le ali nella testa

Clandestino


Il mare era calmo, come per sedare nella notte fonda le paure fra le tante rughe stanche. Fatima stringeva fra le gambe nella veste lunga il piccolo Nadir. Affamati, esausti, si accalcavano uomini dagli occhi increduli e sgomenti. Il mare enorme ed infinito, era come le pene che si portavan dietro. L’odore di speranza esalava, pregnante e forte, dai vestiti lisi e le parole crude. Nadir si guardava intorno spaventato, tornando sempre, come a un sicuro porto, allo sguardo dolce di sua madre. Forzerò il destino per mio figlio. Partirò a ogni costo, Allah è con me e con lui. Forzerò il destino e andrò oltre la fame e l’odio, lascerò tutto, perché il mio tutto è niente. Porterò il bambino altrove, non lascerò che cresca di questa guerra. Allah è con me. Il mare d’improvviso fu ostile, scompaginando esigue e fragili certezze. Le urla s’alzarono col vento e gli uomini in piedi sul barcone a cercare appigli.Fatima s’accovacciò in un angolo per sottrarre il bimbo al terrore della ressa. Furono
le preghiere a urlare l’aiuto al cielo e a uomini lontani accorsi da sponde straniere e sconosciute. Un altro dio, un’altra terra. Presto ci salveranno! Li sento arrivare in questo mare di disperazione. Le braccia alzate dai corpi magri e zuppi, sporti dal bordo dilaniato del barcone. Ognuno un grido, e una bocca come una ferita a vomitar dolore. Il mare, che disprezza le paure, continuò a scoraggiare aiuti che giunsero solo all’alba a recuperare i corpi.Il piccolo Nadir restò protetto dal corpo che l’aveva partorito e come per tornare nel suo ventre s’era accovacciato e raggomitolato sotto la lunga veste lisa della madre. Lo trovarono così, ammutolito dal terrore e dalla fame. Sporco d’urina e di escrementi, lo sguardo supplicante e secco, quasi vitreo. Non parlò mai, mentre lo trasportavano al centro d’accoglienza, ché le sue parole laggiù non le avrebbero capite. Sentì concitazione ed urli in una lingua strana, di cui avrebbe per sempre ricordato un suono: "clandestino”!