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Fumo: le campagne non funzionano


I messaggi deterrenti per i fumatori non funzionano. Non abbastanza e soprattutto non sui giovani. Queste le conclusioni di uno studio condotto dalla ricercatrice australiana Emily Kothe del dipartimento di psicologia dell'Università di Sidney, che ha intervistato sessantatré fumatori ed ex fumatori di età compresa tra i 18 e i 26 anni. Il tipo di comunicazione veicolata dalle campagne anti-fumo sarebbero troppo generici e chi fuma (o vorrebbe iniziare a fumare) non si sente direttamente chiamato in causa. Solo il 16 per cento degli intervistati ha modificato il proprio comportamento a causa delle campagne informative.IMMUNI DAL MALE – I giovani non credono che i danni del fumo li riguardino, in parte per il senso di immunità tipico di quell'età, in parte a causa dei messaggi che non si indirizzano direttamente a loro: «il fumo uccide» fa cioè meno paura de «il fumo ti uccide». Ma non solo. Le patologie mortali connesse al consumo di tabacco (ma ancor di più dalle colle e dalla carta usate nelle sigarette) sembrano molto remoti per un ventenne. «Abbiamo ricevuto risposte in base alle quali alcune particolari patologie paventate nelle campagne antifumo sono troppo remote, come il cancro alla bocca» ha dichiarato Emily Kothe, che propone una nuova linea di comunicazione per la salute pubblica.SANZIONE SOCIALE – «Il fumo ti rende maleodorante» potrebbe essere uno slogan più efficace secondo la ricercatrice australiana perché denuncia un effetto collaterale sgradevole immediato e inoppugnabile. E denuncia un'implicazione sociale, o meglio anti-sociale, che potrebbe avere miglior esito sui giovani fumatori. O sui produttori di profumi e deodoranti.