PENSIERI DI VITA...

Sulla mitologia irlandese...


 
 La mitologia irlandese è la più antica ad essere stata scritta nella lingua del popolo e non in una lingua classica accessibile soltanto ai letterati. Le numerose leggende irlandesi sono frutto di antiche tradizioni popolari più che di miti e superstizioni. Alcune storie compaiono in forma scritta a partire dal VII secolo, ma molte risalgono a ben più di 2.000 anni fa, quando i druidi le tramandavano oralmente da una generazione all’altra.Il Lebor na hUidre è la raccolta più antica di leggende irlandesi. Si tratta di un’opera piuttosto ampia, di cui sono giunte fino a noi solo 69 pergamene (molto danneggiate e conservate alla Reale Accademia irlandese di Dublino) presumibilmente risalenti ad un periodo compreso tra il 1100 ed il 1400 d.C. (venne compilata almeno i due tempi differenti). 
Gran parte del contenuto, fra cui la più antica versione del notissimo Tàin Bò Cuailnge, deriva dal Ciclo dell’Ulster, ma riporta anche capitoli relativi a tradizioni orali differenti, quali il Ciclo Feniano. Fu compilata nel monastero di Clonmacnoise per mano di tre amanuensi, indicati nel libro con le iniziali M., A. e H.: Máel Muire mac Célechair (M.), morto in una sortita vichinga nel 1106 d. C., lavorò in tandem con A. (monaco di cui non ci è giunto il nome), mentre il compilatore H. lavorò sull’opera molto tempo dopo, presumibilmente fra il 1200 e il 1330.Molti studiosi ritengono si tratti della celebre pelle mora di San Ciaran, una sorta di reliquia sacra. Si narra infatti che il santo al momento di intraprendere la vita monastica venisse osteggiato dai genitori; egli abbandonò così la propria casa senza alcun mezzo di sussistenza. Ma poiché egli aveva pronunciato una benedizione di congedo dalla famiglia stando sdraiato a terra, una mucca lo seguì volontariamente e durante tutto il suo percorso formativo in convento nutriva lui ed i confratelli con prodigiose quantità di latte. Alla morte del bovino la sua pelle venne conciata e resa pergamena; su di essa il santo scrisse il Tàin Bò Cuailnge sotto dettatura dello stesso mitico Fergus che gli parlò dall’aldilà. La pelle venne conservata come una reliquia a Clonmacnoise, la nota città monastero in cui si formò San Ciaran.
 Il Tàin Bò Cuailnge (tradotto in italiano, Il furto di bestiame di Cooley) è il poema cardine della mitologia irlandese. Alcuni ricercatori hanno ritrovato le basi storiche di questo racconto che racconta la distruzione del regno dell’Ulster, catastrofe che accadde realmente.La storia racconta della guerra tra i reami dell’Ulster e del Connaught. A causarla fu la regina Maeve del Connaught che lasciò il marito, re dell’Ulster, e sposò Eochaid, re del Connaught, per poi innamorarsi del giovane nipote di quest’ultimo, Aillil, che, ucciso lo zio, salì al trono a fianco della regina.Aillil possedeva il Toro dalle Bianche Corna, simbolo di potere e ricchezza. Ma Maeve non poteva sopportare che qualcuno avesse più di lei. Così, per essere pari al marito, decise di inviare le sue truppe per rubare l’ambito Toro Bruno di Cooley, invadendo di conseguenza l’Ulster. Ma a scongiurare l’invasione intervenne il terribile guerriero Cù Chulainn, figlio del dio sole Lugh, che riuscì a sventare il complotto avendo la meglio sui nemici. La regina Maeve non tardò però a vendicarsi e, per mezzo di alcuni stregoni, portò Cù Chulainn alla morte.
 La storia di Cuchulainn racconta che, a sette anni, quando ancora si chiamava Setanta, uccise il cane feroce di Culainn il Fabbro colpendolo con un bastone da hurling (è una delle prime volte in cui viene citato questo tipico sport irlandese). Per placare l’ira di Culainn, Setanta si offrì di fare le veci del suo cane sorvegliandone la casa. Così prese il nuovo nome di Cuchulainn, che significa il cane di Culainn. Prima di andare in guerra Cuchulainn assunse proporzioni enormi, il suo corpo si tinse di vari colori e uno dei suo occhi si ingigantì.
