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CONTRO LA VOLONTÀ DI POTENZA E DI VIVERE

Post n°1012 pubblicato il 11 Gennaio 2021 da rteo1

CONTRO LA VOLONTÀ DI POTENZA E DI VIVERE

Può esistere un mondo "umanizzato", ossia ordinato in modo diverso (e "migliore") da quello che ci appare e nel quale siamo inseriti ? Leibnitz sosteneva che questo fosse "il migliore dei mondi possibili" e Voltaire, di rimando, con la sua non comune vivacità intellettuale, rispondeva col suo Candido, cominciando la narrazione con la citazione delle migliaia di morti a causa del disastroso terremoto con conseguente maremoto avvenuto nel 1755 che aveva distrutto la città di Lisbona, e proseguiva oltre, raccontando tutte le stragi e le inutili carneficine degli aborigeni dei paesi colonizzati dagli iberici, avvenute anche nel nome della civilizzazione e dell'evangelizzazione (così come oggi, con la "democratizzazione" e i "valori" europei, pretende di fare l'U.E. nei confronti del "terzo mondo" e degli Stati terzi) a cui il povero Candido aveva assistito. Di primo acchito, sembrerebbe che non sia umanamente possibile cambiare la natura così com'è. La "ragione", che si fonda sull'esperienza e la verifica dei dati della storia (per quanto scritta sempre ad usum Delphini, ossia dei vincitori e per le loro esigenze politiche), si fonda sul fatto che l'agire umano è conseguenza della "volontà di potenza", come definita da Nietzsche, o dalla "volontà di vivere", secondo Schopenhauer. Queste volontà (degli Stati, dei Popoli e degli individui), che albergano nell'inconscio umano e rendono l'uomo un "funzionario della specie", in conflitto aspro e perenne con il suo "Io" (che crede di essere il dominatore del mondo ma è terrorizzato dall'evento morte), spingono gli uomini (e tutte le specie viventi) a "lottare" per la sopravvivenza e per il primato sugli altri e sull'ambiente. Una lotta, a quanto pare, ineliminabile dall'ecosistema, già nota ai Greci, tanto che Eraclìto sosteneva che il mondo si fonda sul conflitto (il polemos). Ma dove porterà questo eterno conflitto, se effettivamente dovesse costituire l'essenza della vita, e che spinge l'uomo a cibarsi delle altre specie viventi (e dei propri simili) nel ciclo alimentare ed economico ? La filosofia indiana riporta l'episodio del Re Arjuna che non voleva scendere in guerra contro i popoli fratelli per evitare inutili stragi e che intervenne Krishna per spiegargli che non si sarebbe dovuto preoccupare delle migliaia di morti perché ciò sarebbe stato del tutto indifferente per l'universo. E allora veramente "non ha senso" preoccuparsi del ciclo della morte e della vita, dal momento che la natura è del tutto indifferente rispetto alle illusioni e rappresentazioni del mondo da parte della specie umana ?  E se fosse così, come sembra che sia, che senso avrebbe "vivere" secondo "gabbie giuridiche", sociali, morali, economiche, teologiche, politiche, con goffi rituali, mitizzazioni e divinizzazioni di esseri vacui e di simbolismi eccentrici del potere, anziché vivere tutti secondo le immutabili e universali leggi della natura ? Credo che non avrebbe alcun senso! Mangiarsi tutti, reciprocamente, per poi, alla fine, fagocitare se stessi può anche essere quanto sembri accadere secondo natura ma sarebbe "senza senso", e gli uomini non possono accettare di vivere una vita senza senso. Penso, perciò, che l'uomo, grazie all'autocoscienza (che secondo Kant consente all'universo di conoscere se stesso, come guardarsi allo specchio), possa immaginarsi di avere ricevuto il primato di attribuire (o cambiare) il (non) senso alla vita ma per farlo dovrebbe iniziare ad agire "Contro la volontà di potenza e di vivere". Trattasi certamente di una scelta di vita difficile, apparentemente impossibile, ma nel tempo (lungo o lunghissimo) potrebbe portare al cambiamento dell'attuale essenza del mondo, non più fondato sull'odio ma sull'amore, non più sulla morte ma sulla vita, non più sulla guerra ma sulla pace né sulle tenebre ma sulla luce. E che questo fine o scopo possa essere la vera sfida della specie umana ben si può comprendere dal fatto che non c'è, invece, nulla di "eroico" né di nobile continuare a "mangiarsi l'un l'altro" oppure a continuare a fare stragi di esseri