Creato da ReDiSperanza il 15/01/2006
Un minimo barometrico dell'Atlantico avanza in direzione orientale incontro ad un massimo incombente sulla Russia, e non mostra per il momento alcuna tendenza a schivarlo spostandosi verso nord. Le isoterme e le isòtere si comportano a dovere. La temperatura dell'aria è in rapporto con la temperatura media annua, con la temperatura del mese più caldo come con quella del mese più freddo, e con l'oscillazione mensile aperiodica.
 

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Ahahahahhahahahaha!!! E' vero!!!!! ^___-
Inviato da: Drashta
il 12/04/2007 alle 02:03
 
Ciao, volevo segnalarvi che l'iniziativa PRO BENITO ha...
Inviato da: Tolstoj27
il 24/03/2007 alle 14:16
 
Allora io sono un vero campione!!! Però ci penso dopo,...
Inviato da: saralhd
il 13/03/2007 alle 16:59
 
ottima sintesi;-)
Inviato da: jubelee1
il 12/03/2007 alle 15:28
 
simpaticissimo...io grande capacità di sintesi...ciao :-))
Inviato da: gipsofila
il 07/03/2007 alle 19:05
 
 

 

Post N° 229

Post n°229 pubblicato il 12 Marzo 2007 da ReDiSperanza
 

Le probabilità di dire una cazzata crescono proporzionalmente alla convinzione con cui si afferma qualcosa.

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Post N° 228

Post n°228 pubblicato il 11 Marzo 2007 da ReDiSperanza
 

"Gli Yes fanno tutto sbagliato, ma sembra giusto."

(Trevor Horn a Steve Howe)

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Post N° 227

Post n°227 pubblicato il 10 Febbraio 2007 da ReDiSperanza
 

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Io sono un collezionista. Sempre stato, nell'animo. Mi piacciono le cose che mi piacciono. Io so cosa è bello, in ciò che colleziono, e so perché è bello, e lo ammiro, e lo rispetto. Io so quel che mi piace, e mi piace quel che so.

Io colleziono dischi. In senso generale, una passione come un'altra. Dal mio punto di vista, è qualcosa che mi dà il senso di ciò che sono.
Mi piace collezionare dischi, cd, ma anche in vinile.
E dei dischi, mi piacciono in modo particolare le confezioni, la veste grafica; l'artwork, come si chiama.
Sempre piaciuto. Sin da quando, ragazzetto, mi eccitava l'attesa di scartabellare negli scaffali, trovare e soppesare gli album, col gusto di scegliere, per poi provare quel senso di possesso, stringendo tra le mani il disco, sapendo che, una volta a casa, me ne sarei riempito gli occhi (e le orecchie, chiaro) a lungo, tanto che quel disco sarebbe diventato parte di me.

Ed è così che è sempre avvenuto, è così che è ancora.
C'è un senso di malinconia, in questa passione: ciò che avresti voluto diventare, ciò che sei diventato, ciò che vuoi continuare ad essere.
Ed è per questo che continuo a comperare dischi, nelle varie nuove edizioni, e soprattutto nelle edizioni ormai 'storiche'. Del resto, internet offre la possibilità di avere su vasta scala e a prezzi davvero modici ciò che un tempo sarebbe stato un raro e prezioso tesoro: le prime edizioni inglesi dei vinili degli anni '70. Un tempo sarebbe stato il più incredibile e proibito dei sogni.

In sé sembra e forse è una delle tante follie che colorano il nostro tempo, spendere 15 euro per acquistare per la settima o ottava volta lo stesso disco.
Ma quando lo cerchi, e immancabilmente lo trovi, la magia si ripete, e si rinnova. Riecco il ragazzetto in azione, riecco ciò che è stato che torna ad essere; riecco il gusto per l'osservazione del dettaglio, riecco il piacere della cosa bella.

Ci sono dischi che ho acquistato anche otto o nove volte - in edizioni e formati diversi, ma ultimamente sempre nello stesso: la prima stampa inglese.
Perché era inglese il mio orizzonte: stava lì il mio immaginario, in quella manciata di anni...
E così ci sono dischi che possiedo in quattro o cinque copie, alcune delle quali uguali tra loro. Che poi uguali non sono mai, perché nessuna copia è uguale all'altra: gli anni han segnato anche loro, le han caratterizzate. E raccontano gli anni passati, misurano una distanza nel momento in cui, reggendole in mano con la stessa passione e guardandole con gli stessi occhi, l'annulla.
C'è un senso di profondo rispetto, credo, in tutto questo, una vera pietas, che è poi ciò che caratterizza e distingue il collezionista autentico; la pietas verso le cose. Il prendersi cura di esse, direbbe uno che se ne intende, che è però innanzitutto e perlopiù il prendersi cura di se stessi.

