Creato da cittadinolaico il 20/03/2008

La città per noi

percorsi culturali e politici nella metropoli

CHI SONO


Mi chiamo  Marco Zanier  e sono nato a Roma  il 19 Marzo 1973 in un Rione del Primo Municipio. Gli studi: Ho frequentato le Scuole pubbliche fin dalla  prima infanzia, ricevendo sempre un’ottima istruzione. Seguendo l'incli- nazione naturale per il Disegno e la Storia dell'Arte, ho frequentato con profitto il Liceo Artistico, diplomandomi con 54/60. Ho continuato gli studi umanistici  iscrivendomi a Lettere e Filosofia con indirizzo Letteratura italiana  moderna e contemporanea presso l’Uni- versità “La Sapienza” di Roma. L'attività politica:  Da ragazzo sono stato iscritto per tre anni (dal 1997 al 1999) all'"Associazione Nazionale Antirazzista 3 Febbraio" favorendo la tutela legale degli immigrati, la loro difesa dai pregiudizi razzisti, informandoli sulle normative vigenti in Italia, favorendo il dialogo tra culture e contribuendo a costruire il Terzo Festival  Interetnico in Piazza San Giovanni. Nel Primo Municipio, sono stato fondatore nel 2004 e membro dell’Esecutivo fino al 2008, ossia fino al suo scioglimento, dell’"Associazione Cittadini Castro Pretorio- Sallustiano", che ha fatto da tramite fra le richieste dei cittadini e gli amministratori locali eletti sul territorio, favorendo la risistemazione funzionale degli spazi urbani e l’erogazione      dei servizi (leggi l'articolo del Corriere della Sera ).  Nel 2008 mi sono iscritto al Partito Socialista e in qualità di delegato ho partecipato ai lavori del Primo Congresso Nazionale, aderendo alla Prima Mozione. A Dicembre 2008 sono stato nominato Responsabile Cultura della Federazione Romana del Partito Socialista.  Sono tra i fon- datori dell’ "Associazione SocialismoeSinistra" (che pro- muoveva il dialogo tra PSI e SEL) e di essa sono stato il Segretario degli strumenti multimediali,  avendone ideato e gestito tecnicamente la comunicazione virtuale attraverso il suo  Blog ufficiale.   Dopo aver sostenuto per due anni la necessità di un rinnovamento profondo del Socialismo italiano ispirato soprattutto alle figure di Rodolfo Morandi e Francesco  De Martino e della politica che dovrebbe necessariamente ripartire dalla conoscenza dei problemi reali per realizzare una società migliore per tanti, nell'estate del 2010 ho lasciato il Partito e l'Associazione  av- vicinandomi al PD e alle scelte di Pierluigi Bersani . Oggi, lasciato il PD, mi sono riavvicinato al PSI ed ai compagni che richiedono un Congresso aperto alla società civile.

 


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« Essere socialista vuol d...IL LAZIO PUO' DIVENTARE... »

Essere socialista vuol dire stare dalla parte dei lavoratori (prima parte)

Post n°93 pubblicato il 21 Dicembre 2009 da cittadinolaico


 

Io continuo a credere che il Socialismo sia una cosa seria e che aderirvi significhi sentire come importanti e prioritarie nella battaglia politica le ragioni dei lavoratori, prima di tutto, prima dei propri interessi o della tattica che, a volte, il momento politico ci può suggerire.


Per questo, a chi volesse domandarmi oggi cosa io mi senta di essere io risponderei ancora una volta orgogliosamente: un compagno socialista che vuole la vittoria di chi é sfruttato, di chi vuole migliorare la condizione economica propria e di tutta la classe lavoratrice, creando le condizioni materiali per un cambiamento complessivo e duraturo della società, che possa dare a tutti le stesse opportunità di vivere, a tutti di inserirsi e di migliorare le proprie condizioni.

L’Italia sta attraversando una crisi economica difficile da superare i cui effetti sulla vita quotidiana di ognuno di noi risiedono solo in parte nella crisi economica mondiale che stiamo attraversando in questi ultimi mesi.


