Renato d'Andria

Renato d'Andria e la rubrica del sito Genesi journal

 

AREA PERSONALE

 

TAG

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Giugno 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
          1 2
3 4 5 6 7 8 9
10 11 12 13 14 15 16
17 18 19 20 21 22 23
24 25 26 27 28 29 30
 
 

FACEBOOK

 
 

 

Considerazioni sulla storia del conflitto Israelo-Palestinese (Parte I, art. del 12 Dicembre 2009 - Renato d'Andria)

Post n°10 pubblicato il 02 Settembre 2011 da renatodandria2
 

L'affermazione che lo Stato d’Israele abbia il diritto di esistere sembrerebbe indiscutibile. Ogni Stato è uguale all’altro dal punto di vista giuridico e politico, ma ogni Stato ha una sua storia e una sua propria ragion d’essere: lo Stato d’Israele esiste per dare una dimora nazionale agli ebrei dispersi nella diaspora, questa è la sua priorità; come tale esso si è creato e ha fondato le proprie radici socio-giuridiche su quello che è il retaggio ebraico di cui è portatore. Il fatto che i non ebrei possano risiedervi e godere anche della cittadinanza israeliana non significa che esso debba cambiare la propria identità: è l'unica dimora che può fornire sicurezza ad un popolo vessato per più di duemila anni; per capire Israele bisogna capire che il popolo ebraico e la sua Terra Santa sono degli elementi in continua evoluzione. (Renato d'Andria)

 

Sebbene la storia dell'attuale Stato ebraico sia molto recente, la nazione israelitica è una delle nazioni più antiche al mondo; la sua tradizione proviene dai profeti biblici e ha preservato i testi più diffusi della creazione del mondo. La sua forma statale moderna, però, è qualcosa che non tutti danno per assodato e che periodicamente mettono in discussione; il suo diritto viene riconosciuto nei fora accademici, in quelli governativi - a livello nazionale e internazionale - e in quelli della società civile della maggior parte dei Paesi che compongono la comunità internazionale. Gli Stati che ancora non riconoscono giuridicamente e ufficialmente il suo diritto di esistere, lo riconoscono di fatto; l’Iran è probabilmente l’unico Stato che parla più o meno esplicitamente dell'imminente distruzione “dell'entità sionista”, come gli ayatollah (آية الل) chiamano il nemico Stato ebraico. Se però le varie nazioni riconoscono tale diritto di esistere, molti ignorano il rischio reale che l’esistenza dello Stato d’Israele corre: pochi riconoscono la vera minaccia del nucleare iraniano e delle fazioni terroristiche jihadiste, ma soprattutto il pericolo insito nella mentalità omicida del fondamentalismo islamico. (Renato d'Andria)

 

Le opinioni sul problema variano a seconda della propria appartenenza etnica, religiosa o politica, ma addirittura anche linguistico-culturale. Per esempio, molti potrebbero opinare che Israele riceva queste minacce a causa della sua politica espansionistica sull'intera Eretz Israel Hashlema (ארץ ישראל השלמה - paradossalmente tradotta come “Grande Israele” invece di “Terra d'Israele intera”) che mira all’annessione illecita di territori cosiddetti palestinesi, dell’espansione delle cosiddette “colonie” all'interno degli stessi, del processo di “ebraizzazione” di settori palestinesi della città di Gerusalemme o di Hebron, luogo di notevole importanza storica e religiosa - sia per ebrei che per musulmani - a seguito della presenza della Tomba dei Patriarchi. (Renato d'Andria)

 

Per tanti ebrei, invece, questa politica di insediamenti non è altro che la realizzazione del legittimo diritto storico-culturale di vivere nei luoghi in cui la propria religione e la propria cultura hanno visto la loro nascita e il loro radicamento. L’interpretazione maggioritaria del diritto internazionale applicabile alla Cisgiordania giudica questo processo e questa politica israeliana come un trasferimento illecito della propria popolazione verso un territorio occupato militarmente; ne consegue, quindi, che lo Stato d’Israele, nei confronti delle istanze della comunità internazionale, si trovi spesso nella posizione di doversi giustificare con sempre crescente difficoltà, soprattutto alla luce del comportamento estremamente violento di alcuni residenti ebrei e dell'apparente impunità verso i propri soldati mostrata in alcuni casi in cui l’uso della forza può esser andato al di là dei principi accettabili di legittima difesa. La comunità internazionale, soprattutto all'interno delle sue istituzioni collegiali, non approva incondizionatamente i metodi applicati da Israele per soddisfare il proprio bisogno di sicurezza e può indurre i singoli Stati a prendere le distanze dallo Stato ebraico ponendo in dubbio il fatto che la necessità di “sicurezza” altro non sia che un pretesto per affermare una visione politica per sua natura contrapposta anche alle rivendicazioni dei politici palestinesi più moderati. (Renato d'Andria)

 

