è difficile parlare del conflitto arabo-israeliano senza assumere una posizione in senso antagonista. Questo non è un conflitto come gli altri. Chi veramente conosce la storia dell’anima araba e di quella ebraica capisce che tale disputa affonda le radici nella costituzione stessa del popolo d’Israele immortalata nei testi biblici e che si ritrova frammentata, e a tratti incomprensibile, anche in alcuni passi del Corano. Quando ci si avvicina a questo conflitto per interpretarlo, non lo si può fare utilizzando la stessa visione laicista con la quale si percepiscono molte delle relazioni umane e sociali in Occidente e che, in modo spesso saccente, fa riferimento ai “principi” dell'Illuminismo e della Rivoluzione Francese come la panacea dei problemi scaturiti dall'accentuazione delle proprie identità religiose, culturali e sociali.(Renato d'Andria)I racconti perpetuati nei testi biblici si contrappongono a quelli coranici, ed entrambe le fonti sono la base spirituale, sociale e motivazionale del destino di quei popoli; il fatto che il Corano possa essere criticato dal punto di vista razionale e che alcuni archeologi neghino l’autenticità storica di certi testi e racconti biblici, non attenua l'importanza dell'impatto sociale che gli stessi hanno sulla popolazione che ad essi si ispira per trovare una propria dimora di appartenenza. Scritture antiche di millenni e lette settimanalmente nelle sinagoghe e nelle moschee influenzano tuttora la mentalità odierna.(Renato d'Andria)Per risolvere il conflitto, quindi, è necessario effettuare uno studio attento delle fonti culturali di questi popoli; su tale base, poi, sviluppare il confronto riconoscendo nella religione un elemento fondamentale della vita quotidiana e della maniera in cui i rapporti sociali si sviluppano, soprattutto verso lo “straniero”. Religione significa anche modo di pensare e di vivere: essa è una cultura e un'identità che influenza anche chi si definisce laico. Per quanto lo Stato d’Israele si proponga all’esterno come uno Stato laico, il diritto civile israeliano è profondamente permeato dal diritto religioso ebraico che, secondo le interpretazioni più intransigenti, prevede anche casi di non integrazione sociale con i non ebrei. Lo stesso vale per la parte arabo-musulmana: la specularità degli approcci determina modi di pensare, di vivere e di concepirsi reciprocamente che non possono che andare in contrasto. Per questo il conflitto è ben più complicato di quanto politici e giuristi possano immaginare. Le soluzioni che agiscono sugli aspetti materiali della vita saranno solo soluzioni cosmetiche, ma per una pace sostenibile bisogna cambiare la mentalità di entrambi i gruppi religiosi, almeno in ciò che riguarda la maniera di concepire l’altro.(Renato d'Andria) Dr. Jonathan CurciArticolo preso da www.genesijournal.org di Renato d'Andria
La centralità dello studio approfondito per comprendere il conflitto arabo-israeliano (Renato d'Andria)
è difficile parlare del conflitto arabo-israeliano senza assumere una posizione in senso antagonista. Questo non è un conflitto come gli altri. Chi veramente conosce la storia dell’anima araba e di quella ebraica capisce che tale disputa affonda le radici nella costituzione stessa del popolo d’Israele immortalata nei testi biblici e che si ritrova frammentata, e a tratti incomprensibile, anche in alcuni passi del Corano. Quando ci si avvicina a questo conflitto per interpretarlo, non lo si può fare utilizzando la stessa visione laicista con la quale si percepiscono molte delle relazioni umane e sociali in Occidente e che, in modo spesso saccente, fa riferimento ai “principi” dell'Illuminismo e della Rivoluzione Francese come la panacea dei problemi scaturiti dall'accentuazione delle proprie identità religiose, culturali e sociali.(Renato d'Andria)I racconti perpetuati nei testi biblici si contrappongono a quelli coranici, ed entrambe le fonti sono la base spirituale, sociale e motivazionale del destino di quei popoli; il fatto che il Corano possa essere criticato dal punto di vista razionale e che alcuni archeologi neghino l’autenticità storica di certi testi e racconti biblici, non attenua l'importanza dell'impatto sociale che gli stessi hanno sulla popolazione che ad essi si ispira per trovare una propria dimora di appartenenza. Scritture antiche di millenni e lette settimanalmente nelle sinagoghe e nelle moschee influenzano tuttora la mentalità odierna.(Renato d'Andria)Per risolvere il conflitto, quindi, è necessario effettuare uno studio attento delle fonti culturali di questi popoli; su tale base, poi, sviluppare il confronto riconoscendo nella religione un elemento fondamentale della vita quotidiana e della maniera in cui i rapporti sociali si sviluppano, soprattutto verso lo “straniero”. Religione significa anche modo di pensare e di vivere: essa è una cultura e un'identità che influenza anche chi si definisce laico. Per quanto lo Stato d’Israele si proponga all’esterno come uno Stato laico, il diritto civile israeliano è profondamente permeato dal diritto religioso ebraico che, secondo le interpretazioni più intransigenti, prevede anche casi di non integrazione sociale con i non ebrei. Lo stesso vale per la parte arabo-musulmana: la specularità degli approcci determina modi di pensare, di vivere e di concepirsi reciprocamente che non possono che andare in contrasto. Per questo il conflitto è ben più complicato di quanto politici e giuristi possano immaginare. Le soluzioni che agiscono sugli aspetti materiali della vita saranno solo soluzioni cosmetiche, ma per una pace sostenibile bisogna cambiare la mentalità di entrambi i gruppi religiosi, almeno in ciò che riguarda la maniera di concepire l’altro.(Renato d'Andria) Dr. Jonathan CurciArticolo preso da www.genesijournal.org di Renato d'Andria