le ali nella testa

Il vecchio abete


 Lo sguardo smarrito si inoltrò al di là della finestra, verso la cima di un vecchio abete infreddolito ed appena mosso dal vento gelido di dicembre. Erano molti i pensieri che gli affollavano la mente e la memoria ancora lucida. Ma rimanere a letto, in quella camera bianca d’ospedale, gli rendeva tutto grave, irreparabile, drammatico.
Un malessere improvviso aveva sorpreso la sua voglia di muoversi, guidare l’auto, uscire a passeggiare. Vivere senza pensare agli anni che gli appesantivano le spalle. Un malanno da nulla! È solo il freddo di questo inverno gelido. Passerà, così com’è arrivato.Invece non era passato e lui si era  ritrovato sul lettino del pronto soccorso, con le mani dei medici che lo frugavano senza chiedergli il permesso. Poi il ricovero e i giorni tesi d’attesa e d’ansia. Gli accertamenti e le parole misteriose dei dottori che si avvicendavano, un turno dietro l’altro. Per loro un lavoro, per lui un via vai che gli stordiva i sensi.Gli occhi ogni tanto si chiudevano, dietro le palpebre pesanti d’attesa, di noia e di vita. Ma poi subito si riaprivano, per paura di non riconoscere più il mondo, che in quel breve lasso di tempo assopito, si sarebbe trasformato ancora e poi ancora. Di nuovo lo sguardo andò al di là della finestra, ai rami tremanti dell’alto abete di quel grande piazzale in cui le ambulanze facevano avanti e indietro, ognuna con il proprio dolore.E nei ricordi che affollavano quelle ore d’ansia opaca, rivedeva la sua vita a ritroso, come un film al contrario. Non aveva mai sofferto di nulla. Aveva lavorato di un lavoro duro che spacca le mani e le ossa, fino a quando le sue spalle larghe glielo avevano permesso. Ripensava ai suoi figli lontani, impigliati fra le maglie dell’esistenza che si erano scelti. Sua moglie invece era li. Questo pensiero gli fece istintivamente scorrere la mano sulle lenzuola e subito trovò quella donna minuta che gli era sempre stata accanto. Senza distogliere lo sguardo dalla finestra si lasciò trasportare dalle immagini che si inseguivano nella sua mente scombussolata dall’insolito soggiorno. La rivide vestita di bianco e poi sudata ed esausta, lavorargli accanto, senza lamentarsi mai. Nasce, fra due persone che hanno ingoiato la stessa vita insieme, un legame silenzioso e tenace, che traspare dai gesti semplici. Un coraggio condiviso che non ha bisogno di parole, che si legge negli sguardi che l’una volge all’altro. Così succede, che a una certa età, ci si senta quasi dipendenti dall’affetto che negli anni s’è trasformato, rafforzato, arricchito. Succede che, la coscienza di aver quasi esaurito il proprio tempo, si ancori con tenacia ad una delle poche cose che possano riscaldare il cuore: lo sguardo di chi ci è vissuto accanto per una vita intera.Il rumore di passi frettolosi lo distolse dai rami esausti dell’abete, sui quali ricordi e pensieri si erano allineati uno accanto all’altro, come uccelli infreddoliti. Il medico entrò sorridendo e gli toccò i piedi sporgenti in fondo al letto. Era poco più che un ragazzo, avrebbe potuto essere suo nipote e questo lo intenerì. Il camice bianco e la targhetta accanto al taschino gli davano un’aria professionale. Anche le sue parole nelle ore precedenti erano rimbalzate fra le pareti della camera come sentenze inoppugnabili. Il dottore ha detto, il dottore  pensa che, il dottore è il dottore. Ma ai suoi occhi era pur sempre un ragazzo. Lo guardò con aria interdetta…che avrà mai da sorridere?-   Oggi la rimandiamo a casa. È contento?Gli accertamenti avevano evidenziato dei lievi disturbi cardiaci, compagni dei suoi anni, piccoli e grandi dolori raccolti lungo la strada che aveva percorso senza mai fermarsi, né voltarsi indietro. Ma erano disturbi controllabili con una terapia che poteva fare a casa.Sentì le lacrime calde inondare gli occhi stanchi e la mano di sua moglie stringere la sua. Il dottore aveva detto che poteva alzarsi, vestirsi e tornare a casa. Tornare a casa, sedersi davanti al caminetto, telefonare ai suoi ragazzi, mangiare al suo tavolo, dormire nel suo letto.La moglie lo aiutò a vestirsi in silenzio, consolando le lacrime con i suoi sorrisi. Il braccio pronto per sorreggerlo ed erano già nel piazzale. Il cielo bianco e rigido come una lastra di ghiaccio li abbagliò un poco e lui riparò lo sguardo col palmo della mano. Poi avvertendo il tocco morbido dei piccoli fiocchi bianchi, alzò il viso.- Guarda, nevica.Lei si affrettò ad abbottonargli il cappotto intorno al collo e a fare un doppio giro di sciarpa. Poi lo prese per mano e gli sussurrò “andiamo a casa”.E s'avviarono così, tenendosi per mano.