Sono belli, i vecchi vinili. Sono belli oggettivamente, voglio dire. E sono belli per ciò che raccontano, se hai voglia di ascoltarli. Ed io ho bisogno di starli a sentire. Come un bambino ha bisogno di sentirsi raccontare sempre la stessa storia, per esser sicuro che sì, tutto è a posto.

E allora mettersi in casa la decima e l'undicesima copia di Tubular Bells, acquistate contemporaneamente, ha un senso che va molto al di là del banale senso comune. Perché Tubular Bells è stato il terzo LP che mi sono comperato in vita mia, e quello che più di ogni altro è diventato il mio disco. Un senso che non sta nel disporre le varie copie, allinearle, o guardarle insieme, ma nell'averle trovate, valutate, soppesate, una per una, e poi prese e tenute strette. Come un tempo.

Come un tempo...
Perché io sono un collezionista, io so riconoscere cosa è bello, e perché è bello, e lo rispetto e lo ammiro. Perché so quel che mi piace, e mi piace quel che so.

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Post N° 226

Post n°226 pubblicato il 10 Febbraio 2007 da ReDiSperanza
 

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Grazie. Ciao...

 
 
 

Post N° 225

Post n°225 pubblicato il 06 Febbraio 2007 da ReDiSperanza
 

Beppe Grillo - per dirne uno - esorta a guardare le cose anche da dietro, a dubitare, a non fidarsi. A cercare lo scopo nascosto.
Ottimo metodo. Condivido.

E allora, prendiamo il gruppo di scienziati che per conto delle Nazioni Unite ha stilato il rapporto sullo stato del pianeta. Che secondo le loro stime, è disastroso.
Beh, sinceramente mi sarei stupito che i loro risultati fossero diversi.

Voglio dire, se uno scienziato accetta di occuparsi per anni di un problema, vuol dire due cose almeno.
Uno. Che il problema lo interessa, cioè che è convinto di trovare qualcosa. Basta essere convinti da prima che l'inquinamento c'è, e lo si trova. Ce lo ha insegnato Nietzsche, che la scienza trova solo quello che cerca: è il metodo scientifico. Apposta si chiama metodo positivo: chi cerca trova, c'è poco da fare. Basta sapere cosa è il caso di cercare, e la gloria è assicurata. 
Due. Che per lui è un buon lavoro, migliore di altri di cui può disporre. E ti pare che se uno trova un buon posto alla fine dica "tranquilli, è tutto ok, andate avanti così, non avete più bisogno di me"? Più probabile, stante anche il punto uno, che dica "ehi, la situazione è grave, occorre tenerla sotto controllo". Col che si assicura quel posto per i prossimi dieci anni almeno.

Eh sì, il metodo-Grillo è davvero un buon metodo.

 
 
 

Post N° 224

Post n°224 pubblicato il 04 Febbraio 2007 da ReDiSperanza
 

Non è che mi piaccia scrivere cose sull'attualità. Snobismo, probabilmente.
Ma qui la cosa è diversa. Perché a me il calcio piace, eccome. Tanto da andare allo stadio, se ne ho l'occasione almeno, visto che la mia squadra gioca 250 km da qui.

Ma questo calcio non mi piace più. E non solo per le porcherie di cui è fatto, dentro e fuori i campi.
Non mi piace più il discorso sul calcio, anche nel senso primo e più banale: parlare di calcio - di sport, cioè, è ormai impossibile. Gli altri vincono perché rubano, barano, falsificano, e noi siamo le vittime. Nessun merito, nessuna valutazione tecnica, nessuna discussione. Gli altri contro di noi, i giusti, le vittime; noi contro gli altri, i disonesti, i farabutti. E questo è tutto.
Mi piaceva frequentare i forum degli 'sportivi', ascoltare le discussioni in tv, parlare di calcio con i compagni della mia squadretta del venerdì sera. Ma è impossibile, desolante. Il tutto è solo una sequela di insulti, allusioni pesanti, anche nei forum, come quello della Gazzetta, che sono le Istituzioni dello sport italiano. 
Vince chi ruba, e chi ruba vince: ieri la Juventus, l'altro ieri il Milan, oggi l'Inter. Nessun merito, nessun valore comune e condiviso. Chi vince calpesta gli altri, chi perde butta per aria il tavolo. E allora come si fa, che senso ha?

E allora, si capisce il perché degli ultras, che non sono quella manica di delinquenti frustrati che 'non ha niente a che fare con lo sport e rompe il giocattolo', ma che sono italiani, come tutti gli altri, con comportamenti solo più estremi, più spinti, ma che rispondono alla stessa logica. Noi, e gli altri da annientare.

Del resto, non vedo come potrebbe essere diversamente, in un paese nel quale la politica riproduce gli stessi identici schemi, e si riduce a dileggio, accuse agli avversari, pretese di smascherare l'inganno, e nessuna capacità di ascoltare le ragioni dell'altro, che è nemico per il solo fatto di appartenere ad uno schieramento diverso dal mio, ed al quale nessun riconoscimento è possibile, perché incarna il male assoluto. O con noi, o contro di noi, costi quel che costi.