viventi, a depredare gli altri, a sopraffare ed imporre schiavitù e diseguaglianza perché tutto questo sarebbe, a quanto pare, "secondo natura", ossia secondo il modo di esplicitarsi della suprema "volontà di vivere". La vera sfida, perciò, che varrebbe la pena accettare, come specie intellettualmente evoluta, che ha ricevuto il dono dell'autocoscienza (che ha consentito di capire le attuali regole del gioco, di ideare e immaginare il mondo, anche diverso da quello che appare attualmente), può anche essere quella di "mutare" il verso della stessa natura. Per far sì che quest'ultima possa cambiare la sua essenza che ora è intimamente conflittuale, e che si riflette nell'autocoscienza umana, la quale avendo finora supinamente agito secondo la "volontà di vivere", ossia come "funzionario", diligente si ma ignaro e stolto, della specie, si è "macchiato" anche di "correità". Ha cioè finora concorso a realizzare un disegno privo di senso che ora, però, potrebbe finalmente avere bisogno di senso. Mito o storia che sia non importa, ma Davide riuscì a sconfiggere Golia. Anche Spartaco lottò per l'idea di libertà a costo della vita, e non rileva se la perse perché i romani poterono prendere solo il suo corpo esanime ma non cancellare l'idea della libertà. Agli spartani quando andavano in guerra i padri dicevano di ritornare con lo scudo o sopra lo scudo anziché diventare schiavi dell'esercito nemico. Noi abbiamo passivamente accettato di vivere secondo la legge della volontà di potenza che non si cura degli esseri viventi ma soltanto di se stessa. È la volontà che vuole vivere e sopravvivere, ma essa, a quanto pare, non ha alcuno scopo, e nessun senso. Un filosofo contemporaneo, grande affabulatore, grazie alla sua spiccata intelligenza e vasta e profonda cultura, ha anch'egli colto il "non senso" della natura e lo ha accettato come ineluttabilità della vita e della volontà di potenza. Non vi è dubbio che la sua constatazione sia corretta e coerente rispetto a quella che appare come realtà. Le cose, infatti, sembra che stiano effettivamente così, come egli dice, perché la volontà di vivere si preoccupa soltanto della sua "economia" (sopravvivenza) mentre si disinteressa degli uomini dopo che questi abbiano procreato e accudito la prole. La vita, così, ha bisogno della morte, e viceversa, in un ciclo che si ripete senza sosta all'infinito e nell'eternità. E questo ciclo ricomprende tutte le specie viventi, nessuna esclusa, così come oggi stiamo vedendo con la propagazione virale e gli effetti della pandemia, che stanno ciecamente "selezionando" secondo natura gli esseri umani. Eppure, se è vero, come credeva Platone, che il mondo delle idee è il luogo degli universali, dell'assoluto, allora non si può escludere che in tale mondo esista anche l'idea di "un mondo umanizzato", ossia di un mondo che possa cambiare la sua essenza fondata sul conflitto, sulla cieca volontà di potenza e di vivere, diventando invece un mondo nuovo e diverso, proprio grazie all'opera degli esseri umani, i quali potrebbero anche non vederne gli effetti e la realizzazione ma potrebbero poi essere ricordati da tutti gli organismi viventi, che sopraggiungeranno nel tempo, come i seminatori della nuova idea del mondo. Certamente non sarà un'impresa facile, perché il cambiamento dovrà sia riguardare le coscienze individuali che gli apparati statali, i quali hanno in sé proprio l'essenza della volontà di potenza. Sarà, per questo, quasi un evento sovrannaturale, se gli Stati (come ad es. oggi gli USA, la Cina, la Russia, l'India, la Turchia, la Francia, l'Inghilterra, la Germania, etc.), anche grazie all'autocoscienza degli uomini, riusciranno a superare se stessi e a diventare, finalmente, strumenti di servizio e non più di sopraffazione. E così avrà avuto ragione Schopenhauer che conclude il suo saggio più noto, Il mondo come volontà e rappresentazione, affermando: «Noi... lo ammettiamo apertamente: quello che rimane dopo la completa soppressione della volontà è, per tutti coloro che sono pieni di volontà, senza dubbio il nulla. Ma, al contrario, per coloro nei quali la volontà si è rivolta contro se stessa e ha negato se stessa, è questo il nostro  mondo così reale, con tutti i suoi soli e le sue vie lattee, a essere nulla».

