LE RISPOSTE CHE BOCCA NON CI HA DATO di Romano Pitaro I calabresi, quelli che non delinquono e che sono la stragrande maggioranza, storcono il naso quando inchieste come la sua, “Aspra Calabria”, Rubbettino editore, assimilano la Calabria e l’Aspromonte a Saigon ed alle gabbie dei vietcong. Lei non crede che generalizzazioni cosi tranchant, rischino non soltanto di violare il principio di realtà, ma finiscano col deprimere le energie migliori che pure nell’inferno calabrese ci sono e resistono? Né a questa domanda né alle altre sei, concordate con Matteo Cosenza a luglio scorso, subito dopo l’interessante dibattito sulla Calabria com’è rappresentata all’opinione pubblica dagli organi d’informazione, ospitato dal nostro giornale all’indomani della pubblicazione sul “Quotidiano” della prefazione di Eugenio Scalfari ad “Aspra Calabria”, l’inchiesta che Bocca fece vent’anni, ci sarà mai più una risposta. Le domande inviate a Bocca via mail, che resteranno sospese all’infinito nello spazio virtuale, sono più o meno identiche a quelle inviate a Scalfari, che, attraverso la sua segretaria, ha declinato l’invito ad occuparsene in quanto sovraccaricato di lavoro. In breve: cogliendo al volo dalla prefazione ad “Aspria Calabria” alcune suggestive riflessioni del fondatore di “Repubblica”, regnante ancora Silvio Berlusconi, c’ era parsa minimalista la tesi secondo cui il Meridione dovesse piangere i problemi del Meridione. O quella secondo la quale alcune aree di questa parte del Paese, sono irrimediabilmente consegnate alla criminalità. C’era sembrato naturale porre ai due giornalisti, stimati per cento ragioni ed apprezzati per la eccellente capacità di analisi dei mali di un Paese che, tuttavia, loro stessi, nella veste di intellettuali, editori, saggisti eccelsi hanno contribuito a plasmare, un quesito semplice. Considerata la parte svolta nei decenni dai grandi media, nel tenere ai margini persino la parte non accomunabile all’inferno meridionale e contribuendo, in tal modo, a dare linfa alla Lega di Bossi, era spontaneo chiedere a Scalfari e Bocca se non ritenessero di aver avuto anche loro una certa responsabilità. Nessuno, infatti, dinanzi allo sfacelo morale ed al declino di ogni progetto di riscatto del Paese in chiave unitaria, può ragionevolmente ascrivere a Berlusconi tutte le colpe. Sarebbe stato, pertanto, interessante comprendere da Bocca cosa lo spinse a identificare l’Aspromonte con Saigon; se, per esempio, quell’insistente indicare in più occasioni la Calabria come un buco nero della democrazia, non abbia aiutato gli spiriti animali del Nord ad affermare un’idea di Paese che ha tentato di scaricare la zavorra meridionale al suo destino. E via dicendo. Le altre domande, a cui Bocca non risponderà sono le seguenti. Cosa risponde a chi sostiene ( il giornalista Aldo Varano in modo specifico) che “Aspra Calabria” è intrisa di clamorosi falsi? Non c’era il falso albergo ipertecnologico nella Locride, ma ce n'era uno a Reggio, l'Excelsior, che Bocca sposta a Locri, dove esprime stupore per il contrasto tra ipertecnologia e arretratezza. Nella Locride l'impavido cronista si avventura nell'Aspromonte, dopo aver drammaticamente lottato con se stesso: andare da solo nell'Aspromonte è da stupido, ma se non ci vado che cronista sono? Il vecchio partigiano, mentre un brivido attraversa la schiena del lettore, si incammina fino al passo del Mercante. Ma ci è andato veramente? Lui scrive che da lì vede Stromboli, Vulcano e Lipari che «stanno immobili come neri cetacei». Ma da lì le Eolie non si possono vedere. E poi i raccoglitori di erica cacciati dall'Aspromonte con le lupare sotto il naso, perché i signori dell'Anonima non vogliono impicci tra i piedi. A cercare l'erica erano i più poveri tra i poveri, per fortuna cancellati dalle trasformazioni economiche e sociali e la mafia non c'entra nulla (tra l'altro l'erica cresce nelle zone di mezza montagna e non negli anfratti in alto in cui erano sistemate le prigioni dell'Anonima). E ancora: un sequestrato