toglie allo spirito liturgico ed è sempre autentica testimonianza di fede profonda e di vita cristiana. Il 19 marzo in coincidenza con l'arrivo della bella stagione, si manifesta a Salemi la venerazione verso San Giuseppe, il Patriarca, santo tutelare degli orfani e dei poveri, con altari devozionali tutti ornati di pane modellato, chiamati Cene di San Giuseppe, denominazione che vuole ricordare l'ultima cena di Gesù con gli apostoli, il sacro banchetto che istituì l'Eucarestia. Le origini si perdono nel tempo, ma il rito, che si riallaccia a usi pagani, conserva il valore della tradizione da una generazione all'altra e continua a testimoniare il fascino incantato della spontaneità dei cuori e della nobiltà dei sentimenti. La cena nasce originariamente come voto di ringraziamento o come propiziazione di una grazia da parte di una persona devota, che si è impegnata con San Giuseppe a fare un convito di beneficenza, (cci prumettu di inchiri i panzuddi a tri picciriddi), per tre bambini poveri che rappresentano la Sacra Famiglia. Si scioglie quindi una promessa, si adempie un voto fatto per fede e si segue la tradizione che ha, da sempre, un cerimoniale, fatto di gesti rituali, preghiere, canti, legato ad una simbologia assai complessa. La cena di San Giuseppe, folklore e rito insieme, è una dimostrazione esteriore di quella religiosità autentica, spontanea, singolare e piena di valore antropologico, solidarietà e fratellanza che è nella natura sociale di ogni uomo. Dopo la questua penitenziale fatta, a volte a piedi scalzi, per tutto il paese di porta in porta, se il voto è pubblicizzato, o a proprie spese se la promessa è: "fazzu 'na cena pi chiddu chi pozzu", la padrona di casa prepara il pane con straordinari esiti plastico-simbolici. Aiutata dalle donne del quartiere, amiche e conoscenti, lavora giorni e giorni per modellare con vera creatività ed arte tutto il pane per la cena. Si impastano quintali di farina, si lavora la pasta fino a che diventa omogenea, si divide in tocchetti e con vera maestria si procede alla modellazione figurativa, usando arnesi comuni come: temperini, pettini con fitti denti, aghi, ditali, forbicine e il cosiddetto "mucaciu", un attrezzo metallico a pinza dentata. Particolarmente laboriosa è la manifattura dei "pani dei Santi", ma le sapienti mani delle donne più esperte, a cui se ne affida la fattura, sanno creare veri capolavori in miniatura dalle forme più varie.