E a livello sociale è lo stesso: sono gli altri a rubare lo stipendio, ad evadere le tasse, a godere di privilegi intollerabili; ad opporsi al mio modo di sentire. Io mi difendo, con tutto il diritto di farlo e se per farlo passo sopra alla sensibilità dell'altro, tanto meglio, serve solo a rimettere prima le cose al giusto posto, e a soddisfare il mio senso di giustizia, ché gli altri tanto son solo farabutti, delle canaglie che lavorano solo al proprio egoistico interesse.
Le discussioni non servono a capire, a vedere le cose in modo diverso, a crescere, ma solo a convincere, a dimostrare la disonestà degli interlocutori.
Perché nel calcio dovrebbe essere diverso? Perché stupirsi se gli esiti sono questi?

Che paese di merda.

 
 
 

Biografia

Post n°223 pubblicato il 01 Febbraio 2007 da ReDiSperanza
 

G.A., noto ai più come ReDiSperanza, nacque il 15 ottobre del 1959. Era un giovedì. Di metà mese. Nel cuore della notte. Sin dalla nascita mostrò dunque quella predisposizione a stare nel mezzo, che lo avrebbe portato in età scolare a diventare un capobanda della sua piccola cerchia di amici, a scuola un elemento di disturbo della classe, e in età adulta a fare l’insegnante. Una vita passata a spese degli altrui zebedei. 

Gli anni dell’infanzia furono segnati da una profonda fede religiosa, che segnò anche gli anni della sua adolescenza, e che maturò in riflessioni su alcuni particolari precetti cristologici; su tutti, “ama il prossimo tuo”. In seguito però ebbe a emergere quella sua caratteristica nota di dissidenza che ritroveremo in molti altri atti della sua vita; divenne perciò un dissidente, dando di questo precetto una sua personale e originale interpretazione, che si caratterizzava per l’amare nel prossimo la sola componente femminile.

Buon parlatore, dall’eloquio fluente, coinvolgente e affascinante, era noto ai suoi studenti come “il Tavor della Quinta B”. I meno raffinati lo definivano più semplicemente “una palla”, e “lo scassamaroni”.

Di fatto, parlare è l’unica cosa che egli abbia mai saputo fare. E imparò a farlo bene. In questo periodo della sua vita, iniziò così ad avere una sua opinione su tutto. Poiché però, come recita l’aulico detto veneziano, “sensa scheo, l’orbo no canta”, da allora si fece pagare per esprimerla, distribuendo socraticamente la sua scienza solo dietro compenso. In determinate circostanze, pagando la differenza può anche stare zitto.

La cosa di cui è difficile capacitarsi è che in effetti vi sia stato alcuno disposto a pagarlo per sentirlo parlare. Divenne così aggiornatore, anche se per la sua ben nota pigrizia, si limitò al poco impegnativo campo della geografia, con rare escursioni (tanto per fare qualcosa di diverso) nel campo della storia.

Dopo alcuni anni così spesi, questa sua attività cessò repentinamente.
Gli studiosi si dividono sulla interpretazione di questo avvenimento. La spiegazione più comunemente accettata è che egli si fosse annoiato di quanto stava facendo; questo, sostengono coloro che accreditano questa tesi, è un tratto caratteristico del nostro eroe: lo stancarsi, dopo un po’, di fare ciò che fa.

Secondo altri studiosi, furono altri a stancarsi di pagarlo per farglielo fare.

Poiché di sentirlo parlare se ne aveva ormai abbastanza, si risolse di farlo scrivere.

Iniziò dunque la sua nuova carriera di scrittore. Inizialmente il suo compito presso alcune case editrici era lo scrivere bollettini postali, ma lo sviluppo delle nuove tecnologie ridusse drasticamente le possibilità di lavoro. Temendo il peggio, fu dirottato presso l’incarico meno impegnativo e meno carico di responsabilità di scrivere i testi scolastici.
Libero dalle pastoie dei bollettini prestampati, in questa attività egli non risultò meno palloso e prolisso, ma si considerò che almeno la pagina si può chiudere, visto che il tappargli la bocca risulta essere cosa ardua assai.

Egli vive e lavora tuttora, anche se circa la seconda affermazione esistono scuole di pensiero diverse.

Nei momenti di cazzeggio, invero sempre più frequenti, egli ama indugiare in scritti di niuna rilevanza scientifica, di scarsa utilità pratica e di dubbio buon gusto. Tipo questo.

Che il Signore vi benedica tutti.

 
 
 

Post N° 222

Post n°222 pubblicato il 22 Gennaio 2007 da ReDiSperanza

C’è una fortissima componente etica, nell’arte, che resta però innanzitutto e perlopiù inavvertita, o peggio fraintesa.
Essa non consiste, come comunemente siamo portati a ritenere, nel fatto che attraverso l’opera si esprimono giudizi di tipo morale, ma al fatto che l’opera per così dire basta a se stessa.