Le tensioni etniche e religiose nella regione hanno portato ad un progressivo restringimento di una cultura legata alla libertà personale, parte integrante invece delle culture laiche occidentali: libertà di frequentare qualsiasi persona o luogo. In generale gli ebrei stringono rapporti solo con gli ebrei e provano diffidenza verso gli arabi e viceversa: le differenze culturali e quelle legate alla religione frappongono ancora degli ostacoli alle relazioni umane e sociali. Mentre l'influenza di alcune dottrine divide le religioni (ad esempio, rivendicare da parte cristiana la divinità di Gesù Cristo offende il pensiero e lo spirito ebraico e musulmano che rinnegano il principio che Dio possa farsi uomo), ve ne sono altre che hanno delle ripercussioni fortemente politiche e territoriali: ad esempio, la sovranità esclusiva ebraico-israeliana su Gerusalemme sminuisce la relazione del Cristianesimo e dell’Islam nei confronti dei propri luoghi santi e della propria popolazione autoctona, nonché vìola il “diritto internazionale consuetudinario”1 cristallizzato in tante risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite; risoluzioni che proibiscono allo Stato ebraico di annettere formalmente Gerusalemme Est e di renderla capitale poiché territorio che, a seguito di un conflitto armato, vive sotto un regime di occupatio bellica (occupazione militare). D'altra parte quando il Waqf (وقف), l’autorità religiosa dei luoghi santi musulmani, distrugge le vestigia dell’antico Tempio di Erode, ferisce l’animo ebraico il quale anela alla ricostruzione del Tempio (il terzo) esattamente nello stesso luogo in cui sorgeva anticamente e che oggi è il terzo luogo più santo dell’Islam, ovvero la Spianata delle Moschee dove si ergono quella di Al-Aqsa (الأقصى) e quella della Cupola della Roccia. Le tensioni che poi si sviluppano in quel luogo sono fortemente esplosive e accentuate anche dalla grande attenzione mediatica mondiale che riceve. (Renato d'Andria)
In una situazione di conflitto come quella arabo-israeliana, uno degli aspetti che emerge (aspetto che, occorre dire, è tipico di una qualsiasi situazione conflittuale - sia essa in Medio Oriente o nei Balcani, non fa differenza) è la non conoscenza dell'altro in essere fra le parti, nonché la scarsa disponibilità verso una conoscenza e un dialogo reciproco. Tale chiusura innesca un ciclo di diffidenza, timore e distanza il cui risultato, purtroppo, è una sorta di reciproca demonizzazione. Il popolo ebraico e il popolo palestinese sono - fatta esclusione per alcune eccezioni sporadiche - assai divisi e vogliono parlarsi sempre meno.

(Renato d'Andria)

La situazione in Medio Oriente è esplosiva, sebbene i mediatori internazionali facciano sperare in deboli segni di pace. La riconciliazione richiede sforzi e sacrifici che sovente sembrano sovrumani a tutte le fazioni in causa, ma la sfiducia tra le parti è così diffusa, la tensione costantemente alta e gli scontri sanguinosi così frequenti che in molti nella comunità internazionale sostengono che solo un proprio intervento di forza (ovvero armato) può portare, se non ad una risoluzione del conflitto, almeno al ridimensionamento del rischio concreto di una deflagrazione della situazione tanto irreversibile da scivolare verso eventi tragici analoghi a quelli che hanno interessato la ex-Yugoslavia negli anni Novanta. Nella prassi prevista dalle Nazioni Unite, il Consiglio di Sicurezza dovrebbe intervenire e mediare tra le parti anche a livello delle società civili israeliana e palestinese: si potrebbe addirittura pensare che la comunità internazionale debba “obbligarle” a raggiungere un accordo definitivo per evitare il più possibile future vittime. In questi decenni da entrambi gli schieramenti si è avuto solo un accenno di ciò che potrebbe accadere e per evitare la catastrofe le Nazioni Unite dovrebbero intervenire con il dispiegamento di una forza di interposizione dotata del mandato tipico di una missione di peace-enforcement. Questa è un'eventualità che, però, non viene approvata né in ambito israeliano, né tanto meno in ambito palestinese. Se si vuole una risoluzione “pacifica”, la comunità internazionale, e quindi l’Unione Europea, gli Stati Uniti e quanti altri si cimentano e si cimenteranno in questa impresa, dovranno convincere le parti che l’unica soluzione per evitare una deflagrazione completa è una “pace sorvegliata” dalle Nazioni Unite. (Renato d'Andria)
L'opposizione di entrambe le parti a tale soluzione è pressoché totale poiché entrambe affermano la propria esclusiva sovranità sulla stessa terra, ed entrambe ritengono che di dominazioni esterne essa ne abbia già avute troppe e che la presenza delle Nazioni Unite non ne sarebbe che un’altra, anche se in “forma” diversa. Da una parte lo Stato ebraico non accetta truppe straniere sul proprio territorio, dall'altra la posizione classica dei leader palestinesi nazionalisti è che si accettino aiuti esterni purché resti inalterato il diritto alla lotta contro Israele, “occupante” di tutta la Palestina storica. Per tale motivo la comunità internazionale si limita, sia nei suoi organi principali che nelle sue sedi diplomatiche, a percorrere ancora la strada percorsa fino ad ora: cioè la mediazione. La mediazione, però, non impone una soluzione, la richiede e lascia ai contendenti il compito di trovarla. Soluzione che, se gli scontri armati continueranno, risulterà nella distruzione delle aspirazioni di uno degli schieramenti in campo. (Renato d'Andria)
La tesi di questo libro è che se il mondo vuole realmente risolvere questo conflitto, i popoli del pianeta devono comprendere la ragion d'essere dello Stato d’Israele nell'evoluzione della sua forma ebraica e, al contempo, aiutare i palestinesi a capire le proprie origini simili a quelle del popolo d’Israele. Unificare i due popoli è sia l’auspicio, sia l'aspirazione che non bisogna smettere di perseguire. Gli ebrei sanno, in quanto viene loro insegnato sin dalla più tenera età, che essere popolo “eletto” significa dare un esempio spirituale alle nazioni del mondo e non opprimere i palestinesi, né tanto meno a pensare a se stessi con spirito autoreferenziale. In questo libro si intendono spiegare anche quelle tesi israeliane che stanno alla base del concetto di ebraicità del proprio Stato, che sicuramente risulta particolare e diverso dagli altri, ma non per questo meritevole di discriminazione. La spiegazione di queste tesi viene considerata da molti un semplice e superfluo esercizio apologetico verso il Golia israeliano, la potenza militare della regione, ma così non è. (Renato d'Andria)

