ratòrysciacca

C'era una volta ...in Sicilia


“Oh jtivi a cucari chi li morti su junti a la porta Palermo”L’altro giorno, camminando per la Via Licata (momentaneamente  godibile perché chiusa al traffico automobilistico),  mi fermai dinanzi alla vetrina di un nuovo negozio di oggetti telefonici. Nello stesso istante mi si fermarono vicino una persona più anziana di me che teneva per mano un ragazzino  di  cinque o sei anni. Senza dubbio il ragazzino, sulla telefonia, era il più preparato di tutti , tanto da spiegare al nonno ed indirettamente a me che ascoltavo i pregi ed i difetti degli apparecchi in esposizione. Terminata l’esauriente discussione sulla differenza tra un i-phone ed un touchscreen, il ragazzo guardando il nonno, gli chiese : “Nonnu m’accatti ?!”. Il nonno con un mezzo sorriso,  gli risponde: “ora, quannu  vennu li morti”. Il suono di queste parole, come in un film ad effetti speciali, mi catapultò cinquantacinque anni indietro. Mi sono ritrovato davanti lo stesso immobile,  certamente non dinanzi ad  una vetrina di oggetti telefonici, ma ad un negozio con tanti carrettini colorati di diverse dimensioni,  con cavallini “mirrini” in carta pesta, con piccole macchinette a corda, con chitarrine, con colorate farfalle che si facevano svolazzare spingendole con una  piccola asta incorporata, con pistole a tamburo, con fucili armati con tappo di sughero e con centinaia di bambole di diverse dimensioni e  piccoli “scifi” per le ragazzine . Ed ancora centinaia di “pupi di zuccaru” raffiguranti condottieri a cavallo, dame e soggetti di ogni genere, “frutta martorana”, “ossi di mortu”, “ scaddillini e nciminati”. In poche parole i nostri : “ li cosi di li morti “.Penso che, durante questo flash-black,  la mia espressione fosse atteggiata ad un sorriso, perché un amico incontrandomi, mi disse: “Bboni ti vannu li cosi, eh !”. Era vero, mi andavano bene le cose, se per cose si intendono quei piccoli ricordi che portiamo dentro di noi e che ci allontanano, anche se temporaneamente, dal “freneticismo contemporaneo ”. Se sorridevo, lo facevo anche perché pensavo a quello che succedeva la sera di Ognissanti.Gli adulti ci raccontavano che i parenti morti, la notte di Ognissanti, lasciavano i cimiteri per andare a prendere giocattoli e dolci (raramente soldi)  da portare ai loro piccoli parenti che li ricordavano nello loro preghiere.La sera di Ognissanti  dopo l’Ave Maria ( per i giovani di oggi, la sei-sette di sera), immancabilmente si udiva la voce di una persona che gridava : “Oh jtivi a curari chi li morti su junti a la Porta Palermu”. Era il segnale del coprifuoco. Noi ragazzini ci mettevamo sotto le coperte non dimenticando di recitare una piccola ma importante preghiera: “Armi santi, armi santi, iu sugnu uno a vuatri siti tanti:  nicu sugnu nta stu munnu di guai, cosi di morti puttatiminni assai.” L’indomani era l’unico giorno dell’anno in cui non era necessario che le mamme ci svegliassero. Ci si alzava e si cercava ogni angolo della casa (i morti si divertivano a nasconderci in diversi posti i regali) gridando e ringraziando per quello che trovavamo. Nello scrivere queste righe mi accorgo che il mio viso non è interessato da nessun movimento  che possa far pensare ad un sorriso, perché mi sovviene subito in mente il moderno  Halloween  con i suoi travestimenti, le sue zucche e  con, lasciatemelo pensare, il cretinetto  “ dolcetto scherzetto” . Anche il nostro “jonnu di li morti”  è (forse era) intriso di sacro e profano, ma a differenza di Halloween dice molto sul rapporto che noi vecchi  siciliani abbiamo con i nostri defunti : quel legame che manteniamo anche dopo l’estremo saluto. Mi rincresce il fatto che per colpa di noi vecchi  queste usanze sono ormai desuete, allontanando così con la nostra indifferenza le due dimensioni parallele, terrena e ultraterrena che, il due novembre di ogni anno si avvicinavano, con l’omaggio  ai cari estinti.         Un Nonno