La crisi economica sulle spalle dei lavoratori


Il "Rapporto industria 2008– Osservatorio crisi industriali” della CISL, parla chiaro: in Lombardia, nel settore meccanico nel secondo semestre era quasi raddoppiato il numero delle aziende erano entrate in crisi, 517 contro le 317 del primo semestre; in Veneto nel periodo Gennaio- Settembre 2008 sono stati 3960 i lavoratori licenziati dalle imprese per giustificato motivo o per motivi connessi a riduzione, trasformazione o cessazione di attività (art.4, L.236/93); in Emilia, nel settore meccanico erano 340 i lavoratori in cassa integrazione e nel tessile gli esuberi arrivavano a 365; nel Lazio, nel settore chimico 157 lavoratori erano in cassa integrazione e altri 271 in mobilità, mentre nel settore alimentare le messe in mobilità salivano a 385, in Umbria nel settore meccanico in 280 erano in cassa integrazione e si annunciavano altri 110 esuberi; in Campania, i lavoratori in cassa integrazione straordinaria nel settore auto erno 9665, nel settore meccanico 2312, 2120 nelle telecomunicazioni e 382 nel tessile, in Molise erano a rischio licenziamento 200 lavoratori del settore meccanico e 295 delle cartiere perché le aziende erano a rischio fallimento, in Puglia, nel settore chimico erano 947 le persone in cassa integrazione, 280 nel settore meccanico e 300 nel tessile. E l’elenco potrebbe continuare con i 154 oprai in cassa integrazione della Sicilia, i 320 del tessile in Sardegna e così via, registrando le cifre della crisi sulle spalle dei lavoratori nelle altre regioni d’Italia.

Ma parliamoci chiaro: lo sviluppo produttivo della penisola è stato diseguale fin dall’inizio e questo, credo, lo sappiamo tutti. Il fatto che al Nord delle fabbriche e del settore manifatturiero non sia corrisposta mai una crescita dei servizi essenziali e un’estensione degli stabilimenti industriali nel Sud, ha prodotto e alimentato lo svuotamento progressivo delle energie migliori, i giovani lavoratrici e lavoratori, che a migliaia sono partiti dalle città e dai piccoli centri del meridione in cerca di una prospettiva legittima per il loro futuro.
Alla storia lunga e dolorosa degli italiani emigrati all’estero con pochi soldi e spesso su mezzi di fortuna, si è affiancata presto la altrettanto difficile e silenziosa storia dell’emigrazione interna: per motivi di lavoro, di studio, di vivibilità del territorio.
Le possibilità reali di rilancio dell’occupazione al Sud passano necessariamente per delle scelte economiche coraggiose e importanti di cui la politica nazionale deve farsi carico. Ai pochi stabilimenti industriali operanti in quelle regioni, dovrebbero secondo me aggiungersene altri, non certo chiudere i battenti quelli esistenti, lasciando la gente per strada. Eppure al Petrolchimico di Gela viene, proprio in questo periodo, ridotto ulteriormente il personale e alla Fiat le cose non sembrano andare diversamente se l'amministratore delegato, Sergio Marchionne ha annunciato di voler chiudere lo stabilimento di Termini Imerese. Oltretutto, in quelle regioni, oltre alla crisi dei due grandi poli industriali vanno calcolate le mille difficoltà delle piccole e medie imprese di andare avanti e di creare prospettive di lavoro stabile, che la crisi ha reso più incerte.
Eppure, se al Sud le cose non vanno certo bene, neanche per quest’anno al Centro e al Nord si aprono degli scenari rassicuranti per i lavoratori.

A Milano, alla Innse Presse Manzoni Group, storica officina della Innocenti di Lambrate, messa in liquidazione, per diversi mesi c'è stato un presidio: gli operai si sono pure incatenati ai cancelli della fabbrica. Chiedendo di essere reintegrati al posto di lavoro e che non fossero rimossi i macchinari. Sono stati licenziati a Giugno, con un semplice telegramma e messi in cassa integrazione fino a Settembre.

In Veneto (secondo il report aggiornato a settembre di Veneto Lavoro), quest’anno le aziende in crisi con verbali già siglati sono state 770 e i lavoratori coinvolti da cassa integrazione sono oltre 27 mila. La cassa integrazione totale è arrivata a contabilizzare più di 51 milioni di ore autorizzate in regione e la città più colpita risuta essere Vicenza, seguita da Treviso e da Padova.

In Campania, nell’ Ottobre scorso degli operai della Emil Gen, un’azienda che produce pezzi di ricambio per le ferrovie, quattro operai sono saliti sul tetto dello stabilimento nella zona Asi di Acerra minacciando di lanciarsi nel vuoto in segno di protesta contro il licenziamento di 9 lavoratori.

Se vogliamo continuare, dobbiamo aggiungere che decisamente nessuna buona notizia stanno ricevendo neanche i lavoratori dell'impresa di telecomunicazioni ex Eutelia ex Olivetti, poi confluiti in Agile s.r.l ed ora nel gruppo Omega, con sedi operative a Roma, a Torino e nella provincia di Milano. L’azienda infatti, dopo la perdita delle commesse e dei clienti, ha recentemente decretato il fallimento. Sono oltre mille i dipendenti licenziati subito dopo la vendita e alcuni di loro si sono incatenati in piazza, altri sono saliti sui tetti. Per il gruppo Omega si parla purtroppo quasi 10.000 i dipendenti, ciascuno con una famiglia, che se dovessero finire per strada metterebbero in difficoltà altre persone a loro vicine.