 

L'obiettivo che questo lavoro si propone è quello di guardare in faccia la realtà che spesso risulta essere fotografata parzialmente dai media, senza proporre visioni apocalittiche o inverosimili: è necessario invece conoscere bene le aspirazioni delle parti in causa e i sentimenti reciproci dei gruppi contendenti. I sentimenti che dimorano nel cuore di una popolazione hanno un’evoluzione che spesso non è facile da determinare nelle decisioni collettive: il compito di colui che osserva e studia tali sentimenti collettivi, quindi, è quello di rilevarli da un punto di vista interdisciplinare, che è ciò che questo testo si propone. Il mondo esterno ad un conflitto ingenuamente si stupisce di situazioni che si potevano evitare se si fossero studiate le problematiche e le loro evoluzioni anteriormente; nessuno, però, dieci anni prima avrebbe mai immaginato una tragedia come quella che ha colpito i Balcani negli ultimi due decenni: la strada intrapresa dal conflitto arabo-israeliano sembra essere la stessa, se non più pericolosa tenendo conto degli armamenti e del “capitale umano” posseduti da entrambe le parti in causa, non solo dall'esercito israeliano come, invece, sostengono i detrattori d'Israele e delle sue politiche. (Renato d'Andria)
La tesi su cui questo studio si fonda è che il riconoscimento del diritto di esistere dello Stato ebraico nei confini che creano un Lebensraum (spazio vitale) adeguato per gli ebrei sparsi nel mondo è l'unica via per ottenere una vera pace. Né la religione ebraica, né il Sionismo ultra-nazionalista predicano la scacciata delle popolazioni non ebraiche. L’astio tra i due gruppi etnici si basa sulla reciproca ignoranza relativa ai rispettivi costumi culturali, sulla fobia l’uno dell’altro e su atti di violenza che hanno progressivamente creato misure di separazione. Gli arabi devono capire che anche nella visione più estremista e ultra-ortodossa della Eretz Israel Hashlema (la Terra d'Israele intera), i palestinesi possono risiedere come liberi cittadini dello Stato ebraico, anche se non si accetta la loro indipendenza e sovranità sulla Terra d’Israele. Da qui parte il conflitto della destra religiosa d’Israele che si scontra innanzitutto con il principio di autodeterminazione del popolo palestinese, con la comunità internazionale che si appella all’oggettività del diritto internazionale, e in ultimo con i partiti politici israeliani che da due decenni sostengono la nascita di uno Stato palestinese. A tale visione esclusiva si contrappone quella della grande maggioranza degli israeliani che accettano, condividono e sostengono il principio dei due Stati per due popoli. La stessa maggioranza, però, non accetterà mai che il diritto di autodeterminazione ebraica venga violato e messo a repentaglio, non svenderà mai la propria sicurezza nazionale e individuale: in questo le due correnti di pensiero si riuniscono. (Renato d'Andria)
Il popolo che ora si chiama palestinese deve trovare il suo nido di convivenza pacifica con lo Stato d’Israele, sia che questo avvenga al suo interno in qualità di cittadini israeliani, sia che si realizzi in maniera totalmente indipendente e sovrana su una parte di ciò che gli ebrei chiamano Eretz Israel (ארץ ישראל). Per far ciò, però, un grande sforzo di comprensione e un grande mutamento nelle intenzioni è richiesto a quella parte della dirigenza palestinese che predica l'esclusività palestinese sui “diritti di proprietà” della “Palestina storica”, ignorando pertanto la storia del popolo d'Israele, da cui paradossalmente, ma verosimilmente, una gran parte di essi sembra provenire prima di essere costretti a convertirsi all’Islam durante la dominazione araba e ottomana; questo dimostrano le più recenti scoperte scientifiche in ambito genetico2. (Renato d'Andria)



