Servitori del Popolo

UNA VITA DA SERVI E SCHIAVI


UNA VITA DA SERVI E SCHIAVI In natura i forti si distinguono dai deboli e questi vengono da loro sottomessi. I forti si “godono la vita” ma soltanto grazie ai deboli, che subiscono la sopraffazione e accettano il ruolo di servi e schiavi. Dal punto di vista dei forti tutto è loro dovuto perciò non riconoscono alcun merito ai deboli; questi, di rimando, li odiano e vorrebbero distruggerli e trascorrono la vita coltivando questa speranza. Il ciclo della vita, però, si chiude per entrambi per cui almeno in questo vince la giustizia. Nella società politica si riproducono gli stessi rapporti anche se a prevalere non è la forza fisica bensì la “forza politica”, grazie alla quale ci si avvale della forza artificiale delle istituzioni e degli strumenti da queste organizzati soprattutto a difesa dei titolari del potere. Gli elementi essenziali sia del contesto naturale sia di quello politico sono, in un certo qual modo, gli stessi perché entrambi si fondano sulla forza, per cui preferire l’uno o l’altro dipende soltanto dalla possibilità di prevalere nell’uno oppure nell’altro contesto traendone tutti i relativi privilegi. E’ comunque evidente che in entrambi i casi ci saranno sempre dei deboli, ossia dei servi e degli schiavi. Una domanda però che viene da porsi è la seguente: questi ultimi (i servi e gli schiavi) non hanno alcuna possibilità di liberarsi dal vincolo del gioco, dalla gabbia, dalla prigione ? Le rivolte degli schiavi contro i padroni sono spesso avvenute nel corso della storia (famosa quella di Spartacus contro i romani) ma quasi sempre l’esito finale è stato tragico per gli schiavi, e quando questo non è accaduto le ribellioni hanno soltanto agevolato la successione al potere dei padroni con altri padroni. Sembrerebbe, perciò, che la soluzione della rivolta non risolva mai il problema. E allora non ci sarebbe alcuna via d’uscita per i servi e gli schiavi ? Forse si, ma occorre necessariamente rispondere ad un’altra domanda: quale è il senso della vita ? Ritenere, infatti, che la vita da servi o da schiavi agevoli l’ingresso in “Paradiso” (ove l’accesso sarebbe limitato o precluso ai ricchi e ai potenti) induce certamente ad accettare tali sottomissioni e ad essere perfino lieti di subirle. Diversamente, ritenere invece che, al di là del dopovita, non è umanamente accettabile una vita da servi o da schiavi, fa scaturire la decisione di rifiutare tali ruoli sociali e politici o col rimedio della ribellione oppure liberando l’anima e restituire dignità al corpo vilipeso. Tra le due la seconda è certamente dirompente per il sistema perché lo priva definitivamente del suo alimento principale, grazie al quale "la vita è bella" perchè serviti dagli schiavi, mentre nel primo caso può giustificare ulteriori soprusi e angherie nei confronti dei ribelli sconfitti, i quali, a loro volta, avrebbero meno ragioni per condannare le reazioni dei padroni. Sia l’una che l’altra decisione, però, hanno il merito di stimolare negli uomini una riflessione profonda sulla propria esistenza, che ha una fine certa, per dare una risposta alla domanda se valga la pena oppure no di vivere da servi o da schiavi la propria frazione di tempo terrena.