per due volte fugge, ma per due volte un intero paese, San Luca, si mobilita, lo riacciuffa e lo riconsegna in trionfante corteo agli sprovveduti che se lo sono fatto scivolare tra le dita). Ancora: “ L’impressione, leggendo quell’inchiesta e l’ introduzione ad “Aspra Calabria” di Scalfari, ossia la riflessione di un intellettuale che nella cultura e nella politica italiane ha avuto e tuttora esercita un’enorme influenza, è che per voi due questa regione del profondo Sud sia ormai persa per la democrazia. E’ una deduzione sbagliata? La Calabria esce dalla sua inchiesta alquanto malconcia: un coacervo di capre e champagne, la presenza di gente animalesca che sequestra ricchi e meno ricchi e una società civile ostile alla modernità, chiusa e complice di criminali e malaffare, mentre sullo sfondo pullulano politici corrotti e funzionari pubblici inadeguati . Se poi si aggiunge che Scalfari, rivolgendosi a lei nell’introduzione, parla di male oscuro per spiegare il disagio della Calabria, l’impressione è che si sia in presenza di una visione dei problemi del Sud poco laica, decisamente distante dalla cultura della modernità in cui l’uomo e la ragione sono al centro del dibattito pubblico e i problemi non sono mai, assolutamente mai, mali oscuri. E’ d’accordo? In Calabria, la reazione alla pubblicazione del suo reportage , incluse le immancabili tracce di vittimismo, è stata ampia, variegata e motivata in tanti modi. Ma una domanda si staglia sulle altre: la Calabria considerata il male oscuro, simbolo di un Mezzogiorno fuori dai circuiti economici e sociali che contano, non rischia cosi di diventare il capro espiatorio di classi dirigenti nazionali che hanno fallito il compito di svecchiare l’Italia e di unirla sulla base dei valori costituzionali? C’è anche un’ombra sul ruolo esercitato dall’informazione nei confronti del Mezzogiorno. Non certo lei e neppure Scalfari, che non avete mai avuto padroni e avete sempre scritto liberamente, ma è pur vero che una parte dell’informazione nazionale, in mano a banche e gruppi d’interesse organizzati, è stata funzionale al modello economico italiano che ha privilegiato il Nord e penalizzato il Sud. Le inchieste giornalistiche che hanno confuso la questione meridionale con quella criminale, senz’altro hanno acuito l’isolamento del Mezzogiorno sano. In questo senso, il suo reportage , sebbene involontariamente, non ha penalizzato chi nell’inferno calabrese, parafrasando Calvino de “Le città invisibili”, resiste e cerca spazio? Non le pare, anzi, che questa tipologia d’inchieste giornalistiche abbia contribuito addirittura ad irrobustire l’humus ideologico su cui ha fissato le proprie radici, proprio negli stessi mesi in cui Bocca era in Aspromonte, la Lega di Bossi, un movimento costituzionalmente eversivo? Scalfari rivolgendosi a lei nella stessa introduzione, a proposito del disastro sociale del Sud e di un Paese in mano a Berlusconi, Bossi e alle varie cricche, non nasconde un certo scoramento. Quasi come dire: la battaglia è persa, nella casa di Penelope gozzovigliano i Proci, Ulisse non si vede e forse non tornerà più. Allora le chiedo: ma lei e Scalfari non avete proprio nulla da rimproverarvi? Tutte qui le domande finite nel nulla. Rimane la delusione per un’occasione di chiarimento tra Bocca e la Calabria che avrebbe giovato senz’altro ad entrambi. Ci spiace tanto che una testa libera come Bocca sia improvvisamente mancato. A quest’evenienza non c’è rimedio. Siamo certi che se Bocca non ha trovato il tempo di rispondere quand’era in vita, difficilmente lo troverà nell’aldilà. Alle domande senza risposta, tuttavia, forse potrebbe ancora dare un senso Scalfari. Il suo stile laico, l’acutezza d’ingegno che lo contraddistingue e la sua conoscenza degli itinerari culturali del grande Bocca, gli consentirebbero di parlare non soltanto per sé, ma anche di farci meglio comprendere il punto d’osservazione del partigiano di Cuneo della cui poderosa indignazione l’Italia sentirà la mancanza.
