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Post n°90 pubblicato il 26 Gennaio 2009 da libera_voce
 

Bolivia, nasce il «socialismo indio» Trionfo per il presidente Morales

Approvata la Costituzione che mette il potere in mano agli indigeni. Riconoscimento anche per la foglia di coca

LA PAZ — Tre anni fa il primo presidente indio delle Americhe aveva promesso la fine dell'era coloniale e una rivoluzione sociale e pacifica in Bolivia. Da ieri Evo Morales ha in mano l'arma principale per realizzare il suo obiettivo, una nuova Costituzione fondata sulle autonomie dei popoli indigeni e lo Stato come motore dell'economia, in linea con l'onda rossa che percorre il Sudamerica da anni. Il governo di Morales ha agevolmente vinto il referendum che si è tenuto ieri. Secondo le prime proiezioni i «sì» avrebbero toccato il 60 per cento. Come nelle previsioni, il risultato esprime una Bolivia divisa. Nelle regioni dell'Est, più ricche e inclini al liberalismo, Morales resta in minoranza, anche se il clima è decisamente più tranquillo rispetto ai mesi scorsi, quando il dissenso concentrato a Santa Cruz de la Sierra aveva portato a rivolte contro il governo centrale, statuti unilaterali di autonomia e scontri con morti e feriti. Sugli altopiani andini, l'approvazione al governo resta invece alta. I programmi di aiuto ai poveri e agli anziani, finanziati con l'aumento delle royalties sul gas, hanno beneficiato soprattutto queste regioni, dove si toccano i livelli di miseria più alti dell'America del Sud.

Al pari di Hugo Chávez, alleato di ferro e consigliere numero uno, Evo Morales conferma la sua popolarità a colpi di chiamate alle urne e intende azzerare il suo mandato con una nuova investitura. A fine anno in Bolivia si terranno nuove elezioni presidenziali. A differenza di Chávez, però, Morales ha fatto varie concessioni all'opposizione, tra cui quella di limitare a un solo mandato in più le proprie ambizioni personali. La nuova carta boliviana è meno socialista di quanto avrebbe inizialmente voluto l'ex sindacalista di etnia aymara, ma ribadisce il monopolio statale sulle risorse energetiche e l'acqua, e un limite ai latifondi in agricoltura. Con il voto di ieri i boliviani sono stati anche chiamati a scegliere se limitare a 5.000 o 10.000 ettari l'estensione massima di terra che un privato può possedere. Le grandi aziende agricole esistenti, in gran parte forti esportatrici di soia, non verranno toccate.

Tutta da inventare e verificare, invece, è l'intenzione di ricostruire la Bolivia dopo cinque secoli di ingiustizie ridando potere alla maggioranza indigena, composta quasi interamente di poveri e miserabili. La nuova Costituzione riconosce l'esistenza di 36 «nazioni», eredi dei popoli originari che furono assoggettati e decimati con la Conquista spagnola. Tutte le autonomie avranno uguali diritti e doveri e dovranno dividere il potere con le istituzioni esistenti. Persino nella giustizia, dove si riconoscono pratiche di «diritto tradizionale e comunitario» oltre a quelle dei codici. La Carta definisce nei dettagli, dall'alto dei suoi 400 articoli, persino il ruolo della foglia di coca, ricchezza tradizionale del popolo boliviano. In religione il Dio dei cristiani e la Pachamama (madre Terra) degli Incas sono ugualmente venerati e la Chiesa cattolica perde il suo rapporto fin qui privilegiato con lo Stato. La protesta dei gruppi religiosi si è fatta sentire durante la campagna elettorale: temono tra l'altro che le nuove regole aprano la strada alla legalizzazione dell'aborto.

Per gli oppositori di Morales si tratta di utopie non realizzabili e che porteranno a seri problemi, mentre i nuovi posti garantiti alle nazioni indigene nel Parlamento servirebbero solo ad aumentare il suo potere. Allo stesso tempo le province del-l'Est, la mezzaluna boliviana, ritengono insufficiente il grado di autonomia loro concesso dalla nuova Carta. Avrebbero voluto il pieno controllo della fiscalità e delle risorse di gas e petrolio. I loro governanti hanno fatto apertamente propaganda per il no al referendum di ieri.

Moderato e abile nel confronto interno, Morales ha confermato negli ultimi giorni la linea dura verso le multinazionali straniere e gli Stati Uniti. Nell'area del gas ha annunciato una nuova nazionalizzazione a 48 ore dall'apertura delle urne, così come ha ribadito le accuse all'ambasciata di Washington di cospirare contro di lui. Ma la guerra commerciale con gli Usa — che hanno tolto da qualche mese ai prodotti boliviani uno status di esenzione dai dazi doganali — gli si è ritorta contro. Molti posti di lavoro nell'artigianato sono andati perduti. Washington ha giustificato la misura con lo scarso impegno della Bolivia nella lotta alla cocaina e al narcotraffico, accusa che Morales respinge.

 
 
 
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