Servitori del Popolo

GANDHI AVVOCATO


GANDHI AVVOCATOLa figura morale di Gandhi è ormai patrimonio dell'umanità. Tanti saggi e libri sono stati scritti su di Lui, e anche il cinema qualche anno fa si è interessato alla sua storia raccontandola nel film "Gandhi", con la mirabile interpretazione di Ben Kingsley. Ora arriva il teatro, grazie alla brillante iniziativa di Rosario Tarantola, avvocato, che recupera dalla storia di Gandhi il periodo iniziale della sua vita quando, dopo essersi laureato in giurisprudenza in Inghilterra, iniziò la sua professione di avvocato, prima a Bombay e poi in Sud Africa, ove Tarantola ambienta la narrazione. Un'opera teatrale in due atti, già portata in scena al Teatro Solferino di Roma in occasione del 130° anniversario dell'istituzione delle Croce Rossa da una Compagnia composta tutta di avvocati. Si può senza alcun dubbio sostenere che con quest'opera "Gandhi Avvocato. Vent'anni di professione forense e non solo",  l'Avv. Rosario Tarantola ha dato" un contributo di notevole valore morale alla società nella quale Egli è attivamente inserito, ma ha reso ancor più un servizio alla "categoria di appartenenza" (l'avvocatura) che sembra aver perso il senso del suo ruolo etico e culturale. Molte sono le espressioni dei vari dialoghi che inducono alla riflessione: «Ma quale nobile professione. Lei vuole scherzare ! Quello dell'avvocato è un mestiere duro, difficile, quello si ! Soprattutto quando devi scendere a compromessi con la verità. E non è una cosa nobile scendere a compromessi con la verità»; oppure: «L'opera del barbiere, del contadino, dell'artigiano vale quanto quella degli avvocati e dei giudici»; e, ancora: «Rispetto la legge, ma "la legge deve rispettare gli uomini"». E', quest'ultima "battuta", particolarmente dirompente, soprattutto se calata nella realtà dei nostri tempi, in cui la proliferazione, degna della peggiore follia politica, sta inondando di leggi, decreti e regolamenti la vita degli inermi cittadini che avvertono sempre di più che la "Giustizia" non è nella legge formale ma nelle loro coscienze. Entra, così, in gioco, secondo me, Erasmo da Rotterdam, che nell'Elogio della Pazzia, così dice su "I Giureconsulti": «Fra gli eruditi il primo posto spetta ai giureconsulti, e nessuno più di loro è soddisfatto di sé quando, impegnati in una fatica di Sisifo, formulano una legge dopo l'altra, senza che abbia importanza ciò a cui si riferiscono, e aggiungendo cavilli su cavilli, pareri su pareri, fanno in modo che lo studio del diritto risulti essere  il più difficile fra tutti, visto che secondo loro, quello che richiede maggiore fatica è senza dubbio più nobile. Accanto ad essi collochiamo i dialettici e i sofisti, una categoria più loquace dei bronzi di Dodona: ognuno di loro potrebbe gareggiare in fatto di chiacchiere con venti donne scelte fra le più chiacchierone. Sarebbe meglio per loro che fossero soltanto chiacchieroni, invece sono anche litigiosi al punto da discutere con strenua tenacia per questioni di lana caprina, tanto da dimenticarsi spesso, nella foga della contesa, dove stia la verità. ». E', probabilmente, questa consapevolezza, derivante dall'esercizio della professione, che ha indotto l'Avv. Rosario Tarantola a tentare di «trasmettere qualcuno di quei valori [di Gandhi] che ne hanno caratterizzato l'esistenza» nell'ambito della "categoria di appartenenza" e nella società in cui vive. È sicuramente una sfida entusiasmante, la sua, che va condivisa e sostenuta, pur apparendo anch'essa "una fatica di Sisifo". Purtroppo la "storia dell'avvocatura" viene da lontano, e dai primi sofisti fino ai tempi attuali ha sempre alimentato aspre critiche e commenti ironici (e anche il protagonismo in politica, che li vede maggioranza a livello territoriale e parlamentare, non sembra dare buoni risultati; anzi, tutt'altro). Vale la pena, per questo, ricordare anche Antonio Ludovico Muratori, che nell'opera del 1742, "Difetti della Giurisprudenza", al Capitolo VIII, "De' pregi e difetti degli avvocati e d'altri ministri della giurisprudenza" esprimeva il seguente suo pensiero: «Necessari sono alla Repubblica non men de i giudici gli avvocati e consulenti (...) è ben vero, che tocca a' giudici il saper distinguere, se sieno sodi o fievoli i motivi addotti, se ben applicate alla causa proposta le leggi, le decisioni, ed altre autorità allegate; ma propriamente appartiene ai giuristi, sieno avvocati, o proccuratori, la fatica di scoprir le ragioni intrinseche ed estrinseche, per le quali il giudice dovrebbe darla vinta alla parte da loro patrocinata. Ma non tutti gli avvocati, siccome nè pur tutti i giudici, sono del medesimo calibro. Al pari della virtù, che sta nel mezzo, attorniata da i due estremi, cioè dall'eccesso e dal difetto, anche l'uffizio dell'avvocato si truova fra due estremi. L'imprendono ad esercitare alcuni, ma senza le qualità necessarie, cioè senza provvision di molto sapere, privi di penetrazion di mente, e che non sanno discernere, qual ragione calzi, quale autorità faccia al proposito. Ora questi tali avvocati, confinati nella schiera del difetto, innocentemente possono defraudar l'aspettazion de' clienti, e nuocere alle lor cause. Se l'avvocato è onesta persona, deduce quante ragioni gli somministra il suo ingegno e sapere, non per attrappolare i giudici, ma per far loro onoratamente conoscere, che la vittoria in quel caso dovrebbe esser sua. Ma chi fa traffico del suo ingegno, e più chi coll'acutezza della mente ha congiunta la malizia, non si guarderà talvolta dall'abbracciare e patrocinar cause spallate senza farsene scrupolo». L'augurio, perciò, sincero è che l'opera teatrale di Rosario Tarantola possa costituire il seme del cambiamento di tendenza, affinchè veramente Gandhi, la Grande Anima, possa aleggiare negli studi professionali, nelle menti e nelle azioni dell'intera avvocatura. E leggere l'opera aiuta il rinnovamento culturale e morale.