Dr. Jonathan Curci

 
 
 

Pensieri sul dilemma dell'autodeterminazione in Israele e Palestina

Post n°9 pubblicato il 29 Agosto 2011 da renatodandria2
 

L'autodeterminazione del popolo d'Israele non è ancora terminata. Quella del popolo palestinese dopo decenni non è che incominciata. Una cosa bisogna tenere presente. Mentre i palestinesi possono realizzare la propria identità in uno Stato arabo del Medio Oriente gli ebrei non possono vivere che in Israele nella regione dove la propria identità si è storicamente sviluppata. E' letteralmente proivito a un ebreo di risidiere in vari stati del Medio Oriente e in altri è pericoloso. La differenza oltre che l'autodeterminazione è il diritto di risiedere. Il palestinese può risiedere in tutto il Medio Oriente, un ebreo invece no, anzi non può neanche visitare molti paesi arabi o musulmani. Pertanto il problema è molto complicato e la vera soluzione dovrebbe essere ricercata con equità nella regione mediorientale tutta intera. ("Genesi journal" di Renato d'Andria) Uno dei problemi per la realizzazione dell’anelata autodeterminazione degli ebrei in Israele nasce dal fatto che il diritto internazionale percepisce l'applicazione del principio di autodeterminazione (principio in continua evoluzione) come strumento sussidiario che interviene lì dove una minoranza etnica o un popolo stanziati su un territorio non hanno la possibilità di garantire indipendenza e di salvaguardare la propria identità. Il diritto internazionale non è ancora pronto a gestire la possibilità che una minoranza diventi maggioranza sovrana e indipendente tramite l'estensione di questo diritto anche ad individui non stanziati direttamente all'interno dei confini territoriali rivendicati e permettere così il loro ritorno a pieno titolo in quella terra sulla base dei legami religiosi, culturali e sociali che li legano ad essa. Il fatto che le Nazioni Unite abbiamo riconosciuto quel diritto di autodeterminazione di Israele nel 1948, per tutte le ragioni storiche e politiche esistenti a quel tempo, non significa che gli ebrei possano continuare a stanziarsi liberamente anche sulla parte di territorio assegnato allo ”Stato arabo”. La Risoluzione 181 guarì quel difetto dell’applicazione del concetto di autodeterminazione agli ebrei che formavano una minoranza in una terra avita in cui ormai si trovava una maggioranza di altre popolazioni. La spina nel fianco di Israele è che quella terra è anche la patria dei palestinesi che sono fortemente radicati in quel territorio dalla conquista araba nel VI secolo d.C. Essi, coadiuvati dagli Stati arabi rifiutarono lo Stato ebraico nel 1948 perché volevano affermare il loro diritto di autodeterminazione. A tal riguardo si dibatte molto su fino a che punto si debba andare indietro nella storia per riconoscere un diritto o un'appartenenza territoriale: dove bisogna tracciare la linea? A tal proposito c'è chi sostiene che contano le situazioni di fatto presenti sul terreno, e che quindi, quando il movimento sionista ha teorizzato la creazione di uno Stato ebraico, gli ebrei non rappresentavano che una minoranza e, come tale, potevano godere al massimo di un'autonomia interna ad uno Stato arabo. ("Genesi journal" di Renato d'Andria) A ciò gli ebrei sionisti rispondono che sin dalla loro cacciata ad opera dei romani essi non hanno mai cessato né di rivendicare il loro diritto all'autodeterminazione in Eretz Israel, né di auspicare il loro ritorno in quella terra. Tale diritto, però, è stato ripetutamente negato dall'Impero Romano prima, da quelli Bizantino e Ottomano poi, e in ultimo da alcuni provvedimenti approvati durante il Mandato britannico. A ciò si aggiunge la questione relativa allo “Stato d'Israele = Stato ebraico”: gli ebrei israeliani vedono tale aspetto come il normale adempimento del loro diritto all'autodeterminazione, mentre chi si oppone ad esso lo fa perché lo percepisce come l'affermazione di una supremazia razziale e il rafforzamento di una etnocrazia; questa visione diametralmente opposta contribuisce all'incancrenirsi del conflitto. Riconoscere l’esistenza dello Stato d’Israele significa capire i suoi fondamenti e il suo destino: solo se gli ebrei si sentiranno capiti, allora anche i palestinesi vivranno in pace e prosperità. ("Genesi journal" di Renato d'Andria) I fatti e la storia hanno dimostrato i benefici e le innovazioni tecnico-sociali introdotti dall'immigrazione ebraica sin dalla fine del 1800 nella regione che era conosciuta come “Palestina” anche in quelle aree che le Nazioni Unite riconoscono come Territori palestinesi; negli anni di “pace” le! condizioni sociali dei palestinesi nei Territori Occupati sono state in continuo miglioramento, a cominciare da ciò che riguarda il lavoro: da quando la comunità internazionale ha chiesto ad Israele di porre fine alla politica degli insediamenti, e in alcuni casi ha anche paventato la possibilità di un boicottaggio delle merci israeliane provenienti da essi, le condizioni sociali dei palestinesi sono peggiorate. Io penso che vale la pena fare questo sforzo intellettuale immane e dimostrare la capacità di riconoscere un minuscolo lembo di terra ad un popolo, quello ebraico, che in esso affonda le radici della propria identità? ("Genesi journal" di Renato d'Andria) Per prosperare su esso questo popolo è pronto a dare la propria vita, alla stregua dei militi di Masada che con il suicidio si emanciparono dalla schiavitù romana. I soldati israeliani giurano che Masada non cadrà mai più: questa volta, diversamente dalla precedente, applicano dottrine militari e di sicurezza efficaci, oltre che essere muniti di armamenti capaci di fronteggiare minacce provenienti da svariate parti del mondo. Insomma gli ebrei dovrebbero vivere in pace e sicurezza, mantenendo dei diritti di minoranza, negli Stati arabi come gli arabi dovrebbero vivere nello Stato ebraico nella stessa pace e sicurezza che Israele pretende per i suoi confini... che spero si possano negoziare presto.