E la causa del fraintendimento è l’oggetto stesso dell’agire artistico. Pensare ad una opera come ad un ‘qualcosa realizzato in vista di’, sia pure per un fine etico che eccede, trascende l’opera stessa, significa riprodurre quello schema di produzione che domina il mondo della tecnica, e che corrisponde al nostro modo d’essere quotidiano. È quella mentalità metafisica che concepisce il mondo come vorhandenheit – disponibilità – e per il quale l’oggetto di produzione è mera funzione dello scopo per il quale viene costruito. A questo punto, rispondendo alla semplice ‘necessità’, la scienza ha quanto basta per giustificare se stessa; e la capacità produttiva si separa dall’etica, la quale assume lo scomodo ruolo di guardiano dell’agire. Ed ecco perché, come dice Heidegger, ‘la scienza non pensa’.

In taluni artisti contemporanei, come Andy Warhol o David Bowie, questo atteggiamento etico è particolarmente evidente. Essi infatti si limitano, riproducendoli, a mostrare gli esiti della produzione, sino a fare di loro stessi delle opere d’arte. Criticarli come meri opportunisti, privi di reale capacità espressiva autonoma, significa fraintenderne clamorosamente il senso. Concentrare lo sguardo sul contenuto, separandolo dal contenente, per accorgersi che nella loro opera oltre al contenente non c’è altro, non è la dimostrazione della loro pochezza, ma della nostra presbiopia, che ci impedisce di cogliere il semplice fatto che per noi contenente e contenuto sono cose distinte, per cui produzione ed etica finiscono per essere distinte. E l’etica, delle due, è la parte debole e destinata a soccombere.
La mancanza di una presa di distanza da ciò che ri-producono non è piatta adesione al modello che raccolgono: è tutt’altro che cinismo, c’è più pietas in un disco di David Bowie o in una serigrafia di Warhol che in Guernica di Picasso. La mancanza di critica etica che si suppone un artista debba esprimere, è soltanto il segnale della profondità della separazione che abbiamo operato tra due sfere che in origine erano una.

Non è la dimostrazione della loro banalità, ma della nostra.

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Post N° 221

Post n°221 pubblicato il 21 Gennaio 2007 da ReDiSperanza
 

Dovrei fumare meno.
Per una quantità di ragioni.
La più ovvia, è che ultimamente fumo troppo. E questo fa male. E far qualcosa che fa male non è la più intelligente delle cose.

È vero che faccio anche molte altre cose poco intelligenti, e a quanto pare non riesco a smettere di farle. La cosa comica è che fumo anche a causa delle altre cose poco intelligenti che faccio. Sicché si tratta di un danno al quadrato.
Anzi al cubo, perché fumare, lungi dallo sfogare nervosismo e malumore, li acuisce, e conseguentemente peggiora le mie prestazioni intellettuali, che alla fine sono quel che sono. E fumo di più.
Zeno Cosini al confronto era un ragazzetto.

A volte mi dico che fumo perché in questo periodo son stato poco impegnato nel lavoro, così devo riempire il tempo, e fumare mi aiuta a pensare.
Ma quando lavorerò di più - ahimé a breve - fumerò tanto per fare un break e scaricare lo stress.
E naturalmente non è vera nessuna delle due cose.

E intanto fumo.
Che aiuti la mente ad andare, che sia una forma di otium, almeno è un fatto. Ma con tutte le scemenze che combino, e che si avvitano tra loro in modo disastroso, non è che pensi poi granché, e anche di questo son consapevole. Sicché è una spiegazione che non regge.

Resta che fumo.
E non dovrei.
A volte mi dico che mi tolgo anche 'sto sfizio, allora sto combinato davvero male in quanto a libero arbitrio. Magari è una forma di autopunizione. È possibile. O un modo inconscio per punire chi mi dice - praticamente chiunque, e con ottime intenzioni - che non dovrei, anzi che non devo. Psicologia delle galline.

E tutto sommato, fumare tanto non è neanche piacevole. Anzi alla settima o ottava sigaretta diventa anche un po' fastidioso.
Però continuo a fumare. In barba a tutto. Rigorosamente fuori dalla finestra, questo va detto, che così vedo anche il mondo, nella porzione che mi è assegnata. Ma non è che mi distraggo, e qualunque sia lo scopo, esso fallisce miseramente.

In fondo, fumo per scarsa stima di me stesso, e checchè se ne dica è un ottimo motivo, e pienamente motivato dai fatti.
Di certo, smettere di fumare sarebbe un bel segnale, e un atto di volontà significativo. Dubito però che la cosa andrebbe oltre a questo, sicchè la cosa mi fa un baffo.

