ricomincioda7

IN CASTIGO


LIBERTA'… INTERIORE.Al gruppo di teatro "I ragazzi over 65" quest'anno ci occupiamo... degli anziani!Sembra facile, viste le nostre età, ma non è così!La nostra giovane regista ci fa anche scrivere, perchè nello spettacolo finiranno parti dei nostri racconti, oltre che le ispirazioni da un libro che stiamo leggendo, ma di cui ancora non parlerò!La settimana scorsa dovevamo scrivere una nostra esperienza, di quando ci siamo sentiti liberi, io sono ritornata alla prima infanzia e dato che il mio raccontino, che ho letto a tutti, pare sia piaciuto, ho pensato di riproporlo anche agli amici da queste parti... 
Quando ero piccola, molto piccola, ero parecchio birbona secondo quanto diceva la mia mamma e spesso finivo in castigo. A dire la verità non ricordo assolutamente che cosa combinassi di così grave, ricordo soltanto di un grosso danno quando giocando maldestramente ruppi il vetro di un mobiletto porta-liquori molto bello e particolare: il vetro era curvo, non se ne trovavano per sostituirlo, ricordo i conciliaboli dei miei genitori col vetraio e la sua sostituzione con listelli di vetro affiancati un po' in curva, unico modo per rimediare… e quei listelli sono rimasti fino a quando non abbiamo disfatto la casa di mamma, fissando nella mia memoria quel disgraziato incidente. Invece ricordo molto bene come funzionava il castigo… Nella cucina di casa c'era un alto mobile-credenza di legno colorato in giallo e celeste, tipico degli anni '50, tra il fianco del mobile e la parete della stanza restava uno spazio piccolo, ma sufficiente a “contenere” una piccola bambina come ero io allora. Quello era “l'angolino del castigo” e dopo una solenne sgridata e magari anche qualche scapaccione ecco la pena definitiva gridata dalla mamma: -Vai nell'angolino del castigo e rimani lì finché non ti chiamo io!- Che fosse un modo per togliermi dalla circolazione per un po' ed evitare nuovi danni? Ma io non arrivavo allora a sospettare tale motivazione e rassegnata mi rintanavo in questo piccolo spazio, dove nessuno più mi vedeva ed io restavo isolata da tutti e da tutto. Non mi dispiaceva poi tanto… lì pensavo, fantasticavo e mi inventavo storie: il piccolo ripiano su cui si appoggiava la parte superiore della credenza diventava un piccolo palcoscenico su cui le mie dita erano i personaggi… si inchinavano principesse, correvano cavalli… così passavo il tempo, non mi sentivo affatto in castigo, né i sensi di colpa mi facevano rinsavire, anzi, mi sentivo soddisfatta dalle belle storie che mi raccontavo, dimenticavo in fretta l'umiliazione delle sgridate e il bruciore degli sculaccioni. Solo una cosa mi metteva in crisi in quella situazione: a volte venivano in casa delle clienti della mia mamma che a domicilio riparava le calze velate. Se una di queste signore arrivava mentre io stavo nell'angolino del castigo, non vedendomi in giro per la casa chiedeva: -E la bimba dov'è?- La mamma rispondeva: -E' nell'angolino del castigo, perché....- e raccontava il “fattaccio” del giorno. Ecco, solo in quelle occasioni io avrei voluto sprofondare e sparire davvero...Nota: la credenza dell'immagine l'ho trovata in rete: è molto simile a quella della mia infanzia.