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Posh (film) Recensione di ROMOLO RICAPITO


di Romolo RicapitoBARI, 1 OTT. - La stagione cinematografica appena iniziata si presenta abbastanza incerta. Sono poche le pellicole di grande successo; unica eccezione forse Colpa delle Stelle e Lucy. La programmazione è mista: ci sono film come questo Posh, dall 'andamento altalenante: partito un po' in sordina, sembra recuperare sulla distanza. Ad esempio, nella giornata del 29 settembre, è addirittura al terzo posto negli incassi. Ma il pubblico infrasettimanale è diverso da quello del sabato sera e delle domenica: forse maggiormente attento al contenuto e meno al richiamo della grancassa pubblicitaria. Ad ogni modo questo Posh ha un titolo originale migliore : the Riot Club. Esso spiega meglio la trama: tale "club" "esclusivissimo" nacque (secondo la storia del film) ad Oxford, prestigioso ateneo, per commemorare uno dei più antichi frequentatori di tale Università: il settimo duca di Carlyle. Tale "antenato", nel Settecento o giù di lì, era un edonista dissoluto esperto in orge: il prologo ce lo mostra infatti mentre, durante un movimentato amplesso con una "nobildonna", è sorpreso" "in flagrante" dal marito cornuto di lei. Ovviamente, chi di corna ferisce, di...spada perisce e il duca muore ben presto. I suoi "nipotini", ossia gli studenti oxfordiani di oggi, proseguono la tradizione: il loro club esclusivo dovrebbe riunire le dieci maggiori eccellenze, per censo, nobiltà etc, creando una confraternita di giovani brillanti e coraggiosi. L'Università di Oxford, frequentata di padre in figlio, si rivela in questo contesto un mondo chiuso, opprimente, razzista e avulso dalla realtà esterna. Tanto per dirne una, i componenti del prestigioso club non sono altro che odiosi viziatelli, che portano avanti una tradizione di rapporti di forza e sudditanza. Il migliore del gruppo, ammesso "per caso" nella confraternita (è di origini proletarie) è Miles, soprannominato Posh. "Mi chiamo Miles perché i miei mi concepirono ascoltando A kind of Blue di Miles Davis ", spiega. L'Università ha un'impronta chiaramente maschilista, retrograda e misogina. Le fellatio sono l'atto più praticato e desiderato dai maschi, meglio se "ordinate" a una bella escort bionda che dovrebbe espletare questa prestazione con tutti i 10 membri del Riot. Ma la prostituta si rifiuta, schifata. I personaggi delle classi inferiori (il ristoratore, la cameriera mora dai capelli lisci, persino i rapinatori del bancomat) si rivelano quelli "morali", i ricchi quelli "amorali". Questa visione, diremmo così, "comunista" viene riproposta di frequente all'interno del film. Ad esempio, dopo una sbornia senza fine, i balordi del Riot urlano "abbasso i poveri"!" . Poveri che, nella loro forma astratta, costituiscono i loro mortali nemici... In questa fase il film diventa "politico": gli appartenenti al Riot Club sparlano dei laburisti, sostenendo che il popolo, per sistemare le cose, alla fine è solito chiedere sempre l'aiuto (e i favori) dei ricchi repubblicani... Le donne dal film sono quasi assenti, se non fosse per Lauren (Holliday Granger) , che è fidanzata con Miles e ha il ruolo del Grillo Palante. L'unica trasgressione che queste ragazze si concedono è indossare Versace, come firma che accredita un preciso status sociale. Ad ogni modo il disprezzo per il genere femminile che il Riot Club nutre è sospetto: non a caso il "capo " del gruppo, un fighetto biondo e dandy, ama in segreto il collega Miles. E nasconde tutto ciò virilizzando al massimo le attività della microsocietà , includenti bevute di alcol che durano ore ed ore . Il film propone delle scene molto lunghe nella seconda parte: scritto da Laura Wade, è tratto da un lavoro teatrale di quest'ultima. Ecco spiegato il perché c'è molta teatralità durante la festa nel ristorante, che si concluderà nel peggiore dei modi. Ad ogni modo in questa sezione il film pecca di prolissità: i concetti cardine vengono detti e ridetti: oltre che esaustivi si rivelano dunque ripetitivi. D'accordo, il club dei 10 è formato da bulli e depravati che sono anche delle gran menti criminali. La frase "la dissolutezza trasformata in arte" è il loro credo, nella forma più perversa del Romanticismo. Ma nelle loro gesta c'è poco di Oscar Wilde e molto di Charles Manson; a fare le spese della loro "incultura" un grasso e rosso (di capelli) ristoratore, colpevole, forse, di avere tollerato sin troppo le gesta dei suoi "illustri" clienti, allettato dai loro soldi . Infatti i "Riot" non si fanno scrupolo di srotolare grosse quantità di bigliettoni sotto il naso altrui, o di coloro che ritengono dei sottoposti, per comprarne il silenzio. Nel caso delle donne, per comprarle tout court. La morale del film è che comunque i cattivi cadono in piedi, appunto grazie alle loro enormi disponibilità economiche, che consentono a tale gentaglia di potersi fare difendere da illustri principi del foro e ottenere i lavori più prestigiosi, nonostante la fedina penale ormai sporca. Esclusa qualche lungaggine il film, proprio per la sua accuratezza (buone inquadrature, bravi interpreti, un mix intraprendente di cinema classico e giovanilistico) è da vedere. Tra gli attori si distinguono Holliday Granger (di lontana origine italiana) che interpreta Lauren e Max Irons (ex modello) nella parte di Miles. Il regista è una donna, Lone Scherfig, molto nota per An Education.ROMOLO RICAPITO