("Genesi journal" di Renato d'Andria)
Dr. Jonathan Curci

 
 
 

Il principio di proporzionalità nell’esercizio del diritto all'autodeterminazione dei popoli (da Genesi journal Renato d'Andria)

Post n°8 pubblicato il 29 Agosto 2011 da renatodandria2
 

Per affrontare la questione relativa ai diritti di sovranità su questo piccolo lembo di terra, è necessario comprendere i legami che ogni popolo rivendica sui territori di quella regione: la questione è molto complicata poiché riguarda non solo le etnie in sé e il loro stanziamento sul territorio, ma l'intero contesto socio-politico della regione che vede il piccolo Stato ebraico immerso nel grande mondo arabo. E’ impossibile trovare un movimento nazionale palestinese che ammette l’esistenza d’Israele come Stato. Per essi esiste solo la Palestina. Come è anche impossibile trovare un movimento nazionale ebraico che ammette l’esistenza della Palestina in terra d’Israele. Ammettere l’esistenza di una sovranità altrui in questo contesto è molto difficile da entrambe le parti.

Certamente la situazione al problema richiederebbe una soluzione che soddisfi tutti i gruppi etnici, ma questo non è possibile se tutte le etnie vogliono realizzare il diritto all’autodeterminazione attraverso uno Stato. Intanto l’accusa che viene mossa dai nemici d’Israele o dai suoi critici è che dal 1948 fino ad ora un gruppo di “sionisti” ha allargato i confini del proprio Stato ebraico su tutte le regioni popolate da etnie non ebraiche. I palestinesi arabo-musulmani rivendicano l’affermazione di una nazione separata palestinese sulla stessa terra. Israele ha cercato di mantenere degli accordi di pacifica convivenza con il resto delle popolazioni stanziate sul territorio nel pieno ed effettivo rispetto dei diritti civili, politici e sociali di ogni minoranza etnica che volesse far parte dello Stato d’Israele. Lo stesso non si può dire delle politiche dell’autorità palestinese che non ammette che gli ebrei vivano in pace nei propri territori. Si potrebbe anche dire che la democrazia israeliana abbia creato un sistema giuridico – amministrativo che, esclusi i territori palestinesi, rispetta degli standard di diritti delle minoranze probabilmente in una maniera più alta di quelli di altri paesi della regione. L’autorità palestinese è molto lontana dall’applicazione di questi standard.