Certo la salute è una bella cosa. Ma a parte il fatto che presentemente non è che il mio fisico risenta molto del mio fumare, a parte in taluni episodi che sporadicamente si verificano - ma è quando me la vado proprio a cercare per cui l'osservazione non vale - ci sono una moltitudine di cose altrettanto importanti della salute che non ho, e a quanto pare non posso proprio avere, per cui della mia salute più di tanto non mi interessa.

Però dovrei fumare meno, e un po' questo senso di colpa ce l'ho, altro che storie.
Sono un tipo un po' complicato, un modo come un altro per dire un'anima in pena.
Provare a fumare meno sarebbe almeno provare per l'appunto a far qualcosa di intelligente.
Ci posso provare, ecco. Magari senza troppo impegno, che sennò poi mi viene il nervoso ed è peggio.

Vado a fumare una sigaretta intanto.

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Ambientazismo

Post n°220 pubblicato il 19 Gennaio 2007 da ReDiSperanza
 

Le parole sono importanti. Le parole sono pietre. Dietro ad ogni parola, ad ogni locuzione - soprattutto le più banali, le più correnti – si nasconde una visione del mondo, una concezione, che resta nascosta quanto più essa è evidente, sotto gli occhi di tutti. E proprio in questo consiste la forza terribile e spaventosa delle parole: che nel momento in cui pretendono di scoprire la Verità, tanto più si fanno Verità, e Mondo, e si sostituiscono a ciò che potrebbe essere, e non è.

Heidegger parlava di Verità come Aletheia, Disvelamento, che però è tale solo se le parole restano nel loro ambito, restano al loro compito di illuminare le cose: colorandole della loro luce, ed è per questo che non bisogna smettere di interrogarle, di stringerle, di metterle alla prova, di rivelarne il carattere provvisorio, costringendoci così ad interrogarci ancora ed ancora sui nostri significati, sui nostri convincimenti.

L’uomo inquina. Le attività umane alterano l’equilibrio della natura. Nel suo senso primo, immediato, chi potrebbe negarlo?
Ma cosa significa questo? Cosa nascondono queste terribili affermazioni, così apparentemente evidenti? A cosa ci obbligano, dove ci portano? Quale impensato celano e nascondono?

Le attività umane modificano l’aspetto della natura. Cosa vuol dire?
Interrogarsi su questa affermazione, è porre due questioni: la prima, relativa alla veridicità dell’asserto, cioè alla sua quantità. È realmente così? L’uomo altera davvero l’equilibrio della natura? E quanto? E quali sono gli effetti? Ed esiste davvero un ‘equilibrio della natura’?

La seconda questione riguarda la sfera etica: è giusto? Ha l’uomo il diritto di farlo? Ed è inevitabile, può evitare di farlo? In nome di che cosa lo fa?

Alla prima questione risponde la scienza.
Ma è la seconda domanda quella che mi interessa di più. Cosa significa che l’uomo inquina, e che altera il corso della natura e dei suoi eventi? Che cos’è inquinare? E cos’è la natura? Due parole molto meno ovvie di quanto si possa credere.

L’uomo, agendo, sembra alterare in modo consapevole qualcosa che altrimenti è pulito, puro, incontaminato: la natura appunto. Uomo, natura: i due termini che disegnano la nostra concezione del mondo. Da una parte dell’uomo, dall’altra la natura; separati, antitetici, forse persino antagonisti.

Non è un dato di fatto, una mera constatazione. I Greci avrebbero condannato per empietà chi si fosse avventurato in una simile distinzione. Il loro concetto di physis designa qualcosa di tutt’affatto diverso da ciò che chiamiamo ‘mondo naturale’. Quando Aristotele postula la conoscibilità del mondo attraverso la logica, pone ‘uomo’ e ‘natura’ sullo stesso identico piano, come parti di un unico processo; l’idea di un uomo al di fuori della physis sarebbe stata per lui semplicemente inconcepibile. L’uomo aristotelico è profondamente e costitutivamente naturale, è parte della physis stessa, partecipa della stessa ragione, segue i medesimi ritmi.

L’idea di una separazione tra i due termini è così tutta moderna, e nient’affatto neutra. Ma resta una concezione del mondo, non uno stato di fatto, anche se guida comportamenti, scelte, decisioni, giudizi.

E pure, noi ci consideriamo altro dalla natura. Quello che è spaventoso è però, per paradosso che paradosso non è, il tentativo di recuperare la naturalità, salvaguardando la naturalità della natura. Perché l’uomo, col suo agire al di fuori della natura, ne altera la purezza originaria. La inquina.

Se facciamo parlare le parole in senso poetico – che è sempre poietico, cioè che produce, che porta a compimento, se ci mettiamo in loro ascolto, possiamo arrivare a quelle parole che restano nascoste, che danno il senso profondo ai nostri convincimenti.

