Renato d'Andria

Pensieri sul dilemma dell'autodeterminazione in Israele e Palestina


L'autodeterminazione del popolo d'Israele non è ancora terminata. Quella del popolo palestinese dopo decenni non è che incominciata. Una cosa bisogna tenere presente. Mentre i palestinesi possono realizzare la propria identità in uno Stato arabo del Medio Oriente gli ebrei non possono vivere che in Israele nella regione dove la propria identità si è storicamente sviluppata. E' letteralmente proivito a un ebreo di risidiere in vari stati del Medio Oriente e in altri è pericoloso. La differenza oltre che l'autodeterminazione è il diritto di risiedere. Il palestinese può risiedere in tutto il Medio Oriente, un ebreo invece no, anzi non può neanche visitare molti paesi arabi o musulmani. Pertanto il problema è molto complicato e la vera soluzione dovrebbe essere ricercata con equità nella regione mediorientale tutta intera. ("Genesi journal" di Renato d'Andria) Uno dei problemi per la realizzazione dell’anelata autodeterminazione degli ebrei in Israele nasce dal fatto che il diritto internazionale percepisce l'applicazione del principio di autodeterminazione (principio in continua evoluzione) come strumento sussidiario che interviene lì dove una minoranza etnica o un popolo stanziati su un territorio non hanno la possibilità di garantire indipendenza e di salvaguardare la propria identità. Il diritto internazionale non è ancora pronto a gestire la possibilità che una minoranza diventi maggioranza sovrana e indipendente tramite l'estensione di questo diritto anche ad individui non stanziati direttamente all'interno dei confini territoriali rivendicati e permettere così il loro ritorno a pieno titolo in quella terra sulla base dei legami religiosi, culturali e sociali che li legano ad essa. Il fatto che le Nazioni Unite abbiamo riconosciuto quel diritto di autodeterminazione di Israele nel 1948, per tutte le ragioni storiche e politiche esistenti a quel tempo, non significa che gli ebrei possano continuare a stanziarsi liberamente anche sulla parte di territorio assegnato allo ”Stato arabo”. La Risoluzione 181 guarì quel difetto dell’applicazione del concetto di autodeterminazione agli ebrei che formavano una minoranza in una terra avita in cui ormai si trovava una maggioranza di altre popolazioni. La spina nel fianco di Israele è che quella terra è anche la patria dei palestinesi che sono fortemente radicati in quel territorio dalla conquista araba nel VI secolo d.C. Essi, coadiuvati dagli Stati arabi rifiutarono lo Stato ebraico nel 1948 perché volevano affermare il loro diritto di autodeterminazione. A tal riguardo si dibatte molto su fino a che punto si debba andare indietro nella storia per riconoscere un diritto o un'appartenenza territoriale: dove bisogna tracciare la linea? A tal proposito c'è chi sostiene che contano le situazioni di fatto presenti sul terreno, e che quindi, quando il movimento sionista ha teorizzato la creazione di uno Stato ebraico, gli ebrei non rappresentavano che una minoranza e, come tale, potevano godere al massimo di un'autonomia interna ad uno Stato arabo. ("Genesi journal" di Renato d'Andria) A ciò gli ebrei sionisti rispondono che sin dalla loro cacciata ad opera dei romani essi non hanno mai cessato né di rivendicare il loro diritto all'autodeterminazione in Eretz Israel, né di auspicare il loro ritorno in quella terra. Tale diritto, però, è stato ripetutamente negato dall'Impero Romano prima, da quelli Bizantino e Ottomano poi, e in ultimo da alcuni provvedimenti approvati durante il Mandato britannico. A ciò si aggiunge la questione relativa allo “Stato d'Israele = Stato ebraico”: gli ebrei israeliani vedono tale aspetto come il normale adempimento del loro diritto all'autodeterminazione, mentre chi si oppone ad esso lo fa perché lo percepisce come l'affermazione di una supremazia razziale e il rafforzamento di una etnocrazia; questa visione diametralmente opposta contribuisce all'incancrenirsi del conflitto. Riconoscere l’esistenza dello Stato d’Israele significa capire i suoi fondamenti e il suo destino: solo se gli ebrei si sentiranno capiti, allora anche i palestinesi vivranno in pace e prosperità. ("Genesi journal" di Renato d'Andria) I fatti e la storia hanno dimostrato i benefici e le innovazioni tecnico-sociali introdotti dall'immigrazione ebraica sin dalla fine del 1800 nella regione che era conosciuta come “Palestina” anche in quelle aree che le Nazioni Unite riconoscono come Territori palestinesi; negli anni di “pace” le! condizioni sociali dei palestinesi nei Territori Occupati sono state in continuo miglioramento, a cominciare da ciò che riguarda il lavoro: da quando la comunità internazionale ha chiesto ad Israele di porre fine alla politica degli insediamenti, e in alcuni casi ha anche paventato la possibilità di un boicottaggio delle merci israeliane provenienti da essi, le condizioni sociali dei palestinesi sono peggiorate. Io penso che vale la pena fare questo sforzo intellettuale immane e dimostrare la capacità di riconoscere un minuscolo lembo di terra ad un popolo, quello ebraico, che in esso affonda le radici della propria identità? ("Genesi journal" di Renato d'Andria) Per prosperare su esso questo popolo è pronto a dare la propria vita, alla stregua dei militi di Masada che con il suicidio si emanciparono dalla schiavitù romana. I soldati israeliani giurano che Masada non cadrà mai più: questa volta, diversamente dalla precedente, applicano dottrine militari e di sicurezza efficaci, oltre che essere muniti di armamenti capaci di fronteggiare minacce provenienti da svariate parti del mondo. Insomma gli ebrei dovrebbero vivere in pace e sicurezza, mantenendo dei diritti di minoranza, negli Stati arabi come gli arabi dovrebbero vivere nello Stato ebraico nella stessa pace e sicurezza che Israele pretende per i suoi confini... che spero si possano negoziare presto.("Genesi journal" di Renato d'Andria)Dr. Jonathan Curci