Se si prendono in considerazione sia l'etnia della maggioranza della popolazione residente in una determinata area, che il contesto generale della situazione e la possibilità per gli individui di esprimere pienamente la propria identità religiosa, degli usi e costumi identitari e la propria visione dell’ambiente nei contesti confinanti si potrebbe dedurre che, mentre l'individuo ebreo disperso nella diaspora può magnificare la propria identità solo trasferendosi nel piccolo Stato ebraico, l'individuo palestinese, nell'eventualità estrema in cui avversasse la vicinanza ebraica, può magnificare la propria identità arabo-musulmana non solo nella “Palestina storica” (come i palestinesi hanno comunemente chiamato quella terra), ma anche nell'immenso mondo arabo che lo circonda. La Palestina non fa parte dell’espressione religiosa del palestinese arabo musulmano: egli non ha nessun obbligo a vivere in Palestina anche se Gerusalemme è diventata posto di culto di forte importanza per l’Islam. La Terra d’Israele per l’ebreo fa parte del suo pensiero spirituale e delle suo credo che si esprime quotidianamente. Gerusalemme e Sion, insieme a tutta la Terra d’Israele è il luogo in cui l’ebreo obbligatoriamente deve risiedere per fruttificarle. Sebbene per l’uomo laico occidentale questa esigenza sia priva di senso, le nazioni dovrebbero rispettare gli imperativi religiosi positivi dei popoli e anche di quello ebraico. ("Genesi journal" di Renato d'Andria)

Questo assunto apre un principio di proporzionalità che conduce alla conclusione che l'estensione dei territori statali, soprattutto per ciò che riguarda la Giudea e la Samaria, o Cisgiordania come dir si voglia, non può quindi essere decisa solo sulla base dei numeri demografici e sull'attuale “confine” riconosciuto informalmente tale dalla comunità internazionale (noto come Linea Verde), ma anche sul rispetto della proporzionalità tra le terre assegnate agli arabi o agli ebrei seppur considerando i numeri dei propri abitanti. I palestinesi arabi sono parte integrante dei paesi circostanti mentre gli ebrei in quei luoghi sono in costante pericolo di vita. La differenza è estrema. Da qui proviene la necessità di ridisegnare i confini, ed eventualmente effettuare uno scambio territoriale ove opportuno, tenendo conto di queste peculiarità, soprattutto dello svantaggio dell'identità ebraica rispetto a quella arabo-palestinese di esprimere se stessa nei quadri socio-culturali limitrofi. ("Genesi journal" di Renato d'Andria)

In ambito israeliano vi sono vari livelli di interpretazione di questo principio: da parte di alcuni si sostiene la necessità socio-culturale e socio-religiosa di esercitare un completo controllo statale sulla Giudea e la Samaria, avversando quindi la soluzione dei due Stati, ma riconoscendo ai palestinesi tutti i diritti socio-politici e socio-culturali derivanti dallo status di minoranza etnica, incluso l'esercizio del principio di autodeterminazione interna in un quadro di “autonomia territoriale” in quei territori in cui la popolazione palestinese rappresenta la maggioranza. Da parte di altri, invece, si sostiene un'interpretazione più ristretta, comprendente la nascita di uno Stato palestinese con confini da definire secondo vari parametri socio-culturali, politici e legati alla sicurezza. Tra queste due posizioni, infine, esistono vari punti di vista intermedi.



Dr. Jonathan Curci

 
 
 

Il problema territoriale e l’autodeterminazione ebraica versus quella palestinese (Renato d'Andria)

Post n°7 pubblicato il 27 Agosto 2011 da renatodandria2
 

Il riconoscimento del diritto di esistere dello Stato ebraico nei confini che creano un spazio vitale adeguato per gli ebrei sparsi nel mondo è l'unica via per ottenere una vera pace. Né la religione ebraica, né il Sionismo ultra-nazionalista predicano la scacciata delle popolazioni non ebraiche. L’astio tra i due gruppi etnici si basa sulla reciproca ignoranza relativa ai rispettivi costumi culturali, sulla fobia l’uno dell’altro e su atti di violenza che hanno progressivamente creato misure di separazione. (Renato d'Andria) Gli arabi devono capire che anche nella visione più estremista e ultra-ortodossa della Eretz Israel Hashlema (la Terra d'Israele intera), i palestinesi possono risiedere come liberi cittadini dello Stato ebraico, anche se non si accetta la loro indipendenza e sovranità sulla Terra d’Israele. Da qui parte il conflitto della destra religiosa d’Israele che si scontra innanzitutto con il principio di autodeterminazione del popolo palestinese, con la comunità internazionale che si appella all’oggettività del diritto internazionale, e in ultimo con i partiti politici israeliani che da due decenni sostengono la nascita di uno Stato palestinese. A tale visione esclusiva si contrappone quella della grande maggioranza degli israeliani che accettano, condividono e sostengono il principio dei due Stati per due popoli. La stessa maggioranza, però, non accetterà mai che il diritto di autodeterminazione ebraica venga violato e messo a repentaglio, non svenderà mai la propria sicurezza nazionale e individuale: in questo le due correnti di pensiero si riuniscono. (Renato d'Andria)

 