 
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Commenti al Post:
ITALIANOinATTESA
ITALIANOinATTESA il 31/01/21 alle 19:35 via WEB
Chissà se i tanti presunti potenti ne hanno contezza!
Speriamo che si avveri l'auspicio espresso da Schopenhauer; almeno quando sarà il Suo Tempo. Un saluto, M@.
(Rispondi)
 
rteo1
rteo1 il 31/01/21 alle 22:03 via WEB
La volontà di potenza non ha altro scopo che aumentare la propria potenza. Chi ne è posseduto è come un bulimico, senza freni. In verità tutti ne avvertono la presenza nel proprio ego tuttavia solo alcuni se ne ammalano. E la "malattia"colpisce tutti e a tutti i livelli sociali e culturali. Solo però che quando ad esserne affetto è un uomo che ha ruoli di responsabilità (ad es. Un uomo di governo) allora può accadere di tutto. Spessissimo succedono tragedie. La storia del XX secolo ne ha visti parecchi di malati di volontà di potenza e gli stermini di esseri innocenti sono noti a tutti. Ma anche oggi il rischio che accada di nuovo è molto concreto. Basta girarsi intorno, anche in Italia, in questo momento di crisi, che negli Stati esteri. Resistere perciò alla tentazione della volontà di potenza dev'essere un dovere civico e morale. E cosi anche gli uomini potranno diventare migliori nel tempo.
(Rispondi)
Quivisunusdepopulo
Quivisunusdepopulo il 07/02/21 alle 19:04 via WEB
Buonasera amico mio, che dire?: "Spes,ultima dea"! Un saluto affettuoso.
(Rispondi)
 
rteo1
rteo1 il 07/02/21 alle 20:18 via WEB
Caro Amico, anzitutto sento di dire che mi fa tanto piacere leggerti. Di recente ho avuto modo di conoscere il pensiero di alcuni filosofi contemporanei (alcuni scomparsi da poco), tra cui Umberto Galimberti (cui mi riferisco nell'articolo, senza però menzionarlo)il quale sostiene che la "speranza" è un rifugio dei deboli ed è frutto della colonizzazione culturale del cristianesimo. Ho riflettuto a lungo su questo. Non escludo che abbia ragione. Ma che importa ? Noi tutti abbiamo bisogno di credere, di sperare, soprattutto che il futuro sia migliore. E' un modo per prenderci in giro ? Forse si, come dice Galimberti. Ma se serve a fa stare meglio la gente, o coloro che ne avvertano la necessità, perchè privarli, impedirgli di sperare ? Per stare all'attualità politica: oggi abbiamo un nuovo premier incaricato, Draghi. La gente (il popolo), i partiti, le istituzioni, "sperano" che possa risolvere meglio di altri i gravissimi problemi del paese. Non so come andrà a finire. Questo li vedremo. Ma "sperare" che possa andar ben può servire alla causa e ciò può bastare. Almeno per ora.
(Rispondi)
cassetta2
cassetta2 il 22/02/21 alle 12:32 via WEB
Quando mi dicono conta su di me io penso al tuca tuca.
(Rispondi)
 
rteo1
rteo1 il 22/02/21 alle 19:53 via WEB
Grande Raffaella Carrà. Un pezzo di gioventù alle spalle. Battuta per alleggerire, è vero quanto dici ma non mi sento di assolutizzarlo. Certamente per alcuni dire "conta su di me" è un modo formale ma senza convinzione. Faremmo però torto a coloro che, invece, se lo dicono è perché lo pensano. E a volte danno prova della loro vicinanza pur senza aver detto di poter contare su di loro. In altri termini la specie umana è molto varia ed etorogenea. Ci sono tanti elementi comuni ma anche diversi che caratterizzano gli esseri umani. Per stare al mio tema, la volontà di vivere,che si estrinseca "cannibalizzando" il prossimo, non riguarda tutti. Mi viene da pensare, ad es , a Madre Teresa di Calcutta. Ma gli esempi sono tanti. Per cui è possibile agire culturalmente e socialmente affinché la volontà di potenza di vivere si trasformi in volontà di con-di-vivere. E forse così si starebbe bene con se stessi e con gli altri.
(Rispondi)
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