replay

serata da star


Sono stato tra i primi ad arrivare.Il parcheggio era ancora vuoto, solo tre o quattro macchine erano arrivate prima della mia. Ero nervoso. Come sarebbe stata la prima volta che lo vedevo dal vivo? Come sarebbe stato sentirlo cantare dal vivo?Avevo una paura fottuta di rimanere deluso. Sarebbe crollata una parte fondamentale della mia adolescenza, stiracchiata in questa attesa fino a ieri? Si, perché finché non l’avessi visto dal vero sarebbe rimasto un sogno, un’illusione, una promessa...Ho visto un sacco di gente strana, tra i cinquanta e i vent’anni, ma questo me l’aspettavo. Qualcuno, però, a vederlo/a così era veramente strano/a, anche per me che di solito non mi formalizzo…Sul palco un telone trasparente con la stampa del viso di Oscar Wilde la dice lunga sulla moderazione del Nostro, comunque ci sta.La cornice anche era appropriata. La villa cinquecentesca di Codroipo abbraccia nel modo più consono la poesia che ha reso celebri tante ballate e tanti pezzi quasi rock.L’attesa, lunga, il ritardo, il concerto che non iniziava più… C’è chi si fa la foto davanti al palco, chi fa un giro a prendere un paio di birre, chi saluta chi, chi guarda il cielo che promette fulmini. Sul palco una ragazzina spennacchiata che urla nel microfono pestando sulle tastiere, accompagnata da un batterista, cercano di riscaldare un’atmosfera la cui temperatura, per quanto mi riguardava, era già a livello di guardia.Ad un certo punto un po’ di gente che un attimo prima stava tranquillamente chiacchierando e scattando foto, si è letteralmente fiondata addosso al palco urlando. Non ce l’ho fatta a rimanere seduto. Anzi, non ho fatto neanche in tempo a pensare di rimanere seduto, in fondo, alla mia età, non posso mica lasciarmi andare a scene d’isterismo tardo adolescenziale, no? Niente, sono scattato in piedi, ho fatto un salto! Ma tutto troppo presto, non era ancora uscito.Mi sono visto, ero ridicolo, come una di quelle ragazzine bionde e oche (non ho niente contro le bionde né, tanto meno, contro le oche, sante, avercene…) che urlano isteriche ed eccitate al concerto dei Take That (dico loro perché non so oggi chi sia di moda…) saltando per acchiappare al volo una goccia di sudore dal loro idolo sul palco….Eppure ero io.La folla attorno al palco non ci pensava nemmeno a tornare a sedere, finché, complice il buio che iniziava a calare, le luci che aumentavano di intensità, i pezzi di sottofondo che inneggiavano ai vecchi tempi – cover degli Smiths cantate molto bene da non so chi (in fondo sono molto ignorante) – dietro al palco si è iniziata a percepire la concitazione dell’imminente inizio.Vederlo salire sul palco è stata veramente una bella emozione. Pantaloni neri, camicia gialla, i capelli bianchi che si vedono anche da qualche fila indietro, era lui, che ringraziava la “folla” per non essere rimasta seduta sulle sedie di plastica, l’unica cosa che veramente stonava in tutta l’ambientazione.Quando, come seconda canzone in scaletta, ha intonato le prime note di Panic sono definitivamente saltato in piedi, affanculo tutti quelli che mi guardano e vaffanculo me che mi vergogno e non dovrei, a cantare a squarciagola…È incredibile, ho cantato Panic con Morrissey. Non credevo che sarebbe successo. Se avessi potuto avrei agguantato io quella camicia gialla, intrisa di sudore, lanciata sulle braccia tese davanti al palco.È stato grande. Grande.Durante tutto il concerto, ho cantato, ho riso e alla fine mi sono commosso quando ha detto, prima di intonare l’ultima canzone: “Remember me this way”.Il concerto è durato un’oretta e un quarto, un’oretta e mezza, non molto. Ma quando è finito sono tornato alla macchina galleggiando. Ero sconvolto.Non mi immaginavo che mi avrebbe fatto quest’effetto.Morrissey dal vivo – non ci credo ancora di averlo visto live – si è rivelato una sorpresa. Un personaggio da palcoscenico. Ed io che mi immaginavo una caricatura… niente affatto. Un artista, con voce e talento scenico. Forse sto esagerando, qualcuno mi ridimensiona, please? Davvero, tecnicamente mi ha fatto un’ottima impressione, anche a mente fredda, con quel suo bel daffare a far fare il serpente al cavo del microfono, frustando il palcoscenico a destra e a sinistra come un torero con la sua muleta. Un grande.Grande. La parola che mi viene più naturale è “grande”.Caro Morrissey, ti ho conosciuto e amato ai tempi degli Smiths, ho continuato ad ascoltarti e a leggerti durante tutti questi anni, e ti ricorderò così.