Il popolo che ora si chiama palestinese deve trovare il suo nido di convivenza pacifica con lo Stato d’Israele, sia che questo avvenga al suo interno in qualità di cittadini israeliani, sia che si realizzi in maniera totalmente indipendente e sovrana su una parte di ciò che gli ebrei chiamano Eretz Israel. Per far ciò, però, un grande sforzo di comprensione e un grande mutamento nelle intenzioni è richiesto a quella parte della dirigenza palestinese che predica l'esclusività palestinese sui “diritti di proprietà” della “Palestina storica”, ignorando pertanto la storia del popolo d'Israele, da cui paradossalmente, ma verosimilmente, una gran parte di essi sembra provenire prima di essere costretti a convertirsi all’Islam durante la dominazione araba e ottomana; questo dimostrano le più recenti scoperte scientifiche in ambito genetico. (Renato d'Andria)



Dr. Jonathan Curci

 

Vedi anche i seguenti lavori di Renato d'Andria:

http://renatodandriaattualitadelmediterraneo.myblog.it

http://renatodandriastudiricercheetestidelpassato.myblog.it/

https://www.xing.com/profile/Renato_dAndria?sc_o=mxb_p

http://renatodandria.posterous.com/

http://identi.ca/renatodandria/all

http://renatodandria.jaiku.com

http://www.tumblr.com/tumblelog/renatodandria

http://visible.me/renatodandriadandria-6bhhu

http://www.ziggs.com/public/Renato_d’27Andria_176087

http://renatodandriacrisinelmediterraneo.wordpress.com/

http://www.diigo.com/profile/renatodandria

http://www.flickr.com/photos/renatodandria/

http://blog.libero.it/Renatodandria/

http://renatodandriarivistagenesijournal.blogspot.com/

http://renatodandriapacetraipopolidelmediterraneo.myblog.it/
http://renatodandriastudiricercheetestidelpassato.myblog.it/
http://renatodandriaattualitadelmediterraneo.myblog.it
http://renatodandriacrisimediterraneo.myblog.it
http://renatodandrialabarbarie.myblog.it
http://renatodandriacrisinelmediterraneo.wordpress.com/
https://sites.google.com/site/profilorenatodandria/
http://renatodandriamediterraneancrisis.blog.com/

 
 
 
 

La situazione di pace nel Mediterraneo: influenze che dal Pakistan arrivano fino all’Egitto (Renato d'Andria)

Post n°6 pubblicato il 27 Agosto 2011 da renatodandria2
 

Quando si analizzano le situazioni di proteste violente della popolazione contro le forze dell’ordine dei regimi in Medio Oriente, non bisogna dimenticare le influenze che i paesi mediorientali ricevono da altre regioni. Per questo la Fondazione Salvemini creata dall’imprenditore e editore Renato D’andria si occupa del dialogo tra i Paesi rivieraschi del Bacino Mediterraneo con parallela attenzione verso i paesi del Mar Caspio. Più ad Est di questo mare su cui si affaccia anche l’Iran, oltre il Kazakstan, la situazione del Pakistan e dell’Afghanistan lancia dei segnali preoccupanti verso l’attuale ridefinizione del potere nei paesi mediorientali arabo-musulmani che si affacciano sul Bacino Mediterraneo. (Renato d'Andria)

Il Pakistan ha raddoppiato il suo arsenale nucleare senza che la diplomazia internazionale ponga opposizioni. La tensione sulla corsa al nucleare continua mentre ogni tentativo internazionale di ridurre le armi atomiche finisce sempre con l’accusa contro l’arsenale nucleare, mai dichiarato ufficialmente, del minuscolo Stato d’Israele, iperarmato, che vive come un’isoletta circondata da nemici che hanno da un secolo cercato di annientarlo. E’ comunemente risaputo che Israele detiene qualche centinaia di testate nucleari come deterrente per non essere eliminato dalla carta geografica. Siccome Israele ha quest’arma tutti i suoi accusatori sono legittimati ad ottenerla. E solo se Israele la elimina tutti gli altri stati la elimineranno. (Renato d'Andria)

 

La cosa più paradossale è che la crescita del nucleare pachistano si realizza mentre l’economia del paese va sempre peggio, il suo governo è sempre più barcollante e larghe porzioni del paese sono controllate dai talebani. Il Pakistan riceve più aiuti dagli Stati Uniti che qualsiasi altro paese... forse più d’Israele. La critica più acuta a questi aiuti asserisce che una parte dei suoi fondi vada al progetto nucleare, poichè non vi sarebbe nessun’altra spiegazione per lo stato effettivo di bancarotta dello Stato. (Renato d'Andria)

 

