I pigmenti colorati si ottenevano dalla combustione di resina, corteccia dell'albero Kapara e bruchi.
Il nerofumo creato veniva conservato in vasetti di legno o pietra pomice decorati con figurei ntaglia intagliate.
Questi vasetti erano il patrimonio sacro di ogni tatuatore e venivano
tramandati di generazione in generazione da un tobungata-moko all'altro
come l'arte del ta-moko.
Il nerofumo raccolto veniva mescolato con acqua sorgiva, olio di pesce o foca. A seconda della consistenza dell'insieme,si otteneva un indaco
blu-nero o un pigmento verde-nero. Durante l'operazione, chi si faceva tatuare non poteva mangiare cibi solidi, doveva assumere solo liquidi:con un imbuto,gli si dava da bere un brodo molto leggero di carne. Questa alimentazione , che non contemplava la masticazione e
neppure nessun movimento incauto, non pregiudicava il processo della
cicatrizzazione delle ferite aperte. Per accelerare la cicatrizzazione
si utilizzavano le fogli dell'albero di Karaka, che venivano applicate
sopra le ferite, come fossero delle bende. In questi frangenti era vietata anche l'attivitą sessuale.Si suppone
che il moko rappresenti il tentativo di ricongiungersi in modo
spirituale con i propri antenati.
(strumenti per l'incisioni del moko)E possibile anche che sia l'evoluzione di forme e di figurazioni delle
statue delle divinitą regionali e che i disegni si siano poi diffusi in
tutte le religioni tribali. Questa supposizione viene confermata dal
fatto che un moko riproduce da un lato, da un lato l'origine della
famiglia, e dall'altro informazioni geografiche e storiche della
medesima.(liberamente tratto da: Il corpo tribale)