LE RISPOSTE CHE BOCCA NON CI HA DATO
LE RISPOSTE CHE BOCCA NON CI HA DATO di Romano Pitaro I calabresi, quelli che non delinquono e che sono la stragrande maggioranza, storcono il naso quando inchieste come la sua, “Aspra Calabria”, Rubbettino editore, assimilano la Calabria e l’Aspromonte a Saigon ed alle gabbie dei vietcong. Lei non crede che generalizzazioni cosi tranchant, rischino non soltanto di violare il principio di realtà, ma finiscano col deprimere le energie migliori che pure nell’inferno calabrese ci sono e resistono? Né a questa domanda né alle altre sei, concordate con Matteo Cosenza a luglio scorso, subito dopo l’interessante dibattito sulla Calabria com’è rappresentata all’opinione pubblica dagli organi d’informazione, ospitato dal nostro giornale all’indomani della pubblicazione sul “Quotidiano” della prefazione di Eugenio Scalfari ad “Aspra Calabria”, l’inchiesta che Bocca fece vent’anni, ci sarà mai più una risposta. Le domande inviate a Bocca via mail, che resteranno sospese all’infinito nello spazio virtuale, sono più o meno identiche a quelle inviate a Scalfari, che, attraverso la sua segretaria, ha declinato l’invito ad occuparsene in quanto sovraccaricato di lavoro. In breve: cogliendo al volo dalla prefazione ad “Aspria Calabria” alcune suggestive riflessioni del fondatore di “Repubblica”, regnante ancora Silvio Berlusconi, c’ era parsa minimalista la tesi secondo cui il Meridione dovesse piangere i problemi del Meridione. O quella secondo la quale alcune aree di questa parte del Paese, sono irrimediabilmente consegnate alla criminalità. C’era sembrato naturale porre ai due giornalisti, stimati per cento ragioni ed apprezzati per la eccellente capacità di analisi dei mali di un Paese che, tuttavia, loro stessi, nella veste di intellettuali, editori, saggisti eccelsi hanno contribuito a plasmare, un quesito semplice. Considerata la parte svolta nei decenni dai grandi media, nel tenere ai margini persino la parte non accomunabile all’inferno meridionale e contribuendo, in tal modo, a dare linfa alla Lega di Bossi, era spontaneo chiedere a Scalfari e Bocca se non ritenessero di aver avuto anche loro una certa responsabilità. Nessuno, infatti, dinanzi allo sfacelo morale ed al declino di ogni progetto di riscatto del Paese in chiave unitaria, può ragionevolmente ascrivere a Berlusconi tutte le colpe. Sarebbe stato, pertanto, interessante comprendere da Bocca cosa lo spinse a identificare l’Aspromonte con Saigon; se, per esempio, quell’insistente indicare in più occasioni la Calabria come un buco nero della democrazia, non abbia aiutato gli spiriti animali del Nord ad affermare un’idea di Paese che ha tentato di scaricare la zavorra meridionale al suo destino. E via dicendo. Le altre domande, a cui Bocca non risponderà sono le seguenti. Cosa risponde a chi sostiene ( il giornalista Aldo Varano in modo specifico) che “Aspra Calabria” è intrisa di clamorosi falsi? Non c’era il falso albergo ipertecnologico nella Locride, ma ce n'era uno a Reggio, l'Excelsior, che Bocca sposta a Locri, dove esprime stupore per il contrasto tra ipertecnologia e arretratezza. Nella Locride l'impavido cronista si avventura nell'Aspromonte, dopo aver drammaticamente lottato con se stesso: andare da solo nell'Aspromonte è da stupido, ma se non ci vado che cronista sono? Il vecchio partigiano, mentre un brivido attraversa la schiena del lettore, si incammina fino al passo del Mercante. Ma ci è andato veramente? Lui scrive che da lì vede Stromboli, Vulcano e Lipari che «stanno immobili come neri cetacei». Ma da lì le Eolie non si possono vedere. E poi i raccoglitori di erica cacciati dall'Aspromonte con le lupare sotto il naso, perché i signori dell'Anonima non vogliono impicci tra i piedi. A cercare l'erica erano i più poveri tra i poveri, per fortuna cancellati dalle trasformazioni economiche e sociali e la mafia non c'entra nulla (tra l'altro l'erica cresce nelle zone di mezza montagna e non negli anfratti in alto in cui erano sistemate le prigioni dell'Anonima). E