Inquinare, inquinamento. Un termine di assoluta e indiscutibile accezione negativa. Ove l’uomo non inquina, la natura resta nel suo stato originale. E poiché l’uomo è l’altro della natura, ogni intervento umano è contrario allo stato originale, da preservare della natura. Ciò che l’uomo fa, in ogni sua azione, e finalmente nel suo solo esistere, è alterare la purezza della natura. Purezza che è bellezza, perciò valore; purezza che l’uomo deve rispettare agendo il meno che può, perché ogni sua azione è dannosa, perniciosa, innaturale.

Tutto ciò è spaventoso. Considerare in senso profondo l’umanità come qualcosa di sporco, contaminato e contaminante, è terribile. Qualcosa di profondamente empio, disumano.

Non è per bizzarria o ironia del caso che il primo governo a promuovere l’agricoltura biologica – terribile ossimoro – sia stato il governo nazista. Non è un caso che il padre riconosciuto dell’ambientalismo italiano, Alessandro Ghigi, sia stato uno dei firmatari del Manifesto della Razza. Non è un caso che Konrad Lorentz sia stato per tutta la vita dichiarato e fervente nazista.

Non solo per l’idea della politica come igiene del mondo, per il disprezzo verso la parte del genere umano che per il solo suo esistere sporca, infetta, inquina. Ma proprio per quella primigenia idea di purezza che si riscontra in ogni suo pensiero, in ogni suo atto. Il concetto stesso di sovrapopolamento, che si coniuga in un concetto quale “sviluppo sostenibile”, affonda saldamente le sue radici in questo nefasto atteggiamento. E dunque non è un caso che molti esponenti dell’ambientalismo più estremo siano aperti fautori, ad esempio, della riduzione della popolazione mondiale. Non è un caso che uno dei fondamentali obiettivi dell’ambientalismo – qualsiasi ambientalismo – è l’educazione della popolazione mondiale, e parla apertamente di creazione di una ‘nuova sensibilità’, di un ‘nuovo atteggiamento’ da diffondere; parlano, cioè della creazione di ‘uomo nuovo’, esattamente come faceva Hitler, o Stalin, o Mao.

Tutto ciò ha solo apparentemente poco a che fare con concetti apparentemente etici, francamente condivisibili, come economia delle risorse e riduzione dello spreco. In realtà non esiste un ambientalismo estremo, e un ambientalismo ragionevole. Esiste l’ambientalismo, e questa è la linfa di cui si nutre – tanto, poco, ma destinato a crescere, e a crescere su se stesso.

Non bisogna mai fermarsi alla superficie delle parole e dei concetti. Se lasciate a loro stesse, le parole sono terribili. Se assunte nella loro apparente neutralità, se non ascoltate, le parole portano ad aberrazioni intollerabili, a veleni ideologici tanto più letali quanto più apparente innocui, e persino gradevoli.

Le parole sono pietre. Abbiamo il dovere di ascoltare le parole, di diffidare di esse; di stringerle, di metterle all’angolo. Questa è etica autentica.
 
 
 

Post N° 219

Post n°219 pubblicato il 18 Gennaio 2007 da ReDiSperanza
 

Ognuno ha lo stile che ha. Io ho il mio. Piace. Non piace. Pazienza. Faccio poco per piacere, ma è anche vero che lo faccio qui, nel mio spazio.
Talvolta ho la presunzione di farlo anche in giro in spazi altrui; è vero che lo faccio assai di rado, ma è comunque sempre troppo, per cui da questo momento, me ne asterrò.

Certo, le questioni e le tematiche che mi capita di affrontare dovrebbero essere terreno comune, e visto che si pretende di dimostrare che il mio modo di pensare è maleducato anche nella sostanza oltre che nella forma, e che chi lo sostiene, col suo essere cittadino partecipe delle scelte mi obbliga ad azioni e scelte che non condivido, credo di avere il diritto di argomentare in modo contrario. Col mio stile, sicuro. Che peraltro, di questo sono certo, non mi ha mai portato ad offendere nessuno, né direttamente, né tra le righe.
A meno che non si voglia sostenere che sono le opinioni oltre che i modi ad essere sconvenienti e irritanti. Ma a questo il punto il problema cessa di essere mio, e anche questo è del tutto evidente.

Farmi passare per integralista, poi, è davvero comico. Presuntuoso, può darsi - quantunque resti da dimostrare la presunzione confutando le mie argomentazioni, magari con qualche argomento e uno straccio di dati.
E può darsi anche tutto il resto; non so se sia falsa umiltà, o che altro, ma ammetto benissimo che si abbia ragione a dipingermi come mi si dipinge.
Resta un problema mio, in ultima analisi. Almeno, lezioncine di bon ton non ne ho mai distribuite, perché trovo che il farlo sia poco cortese - curioso paradosso.

Ci sarebbero molte altre cose che a questo punto sarebbe interessante analizzare: la capacità di mettere in discussione i propri convincimenti, ad esempio. O il punto in cui una affermazione cessa di essere una posizione di discorso per diventare luogo comune, e i problemi che ne conseguono.

