Il fatto è che ciascuno porta le sue responsabilità, e quindi le sue colpe...
A volte, le persone ci passano sopra, ti danno un'altra possibilità. Ma non è detto che debbano farlo per forza; spesso lo fanno solo per un po'.
Certo, questo vuol anche dire che nessuno è esente da colpe; ma non è mai una buona strategia nascondersi dietro le colpe altrui. E non ai fini dei propri scopi, ma proprio per se stessi, per non ricadere pervicacemente nei propri errori.
E a nulla vale giustificarli coi torti che pure si sono subiti, si ritiene d'aver subito: che sia così o no, dopotutto, è sempre cosa da dimostrare. Cosa che causa ancor maggior dolore, a sé, e agli altri, e aggrava il problema invece che risolverlo in qualunque modo si pensi di poter fare.
È che le debolezze altrui non hanno niente a che fare con le proprie, ed è questo che è fatica ammettere.
E pure occorre farlo, per non ricadere sempre nei nostri errori, anche se siamo portati - per autodifesa? per amor di sé? - a ritenere che i nostri errori siano indotti.
Per non essere destinati a soffrire ancora, ed ancora. E questo è vero amor di sé. Una forma d'amore che, come tutte le altre, è fonte di sofferenza.
Io ho i miei limiti, ora lo so, in modo chiaro e distinto. Li riconosco, e lo riconosco. Ma questo non fa di me una persona migliore, e nemmeno più serena, e in pace con sé, e con Dio.
Poi, è pur vero che la vita, se non le persone, o anche solo certe persone, ti offre seconde, e terze possibilità. Ma ciò che hai fatto resta ciò che hai fatto, crudele, o ingiusto come crudele o ingiusto possiamo considerare chi ci ha portato a certi punti. E almeno questo mi è risparmiato: è una cosa che non considero, prima ancora che considerarlo non importante.
Ma pure questo non significa niente, non è un merito... dopotutto è un modo d'esser fatto come un altro...
Semmai, cambiare il proprio modo d'essere, sforzarsi di farlo, anche al prevedibilissimo costo di ritenerlo un errore, è ciò che conta veramente.
E senza pensare che significhi lavare le proprie responsabilità, anzi continuando a portarle, come monito e lezione. Non per pensare d'essere migliori, cioè, ma per ammettere che si può facilmente essere peggiori. E preparandosi, per il futuro, a soffrire ancora, anche solo per lo sforzo - che costa e quanto! - di usarsi ciò che riteniamo violenza a noi stessi.
Io, sono una persona impulsiva. Non conta perché, e come. Ma questo crea sofferenza, a me, e a chi mi sta vicino. Non è il mio solo limite, e non è in alcun modo attenuato da pregi o valori che posso avere, che mi possono esser ed esser stati riconosciuti: ancora una volta, uno è come è, e non c'è nessun significato speciale, nessun merito nel fatto che sia così.
Quel che conta è che so che ciò mi ha causato sofferenze, forse maggiori di quelle che posso aver inflitto; so che non dovrei esserlo, e questo è tutto. E l'amor di sé è qui che dovrebbe iniziare: in senso pratico, nell'evitarmi errori in cui ricado sistematicamente. In un senso più alto, nell'ammettere che ho torto.
E questo è tutto ciò che posso dire, sperando che la vita voglia essere benigna...
Inviato da: Drashta
il 12/04/2007 alle 02:03
Inviato da: Tolstoj27
il 24/03/2007 alle 14:16
Inviato da: saralhd
il 13/03/2007 alle 16:59
Inviato da: jubelee1
il 12/03/2007 alle 15:28
Inviato da: gipsofila
il 07/03/2007 alle 19:05