 Se è vero, quindi, che la mitologia celtica abbonda di guerrieri temerari e di gesta eroiche, va detto anche che le fiabe irlandesi sono popolate da fate, folletti, spiriti e altre creature soprannaturali. Gli irlandesi vantano, non a torto, di essere i veri conoscitori del piccolo popolo o popolo fatato che vive, da tempi immemorabili, in un mondo che appartiene ad una dimensione magica e incantata. A popolare questo mondo ci sono un numero incredibile di creature strane e bizzarre come streghe, fate, elfi, folletti e molti altri. Ed è proprio con un racconto che ha per protagonista un folletto che si conclude questa breve trattazione sulle fiabe e le leggende irlandesi.
"IL FOLLETTO DELLA COLLINA E LA MASSAIA". È risaputo che il "buon popolo", non sopporta l’avarizia. A esso piace essere trattato con generosità quando chiede qualcosa alla gente umana, e, d’altra parte, esso è immancabilmente generoso nel caso che qualcuno gli si rivolga per bisogno.Ora, c’era una certa massaia che aveva un occhio attento ai propri interessi nelle cose quotidiane e dava in elemosina ciò di cui non sapeva che farsene, per il bene della sua anima. Un giorno un folletto della collina bussò alla sua porta."Buona madre, mi puoi prestare una casseruola?" egli disse. "C’è un matrimonio sulla collina e tutte le pentole sono in uso.""Gliela devo dare?" chiese la sguattera che aveva aperto la porta."Sì, certo", rispose la massaia. "Bisogna essere gentili col vicinato."Ma quando la ragazza prese la casseruola dallo scaffale, ella le pizzicò il braccio e sussurrò così: "Non quella sciattona! Prendi quella vecchia dalla credenza. Perde, e i folletti della collina sono così puliti, e tali svelti lavoratori, che di sicuro l’aggiusteranno prima di riportamela. Così uno fa un favore al -buon popolo- e risparmia sei penny della riparazione. Non imparerai mai a essere attenta finché la tua testa poggia sulle spalle".Così rimproverata, la ragazza prese la casseruola, che era stata messa da parte fino alla nuova visita dello stagnaio e la diede al folletto, il quale la ringraziò e andò via.Al tempo dovuto la casseruola fu portata indietro e, come la massaia aveva previsto, era riparata e pronta all’uso.Verso sera la ragazza riempì la casseruola con il latte e la mise sul fuoco per la cena dei bambini. Ma nel giro di pochi minuti il latte era così bruciato che nessuno poteva toccarlo e perfino i porci rifiutarono la brodaglia nella quale era stato gettato."Ah ragazzaccia buona a nulla!" urlò la massaia, e rimise il latte nella padella ella stessa. "Tu rovineresti persino il ricco con la tua negligenza. Hai buttato un intero quarto di latte in una volta sola!" "E questo fa due penny", urlò una voce che sembrava provenire dal camino, in un tono piagnucoloso, come se uno spirito scontento e ciarliero stesse ripassando i torti fattigli.La massaia non aveva lasciato la casseruola per più di due minuti, quando improvvisamente il latte si mise a bollire e fu tutto bruciato come prima."La padella deve essere sporca", borbottò la buona donna, con grande irritazione, "e due buoni quarti di latte sono stati buttati ai cani.""E questo fa quattro penny", aggiunse la voce dal camino.Dopo un’accurata pulizia, la casseruola fu ancora una volta riempita e messa sul fuoco, ma senza risultati migliori. Il latte fu rovinato irreparabilmente e la massaia pianse lacrime amare per lo spreco, gridando: "Non mi è mai successa una cosa simile da quando conduco le faccende di casa! Tre quarti di buon latte bruciati per un pasto!" "E questo fa sei penny", gridò la voce dal camino. "Non hai risparmiato sulla riprazione dopo tutto, madre!"Con queste parole il folletto della collina capitombolò dal camino e uscì dalla porta ridendo.Ma da allora la casseruola fu buona come qualsiasi altra.