Ma non ne ho voglia, adesso. Anche perché almeno questi problemi non li ho. E ognuno è libero di impiccarsi all'albero che crede, tanto per meritarmi sino in fondo la fresca nomea di maleducato inopportuno che mi sono guadagnato.

 
 
 

Post N° 218

Post n°218 pubblicato il 15 Gennaio 2007 da ReDiSperanza
 

Tanto per parlare di numeri.

Il Protocollo di Kyoto prende in esame sei potenziali gas serra, tra cui l’anidride carbonica.
L’uomo immette nell’atmosfera con le sue attività circa 6.000 megatonnellate di anidride carbonica ogni anno. Il protocollo di Kyoto prevede che esse vengano ridotte a 5.850, circa 150 megatonnellate in meno.
L’atmosfera contiene in forma naturale circa tre milioni di megatonnellate di anidride carbonica.
Da notare che non c’è alcuna evidenza scientifica che cambiamenti nella quantità di anidride carbonica alterino il clima.

Un altro gas preso in considerazione dal Protocollo è il metano. Nella sola Francia, i bovini producono il triplo delle emissioni di metano prodotte dalle raffinerie di petrolio.

Va aggiunto che una sola grande eruzione vulcanica produce in poche ore più di tutte le emissioni di gas serra prodotte dall’uomo in un anno, comprese naturalmente le emissioni dovute alla semplice respirazione. I vulcani attivi sulla terra sono più di cinquecento.

Tanto strano che gli Stati Uniti si rifiutino di aderire a questa buffonata, evitando così di rompere le balle a milioni di persone per niente?

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Post N° 217

Post n°217 pubblicato il 14 Gennaio 2007 da ReDiSperanza
 

immagineIeri ho preso questo libro. Interessante, da leggere, davvero.
È stata una esperienza strana: davvero imbarazzante. Mi sono accorto che cercavo di sussurrare il titolo ai commessi, dando nel contempo occhiate furtive intorno, in modo che nessuno mi sentisse; dopotutto la clientela di Feltrinelli è - diciamo - fortemente connotata, non so se mi spiego.
Il titolo è forte, certo (quantunque molto appropriato), ma il pronunciarlo sembrava equivalere ad una potente bestemmia; dichiararsi antiambientalista suona blasfemo, quasi che ad esserlo ci si aspetti che si voglia urinare sul gatto di casa.

Il fatto, me lo son spiegato dopo, è che parlando di questi temi, i soli sentimenti che ne scaturiscono sono la paura, e l'angoscia.
Effetto ben conosciuto, del resto. Lo stesso che nel corso dei secoli ha armato la mano delle peggiori isterie di massa; il nazismo, e la paura del diverso, ad esempio. Ma per stare al contemporaneo, la stessa paura e la stessa isteria che origina il leghismo; o la paura del terrorismo, su cui fa leva l'amministrazione Bush per i suoi intrallazzi, come ha ottimamente dimostrato Michael Moore.

Ora, la paura non è un sentimento che generi mai cose buone, per una fila di ragioni che non è neanche il caso di elencare.
E l'adesione quasi unanime alla sensibilità "ecologica", pur se spesso mascherata da criticismo (che di kantiano però ha proprio poco), ha la sua origine proprio nel sentimento dell'angoscia, che cerca di coniugarsi in "proccupazione", "partecipazione attiva", o addirittura "responsabilità" verso le sorti del pianeta. Così che gli ecologisti si vedono riconosciuto il titolo che si sono autoattribuiti di funzionari dell'umanità, e mettere in discussione il loro Credo - che tale è, altro che esattezza scientifca - significa essere tacciati delle peggiori nefandezze morali.
Ma la paura - e la paura per le sorti della Terra - è un sentimento irrazionale, e ottunde in modo potente le capacità di riflessione, di analisi; arrivando così, come dimostra ampiamente il libro, a diventare strumento di controllo politico, di manipolazione. Di perdita, in parole essenziali, della libertà.

L'ambientalismo è una isteria di massa, alimentata ad arte.
E Greenpeace è la vera multinazionale del terrore, altro che Al Qaeda.

 
 
 

Post N° 216

Post n°216 pubblicato il 14 Gennaio 2007 da ReDiSperanza
 

Nel corso degli anni, in modo indiscusso, e per unanime consenso, si è guadagnato il titolo di Album Più Depresso Della Storia Della Musica.
Niente da dire, è così.

Ma è anche il più commovente. Chapeau.

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Post N° 215

Post n°215 pubblicato il 12 Gennaio 2007 da ReDiSperanza
 

Il paesaggio è lo stesso, ora come allora: campi scuri, umidi, intervallati da alberi in filare, e case – case singole, lungo strade percorse dalle solite auto; e fossi, e casolari, ed edifici di varia natura. Il tutto immerso nella bruma invernale e fredda.
Un paesaggio triste, ma anche consolatorio. Non è cambiato niente.