Ma i tagli del Governo colpiscono, come si sa, purtroppo, anche altri settori, tra cui la scuola pubblica. Il Mezzogiorno sarà la parte di Italia a rimetterci di più, specie nella scuola primaria: perché mancheranno ulteriormente i servizi, poi perché perderà altri posti lavoro. A fronte di un’aumento documentabile degli alunni iscritti, dalla circolare preparata dal Ministero dell’Istruzione dovrebbero essere tagliate in un colpo solo oltre 10 mila posti del personale docente nella scuola elementare, oltre 15.500 cattedre nelle medie inferiori e oltre 11.350 nelle medie superiori, con una drastica riduzione del corpo docente e del personale scolastico. E il 40% dei tagli sul personale dovrebbe colpire soprattutto quattro regioni del Sud: la Campania, la Puglia, la Sicilia e la Calabria, come se già non avessero abbastanza problemi per conto loro.

Gli esempi purtroppo non mancano, ma continuare a elencarli non aiuta a cambiare le cose. Il problema, secondo me, è che la mancanza di lavoro sta diventando un problema strutturale che riguarda tutto il Paese. I dati purtoppo, mi danno ragione.

Secondo il dossier diffuso dall'Istat, nel 2008 il numero dei senza lavoro riscontrabili è aumentato sensibilmente tanto che secondo, il tasso di disoccupazione é arrivato al 7,1 per cento, dal 6,4 per cento che era nel primo trimestre 2007. E le cose, sembra debbano anche peggiorare, almeno stando all'aggiornamento del Programma di stabilità italiano presentato dal Ministero del Tesoro per il biennio 2010-2011, in cui si legge che se l'occupazione è destinata a crescere in media dello 0,4 per cento, il tasso di disoccupazione dovrebbe attestarsi a fine periodo al’'8,2 per cento.

Questo vuol dire che nei prossimi anni il tasso di disoccupazione dovrebbe aumentare per il secondo anno consecutivo, passando dal 6,7 per cento del 2007 all'8,2 per cento. Che non è poco, soprattutto se al diminuire della disponibilità d posti di lavoro si aggiunge la sensibile decelerazione del costo del lavoro rispetto al 2008 che si legge sempre nel documento del Ministero del Tesoro: ossia meno lavoro per tutti e minore adeguamento degli stipendi al costo della vita.
Sarebbe questa la fine della crisi di cui parla sorridente il ministro dell’Economia Giulio Tremonti? Sarebbero queste le risposte ai nostri problemi reali con cui dovremmo dormire sonni tranquilli e riporre fiducia nell’operato dell’ennesimo Governo Berlusconi?

La politica portata avanti da questo Governo di fronte al dramma della crisi economica va in una direzione sola, ossia contro i bisogni primari della maggioranza delle persone per fare gli interessi di una minoranza economicamente forte e determinata a non fare concessioni che potrebbero migliorare la vita di tanti.

In questo momento, davanti a questi problemi gravi e pesanti, alle famiglie in difficoltà che chiedono di stare meglio per ricominciare a vivere a lavorare, a mangiare, a mandare i figli a scuola e davanti alle persone che per andare avanti hanno bisogno di avere un posto di lavoro stabile, delle garanzie per il presente e un futuro sicuro davanti e pure una pensione per quando saranno troppo stanche per poter produrre, il Governo Berlusconi taglia i salari, i posti di lavoro, le garanzie sociali, la immaginazione dei giovani di un futuro migliore per tutti.


Il Partito dei lavoratori

Per questi motivi credo che vada cambiata la struttura della società, che vadano ridefinite le priorità dell’economia e se occorre la forma della politica, inteneno con questo la possibilità effettiva per la maggioranza dei cittadini di partecipre alla vita democratica dei partiti e di determinare un cambiamento di indirizzo delle scelte della politica in generale e nel particolare.