ancora: un sequestrato per due volte fugge, ma per due volte un intero paese, San Luca, si mobilita, lo riacciuffa e lo riconsegna in trionfante corteo agli sprovveduti che se lo sono fatto scivolare tra le dita). Ancora: “ L’impressione, leggendo quell’inchiesta e l’ introduzione ad “Aspra Calabria” di Scalfari, ossia la riflessione di un intellettuale che nella cultura e nella politica italiane ha avuto e tuttora esercita un’enorme influenza, è che per voi due questa regione del profondo Sud sia ormai persa per la democrazia. E’ una deduzione sbagliata? La Calabria esce dalla sua inchiesta alquanto malconcia: un coacervo di capre e champagne, la presenza di gente animalesca che sequestra ricchi e meno ricchi e una società civile ostile alla modernità, chiusa e complice di criminali e malaffare, mentre sullo sfondo pullulano politici corrotti e funzionari pubblici inadeguati . Se poi si aggiunge che Scalfari, rivolgendosi a lei nell’introduzione, parla di male oscuro per spiegare il disagio della Calabria, l’impressione è che si sia in presenza di una visione dei problemi del Sud poco laica, decisamente distante dalla cultura della modernità in cui l’uomo e la ragione sono al centro del dibattito pubblico e i problemi non sono mai, assolutamente mai, mali oscuri. E’ d’accordo? In Calabria, la reazione alla pubblicazione del suo reportage , incluse le immancabili tracce di vittimismo, è stata ampia, variegata e motivata in tanti modi. Ma una domanda si staglia sulle altre: la Calabria considerata il male oscuro, simbolo di un Mezzogiorno fuori dai circuiti economici e sociali che contano, non rischia cosi di diventare il capro espiatorio di classi dirigenti nazionali che hanno fallito il compito di svecchiare l’Italia e di unirla sulla base dei valori costituzionali? C’è anche un’ombra sul ruolo esercitato dall’informazione nei confronti del Mezzogiorno. Non certo lei e neppure Scalfari, che non avete mai avuto padroni e avete sempre scritto liberamente, ma è pur vero che una parte dell’informazione nazionale, in mano a banche e gruppi d’interesse organizzati, è stata funzionale al modello economico italiano che ha privilegiato il Nord e penalizzato il Sud. Le inchieste giornalistiche che hanno confuso la questione meridionale con quella criminale, senz’altro hanno acuito l’isolamento del Mezzogiorno sano. In questo senso, il suo reportage , sebbene involontariamente, non ha penalizzato chi nell’inferno calabrese, parafrasando Calvino de “Le città invisibili”, resiste e cerca spazio? Non le pare, anzi, che questa tipologia d’inchieste giornalistiche abbia contribuito addirittura ad irrobustire l’humus ideologico su cui ha fissato le proprie radici, proprio negli stessi mesi in cui Bocca era in Aspromonte, la Lega di Bossi, un movimento costituzionalmente eversivo? Scalfari rivolgendosi a lei nella stessa introduzione, a proposito del disastro sociale del Sud e di un Paese in mano a Berlusconi, Bossi e alle varie cricche, non nasconde un certo scoramento. Quasi come dire: la battaglia è persa, nella casa di Penelope gozzovigliano i Proci, Ulisse non si vede e forse non tornerà più. Allora le chiedo: ma lei e Scalfari non avete proprio nulla da rimproverarvi? Tutte qui le domande finite nel nulla. Rimane la delusione per un’occasione di chiarimento tra Bocca e la Calabria che avrebbe giovato senz’altro ad entrambi. Ci spiace tanto che una testa libera come Bocca sia improvvisamente mancato. A quest’evenienza non c’è rimedio. Siamo certi che se Bocca non ha trovato il tempo di rispondere quand’era in vita, difficilmente lo troverà nell’aldilà. Alle domande senza risposta, tuttavia, forse potrebbe ancora dare un senso Scalfari. Il suo stile laico, l’acutezza d’ingegno che lo contraddistingue e la sua conoscenza degli itinerari culturali del grande Bocca, gli consentirebbero di parlare non soltanto per sé, ma anche di farci meglio comprendere il punto d’osservazione del partigiano di Cuneo della cui poderosa indignazione l’Italia sentirà la mancanza.