Rocche del Crasto

COSI' RAMMENTO LONGI NEGLI ANNI '4O


ERA BELLO IL MIO PAESECandidi i fiocchi cadevano dal cielo sugli stinti sconnessi “canali”da cui filtrava l’acre fumo di legna accesa nella “tannura”;brontolava la massaia per il lento cuocere della polentaunico cibo assieme al nero pane.Nella notte il freddo plasmava diafani “cannileri” alla base dei tetti a sgrondomentre il braciere spento si preparava a dipingere “fucili”sulle gambe fasciate di ruvida lana.Percorrevamo, scolari, i malconci vicoliscivolando sui gradini ghiacciati, bombardati dallo scolo dei “canaluni”,attenti a non farci sfuggire il piccolo scaldino,misera illusione nelle fredde aule.Marinavamo la scuolaper scolpire l’omino con la pipa sull’enorme palla nevosaagglomerata lungo la “ciacata” del Corso:saettavano allora sulla piazza palle di neve contro il goffo pupazzo.Il bianco tutt’intorno penetrava le nostre virginee animeche elevavano canti attorno al fuoco del Natale.Poi, quando il profumo di ginestra inondava l’ariaed il garofano occhieggiando tra le pendule “campanelle” sui davanzalicarezzava mite le narici s’usciva nei campiavendo compagni il belar della caprettaed il monotono brucare del rude asinello.Intanto, le donne sferruzzando sedevano sul “paraturi”mentre i pulcini razzolavano tra i ciottoli del vicolo.E la sera era festa attorno alla “cardella” fumante,a male pena rischiarata dalla traballante “lumaricchia”.Riempivamo di grida la “chiesa sfasciata” o il “chiano” dell’Annunziatacalciando un improvvisato pallone,ci trastullavamo spruzzando l’acquasul volto delle ragazze che lavavano i panni alla “Fontana”o strisciando a rimpiattino tra i “ficarazzi” del “Vignalazzo”per poi dissetarci alle fluenti acque dei Due Canali.Millenario borgo dalle case piccole e vetuste tra il Castello e la S.Croce,abitazioni piene di genteche talvolta si dividevano con gli animali da cortile,armoniosi acquerelli sul declive pianoro a sbalzo sull’acque del Milè;dedalo di viuzze strette con le “quartare” a riempiremesse a turno dinanzi alle antiche fontane.Sereno ciarlare tra le comari sull’uscio di casa,notti scaldate da un bicchiere di vino al banco del “putiaro”per dare il via alla vibrante “chianota”.Notti senza luce complici di languide serenatesulle note di un mandolino aiutato da qualche chitarra.Così fluivano le stagioni in quegli anni quaranta:vita grama, senza pretese ma tanto amore tra la gente.Tasselli di un mosaico consegnati alla storiamemorie di ricordi andati:volti amati maestri di vita,scorci dipinti che non esistono più.Era bello il mio paese d’allora tanto poveroma ricco di antichi sapori.Gaetano Zingales