Perché sono socialista. Perché il Partito Socialista Italiano è nato per essere il partito dei lavoratori e nella maggior parte del suo percorso ha inteso la conquista del potere come un mezzo per risolvere i problemi della maggioranza della classe lavoratrice. Come ribadiva il fondatore del PSI, Filippo Turati, nel 1921, al momento della scissione coi compagni comunisti:

“Il "Partito operaio", nel decennio 1880-1890, era già una reazione al corporativismo operaio. E noi, che volevamo farne un partito politico, eravamo guardati con sospetto. Nel 1891-92 il Partito operaio si allargava in Partito dei lavoratori (che s'inspirava a un concetto già più ampio, in quanto abbracciava i lavoratori del cervello) e più tardi, a Reggio Emilia (1893), in "Partito socialista del lavoratori italiani", per divenire finalmente a Parma, nel 1895, sotto i colpi della reazione più dura, il "Partito socialista italiano". Queste trasformazioni del nome esprimono appunto il concetto della conquista del potere, che noi introducevamo man mano nel programma che il partito aveva tracciato, ai suoi inizi, programma di azione diretta, una specie di presoviettismo dell'epoca.”

(Filippo Turati, Discorso al Congresso Socialista del 1921)



Io sono dalla parte dei lavoratori perché sono convinto che la preoccupazione di un compagno socialista debba essere dare delle risposte ai problemi reali della gente. Perché un grande uomo che stimo molto per le sue idee, Rodolfo Morandi, aveva detto questo come Segretario del PSI:

“Al di sopra del partito ho sempre posto la causa dei lavoratori, la causa del popolo, nella convinzione che il partito non avesse il diritto di chiedermi di più”.

(dal testamento politico di Rodolfo Morandi - Mantova 1954)


A sostegno del fatto che il Socialismo sia la strada per risolvere i problemi reali del Paese, per dare delle risposte efficaci a chi lavora onestamente e con fatica, potrei citare facilmente tanti altri compagni socialisti, più o meno famosi e tanti altri autorevoli Segretari del PSI, perché questo è il cammino del Socialismo Italiano, questo il suo spirito vero e queste sono le sue battaglie più grandi.

Ed è con questo spirito che il compagno Sandro Pertini, Presidente della Repubblica italiana, nel 1979 spiegava ai lavoratori dell’Italsider di essersi avvicinato al Socialismo, proprio attraverso la conoscenza e la comprensione dei problemi reali dei lavoratori:

“Mi ha sempre affascinato la figura di Filippo Turati, che ho considerato un mio maestro, e che è poi andato con me in esilio in Francia. Poi le letture di Antonio Labriola, che è considerato uno dei maggiori conoscitori di Marx, dei più autorevoli commentatori del pensiero marxista. E poi il vivere un po' fra i contadini del mio paese, tra gli operai della mia Savona. Stando vicino alla classe operaia io ne ho avvertito le esigenze e le lotte. E' chiaro che io condividendo queste posizioni ho finito per seguire la strada del movimento operaio della mia Savona e diventare quindi socialista. ...Ricordo, lavoratori, che iniziai la mia lotta in anni molto difficili. Si sono presentati alla mia mente appena sono entrato qui i nomi di Aglietto, Crotta, i fratelli Sivori e i fratelli Risoglio. E poi per i portuali, ai quali sono sempre stato legato, basta ricordare un nome solo, che forse i giovani ignorano, Pippo Rebagliati. Io ho iniziato la mia lotta con loro. Erano, credetemi, giovani che mi ascoltate, momenti veramente difficili, più difficili di quelli che viviamo oggi. Eravamo una minoranza che si batteva contro l'avanzare del fascismo. Ebbene, io ricordo anche questo episodio. Lo voglio ricordare a tutti. Che al turno di notte, e cioè alle dieci di sera, mentre gli operai entravano all'Ilva, sulla porta vi era un branco di manigoldi fascisti col manganello e bastonavano tutti gli operai che entravano all'Ilva. Ecco il volto del fascismo come si è presentato in quel momento...”

(Sandro Pertini- Discorso del presidente della Repubblica ai lavoratori dell'Italsider, Savona, 20 gennaio 1979, dal sito del Centro Espositivo Sandro Pertini, http://www.pertini.it/cesp/).



