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« DI NOVEMBREIERI »

23 novembre 1980

Post n°1036 pubblicato il 24 Novembre 2013 da atapo
 

 

"UN MOSTRO CHIAMATO TERREMOTO”

Purtroppo ultimamente le catastrofi che hanno coinvolto migliaia di persone con un numero esagerato di vittime si sono susseguiti: nelle Filippine, negli Stati Uniti, in Sardegna... Il pensiero dell'oggi, l' angoscia, la preoccupazione del domani, le ipotesi e le accuse, la compassione e la solidarietà riempiono i giornali e i media. In questi giorni anche grande spazio è stato dato alla commemorazione dell'assassinio di J.Kennedy. Invece nulla ho trovato, tranne un piccolo post su facebook da parte di un'amica, che ricordasse la tragedia avvenuta in Italia nel 1980, il 23 novembre. Forse, mi chiedo con amarezza, non è un anniversario IMPORTANTE, forse è meglio tenerlo in ombra nascosto sotto alle sue macerie, forse è finito sommerso da tante altre tragedie?

 


 

In quel giorno ci fu uno spaventoso terremoto in Irpinia: rase al suolo paesi tra la Campania e la Basilicata, fece migliaia di vittime. Questo ricordo, a cui ho ripensato anche quando visitai la Basilicata nel 2011, per me è legato anche ad una esperienza nel mio lavoro di insegnante a cui ritorno sempre con tenerezza ed orgoglio.

Abitavo ancora a Bologna ed avevo una classe quinta in quell'anno. Era il primo gruppo di alunni con cui avevo percorso l'intero quinquennio della scuola elementare, impostando il lavoro secondo i principi della scuola attiva in cui credevo ed ora, dopo cinque anni, con mia grande soddisfazione, erano diventati ragazzini intellettualmente vivaci e creativi, interessati alle problematiche della vita reale che entravano nelle attività scolastiche. Quella tragedia in Irpinia si inserì nel nostro lavoro, in particolare sfogliavamo i giornali, leggevamo gli articoli più semplici, guardavamo le terribili immagini... Scattò in noi tutti il desiderio di fare qualcosa, si stavano raccogliendo aiuti in molti modi... e pian piano prese corpo un'idea, non so più se lanciata da me o nata pian piano, più probabilmente, durante una delle nostre conversazioni.

Allora usavamo molto una “macchina tecnologica” chiamata episcopio, con cui si potevano proiettare su schermo o parete le immagini, come se fossero diapositive, ma direttamente dai fogli senza bisogno di fotografarle o altro. L'avevamo già usata nei laboratori artistici, dove alcune fiabe venivano riprodotte con una sequenza di disegni della misura adatta a questo proiettore, poi incollati su una lunga striscia di carta che chiamavamo LA PELLICOLONA; facendo scorrere questa striscia nell'episcopio si proiettavano le immagini narrando la storia, contemporaneamente il “sonoro” proveniva da una registrazione su cassetta della sceneggiatura della storia, in cui i bambini interpretavano i personaggi. Una tecnologia semplice, ma efficace, che coinvolgeva molto tutti nelle fasi del lavoro e il risultato finale era sempre di grande effetto.

Ecco, in quella situazione venne l'idea di fare uno dei nostri film per l'episcopio. Non si trattava di una fiaba stavolta, ma sarebbe stata una documentazione sulla tragedia. Era un'esperienza nuova e ci buttammo con entusiasmo.

Gli alunni si suddivisero in gruppi e ognuno affrontò un argomento, per esempio: “notizie scientifiche”, “le distruzioni”, “i soccorsi”, “i bambini”, “interviste alla gente” ecc. Attraverso cinque o sei fogli ogni gruppo doveva far passare il suo messaggio in modo incisivo, usando disegni, frasi, ma soprattutto immagini e titoli ritagliati dai giornali. Fu un bel lavoro di sintesi e di tecniche di comunicazione... Non ci sarebbe stato commento parlato, ma soltanto sonoro con alcune musiche appropriate.

Dopo aver completato la nostra “pellicolona” ed aver parlato col direttore didattico, la proiettammo alle altre classi della scuola, una o due per volta: ad ogni proiezione uno dei miei alunni, sempre diverso, aveva il compito di spiegare il significato del nostro lavoro chiedendo un contributo in denaro che avremmo mandato alla scuola di uno dei paesi terremotati con cui Bologna si era gemellata. Raccogliemmo una buona somma, il “film” era veramente espressivo e toccante.

I miei alunni, col consenso dei genitori, accompagnarono il denaro con un'altra proposta: erano disponibili, se necessario, ad una adozione a distanza di una classe di quei paesi, alla quale ci impegnavamo a fornire il materiale indispensabile per tutto il resto dell'anno scolastico. L'adozione poi non si concretizzò, ma ci arrivò una commovente lettera del direttore didattico che metteva in risalto, oltre all'impegno, il livello di consapevolezza, di solidarietà e cittadinanza raggiunto dai miei alunni.

Anch'io, come loro insegnante, ne rimasi colpita, era per me una grande gioia questo risultato raggiunto dopo cinque anni di lavoro insieme.

Sapete, quei “films”, con le loro cassette, li conservo ancora da qualche parte in casa... quando mi capitano sottomano mi emozionano sempre... soprattutto questo che intitolammo “Un mostro chiamato terremoto”.

 
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