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UN RAGAZZO D'ORO, RECENSIONE DI ROMOLO RICAPITO


di Romolo RicapitoBARI, 26 SETT. - Del suo film "Un Ragazzo d'Oro" il regista Pupi Avati (che lo ha anche interamente sceneggiato) ha detto che è un'opera influenzata dall'assenza del padre, morto in un incidente stradale quando egli era un ragazzo di appena 12 anni. Il protagonista del film, un dimesso e intellettuale Riccardo Scamarcio, nei panni di Davide Blas, scrittore di racconti brevi, lotta a distanza con la figura scomoda del genitore , uno sceneggiatore e scrittore di buon successo ma sgradito all'intellighenzia perché ispiratore di film comici invisi alla critica ufficiale. Rivelatoria a tale proposito è la scena nella quale Giovanna Ralli, nei panni della madre di Davide ( ormai già vedova di Achille Blas) guarda uno dei tanti film "trash" che il marito aveva sceneggiato: curiosamente viene mostrata la sequenza tratta da una pellicola con Alvaro Vitali e Renzo Montagnani. Un insolito incidente stradale dunque (ma in realtà un probabilissimo suicidio) ha distrutto la vita di Achille. L'elogio funebre pronunciato dal figlio Davide diventa una spietata critica alla figura del genitore, che non gli ha permesso di crescere emotivamente, ma anche professionalmente, a causa del suo straripante egoismo. Al funerale è anche presente una delle tante amanti di Achille, Valeria Marini in una fugace apparizione. E' evidente già dalla prima mezz'ora come Avati abbia prodotto un'opera controcorrente, nello stile di vecchi film anni Settanta come Una Giornata Particolare, Un Dramma Borghese e anche Fantasma D'Amore (quest'ultima una pellicola di Dino Risi dei primi Ottanta, riecheggiata in qualche similitudine nel finale). Fotografia sui toni del marrone, toni da dramma da camera dall'aria asfittica e claustrofobica, scarso uso della tecnologia (nel film gli interpreti non utilizzano i telefonini, mentre soltanto Scamarcio si attarda al computer, ma per finalità necessarie alla trama ) rendono Un Ragazzo d'Oro un film atipico, quasi anacronistico. Ecco perché forse il pubblico non sta rispondendo nella maniera sperata con la presenza in sala, al contrario dei precedenti titoli di Pupi Avati : trattasi di una pellicola troppo introspettiva ( forse intellettuale), per lo spettatore medio, ma anche per quello medio-alto. Insomma, il regista bolognese ha realizzato certamente un film fuori moda, ma questa è anche la forza artistica dell'intera operazione. L'utilizzo di Sharon Stone per la parte di colei che editerà l'ultima opera inedita ( in forma di romanzo ) del padre di Davide ha una duplice funzione: spiazzare gli spettatori e forse sedurli. La Stone sta però al film di Avati come il classico cavolo a merenda. Ma dopotutto è sempre un cavolo appetitoso, diremmo un ortaggio ancora in fiore. Non a caso Pupi Avati, pur definendola un'attrice in declino, che prima di questo ruolo era comparsa negli Usa soltanto in insignificanti camei, ha chiarito che la utilizzerà anche in futuro, soddisfatto della sua gelida sensualità. La recitazione di Ludovica Stern (la Stone) è d'Accademia (di Hollywood). Un po' freddina, ma sono almeno due le scene da ricordare,cioè le ultime interpretate assieme a Scamarcio. Nella maggior parte della sua presenza sullo schermo, però, la bella Sharon sembra uscita dai suoi vecchi film Basic Instinct e Sliver a livello d'immagine, che si è come cristallizzata nel tempo. La presenza dell'americana controbilancia comunque la pessima prova di Cristiana Capotondi, nei panni di Silvia, una giovane farmacista fidanzata con Scamarcio. La Capotondi, ormai assurta a prezzemolina del cinema italiano, qui è inutilmente leziosa, fuori parte e insopportabile. Ma per fortuna c'è Giovanna Ralli, 79 anni: quasi l'età di Sofia Loren. La veterana del cinema (ma anche del teatro) in realtà ha una parte più importante di quella della Stone ed è la seconda vera protagonista dopo il tenebroso Riccardo . La sua interpretazione, sofferta e densa, nel ruolo della vedova fatta oggetto in passato di mille tradimenti. è encomiabile. L'identificazione del personaggio di Riccardo Scamarcio con quello del padre ormai assente diventa il sostegno del film, a dire la verità non riuscitissimo nella prima parte. Nella seconda fase però Scamarcio gareggia in bravura con la Ralli, dando il volto a un personaggio sfaccettato che, sotto la sua ribellione, nasconde gravi disturbi ossessivi compulsivi, curati col Diazepam e regolari sedute dallo psichiatra. Ma il film è anche un atto di accusa nei confronti di un mondo culturale che emargina chi ha talento, relegandolo all'angolo e deridendolo in vita, salvo poi riabilitare la stessa persona dopo la sua dipartita, conferendole per giunta inutili ( anche se prestigiosi) riconoscimenti... Ed è appunto il Premio Strega ad essere preso di mira, in un aspetto funzionale alla narrazione. Nella finta diretta dal ninfeo di Villa Giulia , una comparsata del giornalista Rai Attilio Romita, nel ruolo del conduttore dello Strega. Le musiche originali sono di Raphael Gualazzi. Il film è prodotto in collaborazione col Casinò di Campione d'Italia. Inoltre è stato anche vincitore al Montreal World Film Festival in Canada del premio come migliore sceneggiatura.ROMOLO RICAPITO