ROSSEBANDIERE

Intervento alla camera 3 luglio 1992 - Bettino Craxi - parte 1


Il 3 luglio 1992 Bettino Craxi tiene un importante discorso alla Camera. Nel suo intervento, il leader socialista chiede a tutto il Parlamento, governo e opposizione, di assumersi la responsabilità di dare una soluzione politica alla crisi della Prima Repubblica. Nella vita democratica di una Nazione non c’è nulla di peggio del vuoto politico. Da un mio vecchio compagno ed amico che aveva visto nella sua vita i drammi delle democrazie, io ho imparato ad avere orrore del vuoto politico. Nel vuoto tutto si logora, si disgrega e si decompone. In questo senso ho sempre pensato e penso che un minuto prima che una situazione degeneri, bisogna saper prendere una decisione, assumere una responsabilità, correre un rischio. Non credo, Onorevole Amato, d’essere stato il solo ad aver tirato un sospiro di sollievo il giorno in cui Lei ed i suoi ministri avete giurato nelle mani del Capo dello Stato. Sono proprio convinto che il medesimo sentimento ha provato la grande maggioranza del Paese. Lo hanno di certo provato tutti coloro che avvertivano il rischio di una crisi troppo aspra e confusa, troppo prolungata, e valutavano il peso delle conseguenze ch’essa aveva già provocato e le più gravi che ancora avrebbe finito con il determinare. La concretezza, la serietà e la sobrietà dei primi passi ch’ Ella ha già compiuto ottenendo la fiducia del Senato, confermano la buona scelta del Capo dello Stato e rendono ancor più convinta la fiducia che ci apprestiamo a dare in questa Assemblea al Suo governo ed al Suo programma di governo. Nell’insieme, molto variegato, delle voci che La stringono d’assedio con i loro no, non sono fortunatamente mancati anche i buoni consigli, i propositi costruttivi, qualche apprezzamento, qualche disponibilità ad una collaborazione parlamentare. Ed è questa certamente una buona cosa se così effettivamente sarà. Chi invece ha definito il suo governo un governo “piccolo – piccolo”, ha solo dato prova di uno stile “piccolo – piccolo” usando, per la verità, argomenti così piccoli che al loro confronto il Suo Governo appare un gigante. Onorevole Presidente del Consiglio, so bene che a Lei non manca né l’esperienza, né la competenza necessaria per distinguere i buoni argomenti critici, che possono avere un loro fondamento ed una loro logica, dagli argomenti pretestuosi e rumorosi che, come i sassi gettati nell’acqua, fanno solo cerchi sempre più larghi che poi scompaiono. Se crede, si conforti pensando a quanto capitò a me, quando ebbi la ventura di divenire il primo presidente socialista della storia del nostro paese. Fui salutato allora come «pericoloso per la democrazia» testualmente, di «spezzare l’infernale spirale della rincorsa a destra» e di combattere «i sogni decisionisti ed impotenti», sino a farneticare della presenza di «interventi autoritari» e di «elementi di regime e di gollismo strisciante»Già allora, di rincalzo, tuonava da par suo il direttore di “Repubblica”, che nell’83 definiva quel governo: «Il ministero più partitocratrico che mai si fosse visto…». Mentre l’inserimento dell’Onorevole Scalfaro nella compagine governativa come Ministro degli Interni veniva considerato un «episodio squallido»Il Suo Governo si presenta oggi con una base parlamentare ristretta e tuttavia può contare in partenza sulla maggioranza dei voti parlamentari. Vi sono diversi studi nei quali si può leggere come in un ampio raggio delle democrazie parlamentari di tutto il mondo, i gabinetti di minoranza hanno costituito circa un terzo di tutti i governi del dopoguerra. In Italia, una maggioranza limitata viene invece considerata e trattata come una minoranza anche se l’esperienza italiana di tante legislature sta a dimostrare che l’ampiezza delle maggioranze non corrisponde affatto ai risultati legislativi. Sta di fatto che dopo il risultato elettorale del 5 aprile che aveva ridotto, principalmente a causa di una sensibile perdita della DC, la rappresentanza parlamentare della formula di coalizione e di governo dell’ultimo anno della legislatura, sarebbe stato di certo più utile e più ragionevole realizzare una coalizione più ampia. Questa possibilità non si è concretata perché non si sono mai viste insieme tante disponibilità da un lato e tante indisponibilità dall’altro. Mai la dialettica politica aveva registrato insieme tante aperture e