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Post n°66 pubblicato il 01 Agosto 2009 da rivistagiuridicaita
non soltanto finisce coll’emarginarla dal dialogo – che assume spesso connotazioni costituzionali – con la Corte di giustizia, la quale manifesta nei confronti dei giudici comuni una maggior forza di attrazione, ma costringe questi, in tutti i casi in cui possa darsi luogo ad un doppio rinvio ad anteporre – privilegiandolo – quello comunitario a quello alla Corte costituzionale. Quest’ultima, dunque, finisce col subire gli orientamenti del giudice comunitario senza nemmeno poterlo influenzare, come già in molti casi è avvenuto, soprattutto quando sia in gioco il principio di eguaglianza. Son ben note le questioni attinenti ai lettori di lingua straniera nelle università italiane e alla produzione di pasta di grano duro, nelle quali la giurisprudenza comunitaria ha finito per piegare alle sue esigenze la giurisprudenza interna, rovesciando la prospettiva nazionale del giudizio di eguaglianza ed è altrettanto nota la vicenda dell’uso della lingua nei processi che si celebrano nella provincia di Bolzano, in cui la sentenza 28 novembre 1998 (C-274/96) della Corte di giustizia ha finito col sovrapporre la propria ratio (libertà di circolazione dei cittadini europei) alla ratio nazionale (tutela delle minoranze linguistiche) di una norma derogatoria al principio dell’uso della lingua italiana, finendo coll’estenderne oltre misura la portata (analogo discorso potrebbe farsi con riferimento alla sentenza 11.1.2000, causa C-285/98, sull’impiego delle donne nelle forze armate).
11 – Il tema della Convenzione europea dei diritti dell’uomo interessa pure la presente relazione sia per il carattere costituzionale dei diritti che ne sono garantiti sia per un accentuato sviluppo negli ultimi anni della giurisprudenza della Corte di Strasburgo. La tradizionale impostazione dualistica dei rapporti di questa Convenzione con il nostro ordinamento sembra ancora salda e, salvo il precedente di cui alla già ricordata sent. 10/1993, la Corte non ha |
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