Nel corso degli anni, musiche diverse ne hanno costituito la colonna sonora, stratificandosi l’una sull’altra.

Ma di fondo, nel modo in cui lo vivo, quel che lo descrive meglio è la musica di quegli anni, che sembra scaturire dalle cose stesse, tanto da costituirne l’intima natura; da raccontarlo meglio e appieno più di qualunque altra cosa. Il Perigeo, ad esempio.

È passato del tempo, tanto tempo. Ma non è poi così lontano.

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Post N° 214

Post n°214 pubblicato il 10 Gennaio 2007 da ReDiSperanza
 

Nel 1600, era possibile attraversare le Alpi, e recarsi dall'Italia alla Francia, a piedi in tutte le stagioni, per la quasi totale assenza di precipitazioni nevose, e per la sparizione quasi totale dei ghiacciai nell'arco alpino.

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Post N° 213

Post n°213 pubblicato il 05 Gennaio 2007 da ReDiSperanza
 

A conti fatti, son passati trent’anni.

“Pensaci. Un mondo senza i cellulari, MTV, la Playstation, nemmeno il fax! A quei tempi in tv c’erano soltanto tre canali. Tre!”

Ma c’erano gli Allman Bros che swingavano da matti, per esempio: vogliamo mettere? E poi, prova a mettere i Doobie Brothers a.d.1972, e poi un disco dei Duran Duran – tanto per dire – di dieci anni dopo, e dimmi un po’ cosa suona più attuale, e cosa clamorosamente vecchio.
Laudatis temporis actibus, già. E invece no. Perché degli ‘anni marrone’ mica m’interessa far l’agiografia. È solo che se come individuo ti formi dagli zero ai tre anni, come persona è dai tredici ai diciotto che diventi quel che sei; e poi ci resti, altroché! E ci devi fare i conti. Eccomi qui.

Le cose cambiano, sicuro, ma Midnight Rider swinga ancora, ora come allora. In cd, sicuro, rimasterizzato eccetera, non in vinile. E come Gregg inizia a cantare ti ritrovi dov’eri, che tu voglia esserci o no.
E tutto il resto svanisce, svanisce…

“... svanisce quando il complesso comincia a suonare. The Song Remains the Same non è un gran film, ma ci sono i Led Zeppelin che suonano. Su questo non si discute.”

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Post N° 212

Post n°212 pubblicato il 05 Gennaio 2007 da ReDiSperanza
 

immagineChe poi ognuno ha i suoi classici; i classici che si merita, volendola mettere così. E non c’è un criterio guida, una regola certa, una formula. Certe cose ti toccano, altre no: o ti raccontano, ti mostrano qualcosa di te; o non lo fanno. E poi è solo questione di intensità, e di profondità emotiva; cioè a dire quanto di più unico e personale.

Metti Almost Famous. Com’eravamo, cosa avremmo voluto diventare, cosa non siamo più e non siamo poi stati mai. Di Cameron Crowe, uno che sa bene di cosa parla, nello specifico.

E su tutto, la scena nel bus, con Tiny Dancers di Elton John che spiega più di tutte le parole possibili cosa sia (stato?) il rock.

Delle volte mi commuovo per cose davvero sceme.

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Post N° 211

Post n°211 pubblicato il 04 Gennaio 2007 da ReDiSperanza
 

immaginePossiamo vedere le cose anche in questo modo:

da una parte, c'è chi ritiene che il Bene Collettivo coincida con la somma dei singoli beni individuali, e che dunque, prendendosi cura di sé, della propria famiglia, del proprio lavoro, contribuisce alla crescita collettiva, secondo le proprie attitudini, preferenze, gusti.

Dall'altra, c'è chi invece ritiene che il bene individuale discenda dal Bene Collettivo, seguendo le rette regole del quale si realizza in modo compiuto e perfetto la giusta convivenza e il virtuoso modo di vita dei singoli.

I primi, chiederanno sempre più libertà per sé, che vuol dire più libertà per tutti.
I secondi, chiederanno più libertà per tutti, che vuol dire più libertà per sé.
E naturalmente, per i primi la libertà consiste nella diminuzione delle regole, mentre per i secondi vuol dire regole più certe.

Gli uni, così, soffrono del concetto di libertà degli altri. Semplice. 

 
 
 

Post N° 210

Post n°210 pubblicato il 02 Gennaio 2007 da ReDiSperanza
 

immagine«Nel corso della vita non ci sarà certo penuria di gente che ti dice come vivere. Avranno tutte le risposte: cosa dovresti fare, cosa non dovresti fare. Non ci discutere MAI; tu dì sempre “ah sì? È una idea davvero brillante” e poi fai come ti pare.»

Woody Allen, Anything Else

 
 
 
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