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« Pietro Secchia e l’organ...Messaggio #37 »

PIETRO SECCHIA E LA POLITICA DEL PCI NEL DOPOGUERRA

Post n°33 pubblicato il 13 Aprile 2006 da rossebandiere
 

Una lunga intervista di Ambrogio Donini a L’Espresso ha aperto una grossa polemica sulla storia del Pci dopo la Resistenza, sulla sua politica e sulla lotta politica interna, in particolare sulla figura e le posizioni del compagno Pietro Secchia. La polemica è molto vivace: tant'è che Gian Carlo Pajetta si spinge ad accusare Donini di "menzogna". Probabilmente dietro questi toni duri ci stanno anche dei "casi personali". Evidentemente Pajetta ha ragioni per ritenere che nell’archìvio Secchia ci siano notizie e considerazioni che lo riguardano di persona. Ma questo non basta a spiegare l'asprezza del dibattito, nè le sue motivazioni e il suo interesse.

Che cosa sta succedendo? Sta succedendo che la politica del gruppo dirigente del Pci, la politica del compromesso storico e tutta l'involuzione opportunistica e revisionista che l'ha preceduta sono in difficoltà. Questa politica, che ha mutato natura e funzione al Pci, ha disarmato la classe operaia e le masse lavoratrici di fronte all'avversario di classe e nello stesso tempo però non ha fatto raggiungere risultati significativi, consistenti e durevoli al Pci in rapporto alla Dc. Per questi motivi cresce nelle masse il malcontento per la politica di Berlinguer, ma cresce anche nello stesso Pci il disorientamento, il dibattito e lo scontro sulla politica da adottare. In questa situazione anche la ricostruzione della storia del Pci, della sua politica e della lotta al suo interno diventa oggetto di polemica e di scontro, e ognuno vi interviene secondo i suoi fini.

Dal punto di vista della verità storica Donini ha ragione quando sostiene che vi fu fin dall'immediato dopo-guerra una divergenza di Secchia e di altri - di molti altri - rispetto alla linea che Togliatti e le sue posizioni andavano imponendo al partito.

Quando i vari Amendola (e anche Pajetta che parla di "menzogne") sostengono che la divergenza politica di Secchia emerse nel'53 dopo la Vittoria elettorale contro la legge-truffa e di fronte alla necessità di un "rinnovamento" per superare la "chiusura" e il "settarismo" precedenti lo fanno solo per sostenere la loro linea politica. Nascondendo il fatto che vi fu nel periodo immediatamente successivo alla Liberazione una forte resistenza alla linea che Togliatti proponeva, essi vogliono in realtà sostenere che la strada che si seguì allora e ancor più quella che il Pci ha seguito negli anni successivi fino ad oggi era l’unica che si potesse percorrere e che essa non incontrò opposizioni significative.

Ma la verità storica conta pur qualcosa. In base a questa verità e alla mia esperienza, e in base anche alle numerose occasioni che ho avuto di discutere di queste questioni con Pietro Secchia fino agli ultimi periodi della sua vita, posso sostenere che queste divergenze riguardavano il nocciolo della politica di Togliatti.Togliatti era convinto, e voleva convincere tutti noi, che fosse possibile un lungo periodo di collaborazione con la Democrazia Cristiana, che questo fosse l'obiettivo da perseguire e che addirittura questa fosse l’unica strada per conquistare una democrazia progressiva.

Secchia e la maggior parte di noi che avevamo condotto la Resistenza e la guerra di liberazione soprattutto al nord non eravamo convinti di queste posizioni e delle illusioni che ne seguivano.Vedevamo in primo luogo che la Dc si andava ormai affermando come lo strumento cardine del potere della grande borghesia nel nostro paese e dell'asservimento all'imperialismo americano. Il giudizio sulla Dc costituiva perciò la prima profonda divergenza rispetto a Togliatti.Vedevamo che la politica di rinuncia a portare apertamente e con fermezza la lotta in seno ai Cln per il loro rafforzamento, la loro estensione e il loro radicamento come strumento di iniziativa e di intervento delle masse aveva portato il Pci a non fare quasi nulla al momento della liquidazione del governo Parri - l'unico governo espressione unitaria della Resistenza per respingere l'involuzione reazionaria capitanata dalla Dc. E così il Pci veniva colto di sorpresa a metà del '47 dalla estromissione dei comunisti e dei socialisti dal governo per opera del "colpo di stato" di De Gasperi e rinunciava i far intervenire ampiamente le masse.Nel discorso alla Costituente, nel giugno successivo alla cacciata dal governo, Togliatti si lamentava del fatto che la Dc, operando in questo modo, non tenesse conto dei sacrifici e della moderazione delle richieste che gli operai e le masse lavoratrici si erano assunti per l'opera unitaria di ricostruzione, e finiva per considerare l'episodio come un incidente momentaneo rapidamente superabile. Eppure l'esperienza dell'Aventino e del Pcd'I diretto da Gramsci con l'appello diretto all'intervento popolare dovevano pur insegnare qualcosa sui principi e sui metodi della lotta che un partito comunista deve ingaggiare di fronte alle iniziative reazionarie! Si trattava certo di condizioni diverse, ma in ogni condizione, anche la più difficile, non si può ottenere nulla senza ricorre re alle masse. E le condizioni, se non per avere la garanzia del successo pieno, sicuramente per far fronte alla situazione e aprire prospettive differenti, sicuramente c'erano. Basti ricordare a titolo d'esempio che comunisti e socialisti assieme raccoglievano nel sindacato unitario l'80% degli iscritti, la sola corrente comunista raggiungeva nella Fiom più del 60%, il 71 % negli edili, il 67% nella Federbraccianti.