tante chiusure, tante offerte e tanti rifiuti. Difficile indagarne tutte le cause. Esse sono certamente varie, diverse e differenti tra loro. Di certo, questa rigidità non è apparsa affatto derivare da insanabili divergenze di ordine programmatico tra le forze che avrebbero potuto ricercare e trovare un terreno comune di intesa ed una collaborazione anche graduata. Un programma è sempre frutto di una trattativa. Lo si accetta o lo si respinge dopo aver condotto e sperimentato un negoziato. Non c’è stata invece nessuna base di trattativa e nessun negoziato, ci sono stati prevalentemente dei veti e delle pregiudiziali, con l’illustrazione di argomenti e di condizioni, varie e variabili, tutt’altro che convincenti. Viene fatto di ripetere con il grande inglese: «Una causa debole e ingiusta non ammette trattative (Enrico IV – Parte II) »avvenuto ed avviene poiché le cose che avvengono non possono non avere un qualche senso politico, in attesa di un giorno che verrà e di un messia che non è ancora arrivato. In particolare, dall’area delle forze che costituivano la precedente formula di governo sono stati rivolti tanto al PDS che al PRI insistenti inviti. Ciò è stato fatto anche in forma tale da collocare questi partiti, insieme o separatamente, in una notevole posizione arbitrale di forza ed influenza. Il tutto come si sa ha finito solo con il girare su se stesso. Debbo supporre che tutto ciò è Ed è così che, mentre da un lato si protesta per il ritorno ad un vecchio equilibrio e ad una formula considerata prematuramente morta e sepolta, dall’altro tutti hanno potuto costatare che non si sono fatte avanti né ipotesi di coalizione diverse, né alternative concrete realistiche, praticabili, salvo, per la verità, il delinearsi sullo sfondo delle sagome di ipotesi tecniche e istituzionali, buone forse a governare solo fasi di transizione e di brevissimo periodo. Si è così alla fine rinsaldato un legame di solidarietà, che per la verità non si era mai interrotto tra i quattro partiti della precedente maggioranza ed ha ripreso corpo la formula precedente con il concorso della SVP e dell’Union Valdotain e di altri illustri parlamentari. Essa si presenta, allo stato delle cose, come la sola concretamente possibile, la sola disponibile a prendere su di sé le difficili responsabilità del momento per porre fine ad un vuoto politico, per dare un governo al Paese, per evitare un avvio inconcludente e disastroso della legislatura. E’ stata un’assunzione di responsabilità inevitabile, necessaria, doverosa. E’ una soluzione destinata ad andare incontro a molte difficoltà che si potranno superare se la solidarietà tra le forze politiche si mostrerà reale e non apparente ed anche e meglio ancora se i dialoghi possibili si riveleranno effettivamente tali. Una soluzione che avrà al contrario vita tormentata, corto respiro, e raggio d’azione limitato se la coalizione a quattro risulterà in concreto essere o costretta ad essere a cinque, a sei, a sette, a causa delle divisioni che si potrebbero manifestare all’interno dei partiti della coalizione. Certo è che sarà proprio in tutta questa complessa e difficile fase di avvio che si decideranno le sorti della legislatura. Una legislatura che ha un grande dovere cui assolvere e che ha di fronte a sé compiti di eccezionale portata. Sono doveri e compiti che derivano in primo luogo da una crisi che non è una semplice crisi politica di forze e di rapporti e relazioni tra le forze. Essa è in realtà la profonda crisi di un intero sistema. Del sistema istituzionale, della sua organizzazione, della sua funzionalità, della sua credibilità, della sua capacità di rappresentare, di interpretare e di guidare una società profondamente cambiata che deve poter vivere in simbiosi con le sue istituzioni e non costretta ad un distacco sempre più marcato. Del sistema dei partiti, che hanno costituito l’impianto e l’architrave della nostra struttura democratica, e che ora mostrano tutti i loro limiti, le loro contraddizioni e degenerazioni al punto tale che essi vengono ormai sistematicamente screditati ed indicati come il male di tutti i mali, soprattutto da chi immagina o progetta di poterli sostituire con simboli e poteri taumaturgici che di tutto sarebbero dotati salvo che di legittimità e natura democratica.  dall’Onorevole Berlinguer, per poi sentire in quegli anni l’Onorevole Occhetto proclamare la necessità, cito