Rocche del Crasto

ROMANZO


QUELL'ESTATE A MANGALAVITE(clicca sopra il titolo) RecensioneQUELL'ESTATE A MANGALAVITE, è un "ripasso" di "storie nella Storia" partorito dalla "penna" di Gaetano Zingales che, pur avendo affermato (amaramente?) in un suo post su Fb che "...da quel momento decisi di non pubblicare alcun mio lavoro", io - al contrario dell'Autore - spinto dalla curiosità, non ho voluto perdermi l'occasione di non leggere quanto, che per la "penna" longese, era l'ultimo suo lavoro pubblicato. Posso dire, così come per altri 29 amici di Gaetano, omaggiati il giorno del suo 80. genetliaco, di una copia (la mia è la 22.) di quello che "il Longese" ama chiamare la "mia ultima fatica letteraria, (omettendo volutamente? forse!) la necessaria puntualizzazione: in ordine di tempo". Io lo spero che non sia l'ultima, perché quella dell'Autore è "una penna" non meritevole di essere riposta in fondo ad un cassetto.La trama è già tutto un romanzo da leggere nei riflessi di uno specchio (Zingales...) rivolto al passato che anela un ritorno ad "Itaca" (alla "sua" Longi ?), quando bambino, in compagnia della madre, si recavano a Crocetta, allora popoloso villaggio in agro longese. L'Autore, nelle cui vene scorre la poesia, va oltre il ristretto confine della laboriosa comunità' e nei riflessi di quello specchio si scorge fanciullo a cavalcare Mangalavite, amena località dove superba, sorgeva l'antica masseria sede estiva feudale del barone Averardo Montemylè. Nell'ebrezza della cavalcata, il fanciullo che vive in lui, viene pervaso dalla musa e scrive su fogli che il tempo non ha ingiallito: "Riempiono le valli di odorose resine / quei monti verdi cingenti la declive pianura / da cui s'alzano rocce alpine."E' da quest'incanto della natura, che l'Autore ci fa conoscere i personaggi che calcheranno le scene negli intrigati fatti del racconto il quale va avanti piacevolmente per 244 pagine, dove baroni, marchesi, baronessine, marchesini, farmacisti, sindaci, preti, carabinieri e, intraprendenti fattori tra feste, festini, "scappatelle" e magnum sbafatorie a base di maccheroni fatti in casa al sugo di suino dei Nebrodi, di gustoso castrato cotto sulle braci e libagioni di "rosso" nostrano, Zingales ci "racconta" di una borghesia non "matrigna", bensì accondiscendente e godereccia, circondata da "sevitù" tutto-fare e, all'occorrenza, devota amante di virili virtù. Infatti, Zingales, nel divenire della storia di "Quell'estate..." non paventa un "ritorno" di quel feudalesimo sempre pronto a rinascere nelle forme più audaci ed oppressive che le sono proprie, al contrario mette sulle labbra dei protagonisti "struggenti dialoghi amorosi" che non conoscono soluzione di continuità, quell'amore che l'Autore "ricama" dipingendolo quale sentimento essenziale nella vita dell'uomo.Ed è proprio nel raccontare l'ultimo "amore" della storia, che Zingales si manifesta quale "puro cantore di vicende umane", sviluppatesi tra amore platonico pronto ad esplodere e struggenti desideri volutamente non appagati giacché frenati da sentimenti religiosi e timori di ripercussioni familiari. Ma, una volta rotti gli argini, l'amore prende il sopravvento e i due protagonisti - una bellissima ragazza calabrese Beatrice, studentessa di lingue orientali presso l'università di Napoli, di famiglia dalle origini albanesi, e Alberto, siciliano di nobili discendenze, giornalista di un quotidiano romano che si trovava in Calabria, per una cura idropinica nelle vicine terme del paese della ragazza - è tutto un divenire di vicende e di dialoghi, pregnanti di teneri sentimenti e di amplessi che nella descrizione dell'Autore-poeta, se non "raggiungevano" il paradiso, di sicuro lo "graffiavano".In conclusione, ho ragione di pensare, che in Gaetano Zingales, autore e poeta, in "Quell'estate a Mangalavite" il tema ricorrente è quello dell'amore. Difatti, in chiusura della bella favola che vive e si consuma in ben 100 pagine, fa dire a Beatrice rivolgendosi al "suo" Alberto, un "non credente": "Di te non credente m'illumino / quando cogli sul mio capo / i fiori d'un'inesistente primavera; / quando poni le rondini / nei miei occhi d'infantile marea; / quando calpesti i roveti / insieme ai miei piedi che sanguinano / di te io m'illumino". NINO VICARIO