Bastano questi pochi esempi per illustrare gli elementi di divergenza presenti allora nel Pci. che nessuno può nascondere o mistificare perché oltre ad essere ampiamente documentati nell'archivio di Pietro Secchia sono a conoscenza precisa e documentata di numerosissimi compagni.

Secchia si dichiarava convinto che se le sue posizioni fossero state seguite il Pci non si sarebbe trovato nelle condizioni odierne, ma avrebbe mantenuto un carattere rivoluzionario. Proprio per questo raccomandò che tutti gli scritti del suo archivio fossero consultati da chiunque li volesse leggere e diede una precisa direttiva per la pubblicazione del materiale ancora inedito, perché ciascuno potesse giudicare della sua lotta contro "il revisionismo e l'opportunismo di ogni sorta". Che ciò terrorizzi i dirigenti attuali del Pci non stupisce affatto. Di qui i loro mille sforzi per purgare, censurare, impedire persino la pubblicazione. Pajetta è insorto all'annuncio della esistenza di un rapporto di critica alla linea Togliatti che Secchia fece a Stalin nel '47. L’esistenza di questo rapporto non può essere negata da Pajetta, a meno che tiri fuori dagli archivi del Pci le prove che esso fu discusso con Togliatti, con la segreteria, con la direzione del Pci. Il rapporto Secchia a Stalin: un metodo certo discutibile, anche se allora comprensibile in una situazione in cui l’Urss di Stalin rappresentava indiscutibilmente per tutti i comunisti il reparto avanzato del proletariato internazionale, il momento di orientamento più alto del movimento comunista. Un metodo comunque già allora criticabile: come si poteva pensare di affrontare la battaglia fondandosi sull'aiuto "esterno" e non invece aprendo apertamente nel proprio partito e contando sulle proprie forze la lotta contro l'opportunismo e il revisionismo? Certo, ci sono alcuni che ancora più pericolosamente queste cose le pensano ancora oggi.

E veniamo appunto ad oggi. Annunciando clamorosamente l'esistenza del rapporto ai "compagni sovietici" si vuole forse suggerire che sempre da Mosca si debba fare riferimento per contrastare la politica fallimentare del Pci? Non è forse da là, da Krusciov e da chi l'ha seguito, da Breznev, che si è scatenata l'offensiva revisionistica all'interno del movimento comunista internazionale? Si vuole forse sostenere che dai sovietici ci possa venire la salvezza quando tutti vedono quanti guasti, lutti e divisioni procuri ai popoli, ai movimenti progressisti e di liberazione la pretesa egemonica dell'Urss, la sua contesa con l'imperialismo americano per le sfere di influenza e l'egemonia?

Sappiamo quanto i sovietici si diano da fare anche nel nostro paese per presentarsi come punto di riferimento a chi vuole battere la politica fallimentare degli "eurocomunisti" alla Berliguer. Ma sappiamo anche che in cambio il partito di Breznev propone una teoria e una pratica che con la rivoluzione, con il marxismo e con il leninismo non hanno ormai più nulla a che vedere, una pratica di aggressione, di dominazione, di guerra.

Sarebbe rendere un pessimo servizio a Pietro Secchia. E alla sua sincera volontà di contrastare l'oportunismo e il revisionismo, mettere il suo archivio e le sue testimonianze al servizio di manovre volte a negare al nostro popolo il diritto di decidere in piena libertà del proprio destino.

Anche per questo ritengo che la consegna di Pietro Secchia vada rispettata integralmente. Siano pubblicati senza censure, senza ritardi, senza pregiudizi di convenienza e di opportunità tutti i suoi scritti e le sue testimonianze. I militanti del Pci, gli operai, tutti i rivoluzionari e i democratici, i giovani, potranno così valutare obiettivamente e criticamente, e valersene in piena autonomia da qualsiasi condizionamento per l'approfondimento della conoscenza della storia del movimento operaio del nostro paese e la formazione della coscienza necessaria per i compiti di oggi.

Giuseppe Alberganti

(da fronte popolare, n.150, 26 febbraio 1978, pag.24)

 

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Data di creazione: 15/11/2005
 
 

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