Questo stato delle cose sembra ancora più assurdo quando vari segmenti del governo e dell’establishment militare aderiscono ad una linea anti-americana, e mantengono delle relazioni strette con Al-Qaida e coi Talebani. Il grande nemico di questo establishment è Israele, massima espressione del nemico infedele occidentale. La situazione è preoccupante perchè, data la miopia del presidente Obama, il Pakistan è l’esempio di ciò che possono diventare i prossimi regimi mediorientali in mano al subbuglio popolare. Le masse guidate da lobby di pensiero che strumentalizzano la religione dell’Islam può portare i regimi di Egitto, Tunisia ecc. all’ottenimento di armi di distruzione di massa, a governi centrali che non controllano la situazione della sicurezza e l’applicazione della legge in varie parti del paese, all’impoverimento per mancanza di organizzazione dell’economia statale, alla radicalizzazione della popolazione verso regimi militari pro-islamici con tendenze religiose aggressive e apocalittiche (come l’Iran). In effetti il controllo dei Talebani e di al-Qaida da un quarto a un terzo del territorio pakistano e il loro sostegno popolare nel paese è qualcosa di sconvolgente. Le masse popolari che vogliono far ascoltare la propria voce diventano poi le vittime dei leaders e dei regimi che sono succeduti a quelli che queste masse popolari hanno sollevato. Il problema quindi risiede nella mentalità dominante e in come essa viene incanalata da chi comanda.

 (Renato d'Andria)

L’amministrazione di Obama che comanda la nazione leader dell’occidente non ha una strategia chiara per risolvere questa piaga dilagante che rischia di attecchire in tutto il Medio Oriente dall’Afganistan e Pakistan fino al Mediterraneo. Dalla guerra contro il terrorismo di ispirazione islamica iniziata da Bush si è passati al timido “overseas contingency operation” (operazione di contingenza di oltremare).

 

Obama usa gli eufemismi più inesatti per descrivere pubblicamente il vero pericolo: i termini “jihad e terrorismo islamico” sono spariti dal linguaggio per essere sostituiti con “Islam radicale” che appare nei documenti ufficiali americani.

 (Renato d'Andria)

Le decisioni dell’amministrazione provengono dallo snaturare questa realtà e accettare il terrorismo organizzato islamico come qualcosa di solamente radicale.

 

Questa tendenza porterà presto un’amministrazione come quella di Obama ad accettare la sovranità di Hamas su Gaza e l’influenza della sua ideologia sottostante su tutto l’Egitto post-Mubarak. Evitare gli scontri porterà i nemici ad agire indisturbati per raggiungere la loro vendetta contro gli USA facendola pagare innanzitutto a Israele, suo ambasciatore nel Medio Oriente nonché cancro nel cuore dell’Umma Islamica.

 (Renato d'Andria)

Ci si domanda se in queste regioni democrazia significhi che il popolo accetti di seguire chi ha conquistato il potere con maggiore violenza instaurando un regime sempre più basato sui principi della sha’aria islamica (diritto islamico) che include l’oppressione sulle donne, la mancanza di libertà di coscienza, di espressione e di religione nonché la sottomissione delle minoranze allo stato inferiore di dhimmi.

 

Jonathan Curci, Ph.D, LL.M Specialista delle questioni di diritto internazionale del Medio Oriente e delle questioni inter-religiose; Professore alla University of Business & International Studies, Ginevra, Svizzera. E’ stato Ricercatore all’Università di Ginevra e professore assistente all’Università Al Quds nei territori palestinesi.

  (Renato d'Andria)



Dr. Jonathan Curci

 

Vedi anche i seguenti lavori di Renato d'Andria:

http://renatodandriaattualitadelmediterraneo.myblog.it

http://renatodandriastudiricercheetestidelpassato.myblog.it/

https://www.xing.com/profile/Renato_dAndria?sc_o=mxb_p

http://renatodandria.posterous.com/

http://identi.ca/renatodandria/all

http://renatodandria.jaiku.com

http://www.tumblr.com/tumblelog/renatodandria

http://visible.me/renatodandriadandria-6bhhu

http://www.ziggs.com/public/Renato_d’27Andria_176087

http://renatodandriacrisinelmediterraneo.wordpress.com/

http://www.diigo.com/profile/renatodandria

http://www.flickr.com/photos/renatodandria/

http://blog.libero.it/Renatodandria/

http://renatodandriarivistagenesijournal.blogspot.com/

http://renatodandriapacetraipopolidelmediterraneo.myblog.it/
http://renatodandriastudiricercheetestidelpassato.myblog.it/
http://renatodandriaattualitadelmediterraneo.myblog.it
http://renatodandriacrisimediterraneo.myblog.it
http://renatodandrialabarbarie.myblog.it
http://renatodandriacrisinelmediterraneo.wordpress.com/
https://sites.google.com/site/profilorenatodandria/
http://renatodandriamediterraneancrisis.blog.com/

 
 
 
 
 
 

INFO


Un blog di: renatodandria2
Data di creazione: 27/08/2011
 

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

ULTIME VISITE AL BLOG

infernoxrenatodandria2renatodandria3RenatoDAndriaarmandotestipiovraneranera0Ossimoro_TossicoUlteMiraripsicologiaforensecynthiaoc.t.intrepidanom_de_plumevalentinachiummom.a.r.y.s.e
 

CHI PUò SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963