La difficoltà del PSI di elaborare delle riforme

Il Partito Socialista Italiano guidato da Riccardo Nencini, dopo la rottura brusca con Sinistra e Libertà, ha voluto per forza cercare un asse con il Partito Democratico di Pierluigi Bersani.
Il confronto lo ha voluto sul terreno del riformismo con l’intento dichiarato a gran voce di ricostruire un Centro-Sinistra allargato all’UDC. Obiettivo oggettivamente imponente, direi quasi impervio, per un Partito tagliato fuori dal Parlamento dall’inizio della legislatura, che ha avuto poche occasioni di visibilità e una scarsa eco mediatica alle sue poche proposte politiche. Infatti, a parte le tradizionali dichiarazioni di vicinanza e di stima reciproca tra i segretari dei partiti interessati, il tanto atteso incontro al vertice organizzato in occasione delle celebrazioni del trentennale della scomparsa di Pietro Nenni si è rivelato per quello che si annunciava: la certificazione della debolezza strutturale del PSI di Riccardo Nencini.
A cominciare dalla mancanza di uno dei tre interlocutori politici previsti dall’agenda politica dell’incontro, vale a dire Pierferdinando Casini, leader dell’UDC, che ha clamorosamente mancato l’appuntamento, lasciando una delle tre poltrone vuote, per il sopraggiungere di altri impegni.
Un’inizio quindi difficile, cui è seguito un confronto ancora più improbabile con un partito grande e rappresentato in Parlamento, il PD, che ha una sua linea, che si può condividere o meno, ha un suo rapporto col territorio e con la società, affronta problemi reali e propone delle riforme per risolverli. Tutte cose che mancano al PSI di Riccardo Nencini, che non usa abbastanza la sua struttura territoriale fatta di Sezioni e Federazioni sparse in ogni angolo della Penisola per creare un rapporto organico con la cittadinanza e recepire i problemi reali che vivono le persone comuni ogni giorno, non rilancia una penetrazione nei luoghi di lavoro, che invece sarebbe necessaria alla politica di oggi (si pensi allo strumento dei Nuclei Aziendali Socialisti che avevano costituito l’ossatura del Partito morandiano dagli anni ’50 in poi), che non cerca un rapporto costruttivo coi sindacati e non prende posizione sulle scelte che investono i diversi comparti del lavoro e riguardano la maggior parte delle famiglie di questo Paese.

In queste condizioni, qualunque Partito che volesse tornare ad avere un ruolo nella scena politica, prenderebbe atto dei suoi limiti e incomincerebbe un lavoro serio e programmato di ristrutturazione interna: potenziando le sue strutture territoriali, riaprendo il confronto col mondo del lavoro, ristabilendo un metodo di lavoro condiviso e articolando una politica per tappe successive in grado di dare delle risposte diverse ma efficaci ai problemi del Paese. Questo farebbe una forza politica in difficoltà. Invece no, il PSI di Riccardo Nencini, pur non avendo più un rapporto reale con la società che si trasforma e coi lavoratori che subiscono gli effetti della crisi economica, parla di riforme, si dice riformista, anzi, di più, si propone come ago della bussola del processo riformatore di Centro-Sinistra. Esponendosi così all’imbarazzo delle altre forze politiche, oltre che all’eventuale critica dei suoi iscritti e dei suoi militanti.
Infatti, in quel recente Convegno su Nenni, interrogato sul tema, Pierluigi Bersani ha potuto dire facilmente: “Siamo ancora alle prese col tema: come si fa a fare le riforme e un partito riformista come fa le riforme? […] Io credo tenendo fermo il profilo di una forza che sa che se si dice riformista deve accettare la sfida delle cose”(fonte Radio Radicale), senza avere un reale contraddittorio.

Evidentemente così non si può andare avanti, perché così non si va da nessuna parte.

 
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VI CONSIGLIO UN LIBRO

"Quando il pesciolino e lo squalo s’incontrarono per la prima volta": una favola che parla della pace tra due popoli con il linguaggio semplice che può immaginare un bambino della quinta elementare e la saggezza di un uomo adulto.

Uno squalo  che voleva mangiare un pesciolino e invece inizia a giocare a nascondino con lui. Un’amicizia bella che nasce con semplicità tra due persone differenti a dispetto delle convenzioni. L’autore è Gilad Shalit, israeliano, nove anni dopo aver scritto questo libro sarà rapito da un commando palestinese dal quale ancora oggi non è stato rilasciato. Colpisce immaginarlo bambino a sognare la pace, oltre la guerra e vederlo tornare nel libro come un pesciolino dallo squalo per chiedergli di fare amicizia nonostante gli abbiano detto che loro due non possono essere amici. Un modo per capire una parte della storia, un messaggio universale per andare oltre la cronaca e immaginare un futuro migliore fatto della convivenza serena tra i popoli.

Gilad Shalit, "Quando il pesciolino e lo squalo s’incontrarono per la prima volta", Giuntina editore, 2008


 

ARTICOLI MIEI PUBBLICATI DAL CIRCOLO ROSSELLI

 

Alcuni miei aricoli sulle battaglie coraggiose dei  socialisti nel Ventennio sono stati pubblicati anche dal Circolo Rosselli di Milano. Clicca e consultali  sul loro sito:


1) "Il Centro socialista interno (1934-1939)- appunti per un dibattito su antifascismo e unità di classe"

2) Giacomo Matteotti amministratore pubblico


 
 
 

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