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Sensazioni, stati d'animo, poesie...Ciao a tutti, curiosando qua e la per la rete mi sono imbattuto in una storia impregnata di pregiudizi e di ignoranza nei confronti di noi sardi, una storia assurda e vissuta, o meglio, immaginata, da un presunto intellettuale inglese, un certo Mr Dibdin, scrittore e professore universitario al quale non manca certo la fantasia ma sicuramente non è dotato di quel minimo di tatto e di quella sana e genuina curiosità che ogni viaggiatore scrittore dovrebbe avere affinché le sue ricerche, i suoi studi e suoi scritti riescano a dipingere almeno in parte la realtà, magari anche fantasticando ma cercando di rendere sempre giustizia alla verità.
Il nostro caro Dibdin stava trascorrendo una breve vacanza nel cuore della Barbagia e durante una cena solitaria gli si presenta, in maniera forse un po’ burbera e diffidente tipica del carattere del sardo, un uomo di nome Bruno, un pastore della zona incuriosito dallo strano personaggio. Se è vero che inizialmente l’approccio non è stato probabilmente divertente (almeno da quanto riportato da Mr Dibdin!!) è altrettanto vero che Bruno si è dimostrato subito una persona ospitale e gentile, pur dimostrando la sua ospitalità in maniera forse un po’ dura e rude. Insieme a Bruno, il nostro caro professore assapora la vita del pastore sardo, vita fatta di duro lavoro e di sacrifici ma anche impregnata di lealtà e sentimenti di fraterna amicizia spesso difficili da ritrovare nella nostra società troppo presa dagli individualismi e dagli egoismi. Alla fine, Bruno, invita il suo ingrato amico nella sua umile dimora, gli presente la madre, gli offre un bicchiere di filu e ferru e gli regala una casetta di musica sarda, la stessa musica che il nostro Gulliver aveva sentito in macchina di Bruno durante i vari spostamenti nelle montagne del Gennargentu.
Volete sapere come Dibdin ringrazia il nostro amico??? Be stilando un resoconto oltremodo fantastico e bugiardo che infanga la realtà, una realtà contorta che già aveva in mente e che non è riuscito a modificare nonostante l’incontro con un personaggio sicuramente fuori dal comune ma in fondo buono e ospitale. Il suo racconto è continuamente articolato con tono sprezzante e riluttante e fa perno sempre e solamente su un unico concetto: il pericoloso sequestratore sardo, il criminale, il pastore ignorante. Non c’è mai un riferimento positivo nei confronti della nostra cultura e delle nostre tradizioni che ovviamente Dibdin ignora o non ha la voglia e le doti umane per comprenderle.
Caro Professore, forse non ha capito le poche ma intense parole che il buon Bruno le disse quando vi salutaste: “Amigu meu, bae cun Deus”, non le ha capite o non le ha volute capire, perchè solo questa piccola frase dimostrava l’animo gentile e non da criminale tipico della gente di Sardegna, regione aspra, misteriosa e selvaggia che lei ha rifiutato di conoscere fino in fondo nascondendosi dietro un velo di facciata ipocrita e disgustoso tipico di chi si ostina ad ignorare la verità e a non volerla cercare.
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Sardegna! dolce madre taciturna,
Non mai sangue più puro
E innocente di questo ti bruciò
Il core - E tanto ne stillò dall'urna
Della morte!- Pastore,
Re del silenzio, - sul tuo sogno immobile
Passan le rosse nuvole,
Passano i venti sul tuo chiuso cuore-
Ascolti? Il tuo silenzio
Vinto è dai colpi dei vendicatori:
E già sulla collina
Bela e svaria la mandra,
E canta la calandra
Che l'aurora è vicina.
Uomo, che pieghi i tralci
Per la vendemmia altrui,
Al fuoco che sotterra arde, dai grappoli
Gemerà vino d'allegrezza eterna!
Uomo, che segni sotto i cieli vasti
Piccoli e brevi solchi,
Ed è pur grande quella tua fatica!
Altri vomeri squarciano l'antica
Terra e l'aran, non visti, altri bifolchi.
Le piccozze son vomeri ben forti,
Ogni zolla è già gravida di un'altra
Promessa, e fiorirà
Una messe di gioia e di bontà.
L'allodola già canta sull'altura:
Preparate le falci,
E dite il canto della mietitura!
Tratta da una stupenda poesia di Sebastiano Satta
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