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Messaggi del 06/05/2012

caso della laurea albanese

Post n°37 pubblicato il 06 Maggio 2012 da dolente2005

*Non poteva esserci miglior pubblicità che il caso della laurea albanese
del Trota, alle ragioni di quanti difendiamo il valore legale del titolo di
studio e la certificazione pubblica della qualità della formazione.*
 
La notizia della laurea comprata da Renzo Bossi all’Università Kristal di
Tirana, dove si è laureato in 13 mesi così a distanza da non esserci andato
neanche per la Laurea, è la miglior chiosa alla parabola storica della Lega
Nord. Come per il fascismo, nato anche dalla critica radicale
dell’italietta liberale e degli accomodamenti familistici di questa, anche
la Lega Nord replica in farsa il peggio dei fenomeni che pretendeva
denunciare.
  
Quel “familismo amorale” che studi sociologici orientati attribuivano al
mezzogiorno, individuando di conseguenza una parte sana del paese
stranamente immune geograficamente dai difetti del paese, invece allignano
senza eccezione ovunque. I “figli di papà” e il “tengo famiglia” sono gli
articolo uno della Costituzione materiale del paese dagli stati preunitari
all’Italia liberale, da quella fascista a quella repubblicana, da Gemonio a
Lampedusa, da Imperia a Otranto.
 
Il caso della laurea albanese testimonia che nel Nord dove la polemica
anticulturale è stata più forte in questi anni e dove l’operaio
(apparentemente) non desiderava avere più il figlio dottore, proprio il
massimo censore del “culturame” a colpi di corna, rutti e gesti
dell’ombrello, si abbarbichi al pezzo di carta per il figlio ipodotato come
riconoscimento disprezzato eppure indispensabile. *Non poteva esserci
miglior pubblicità che il caso della laurea del Trota, alle ragioni di
quanti difendiamo il valore legale del titolo di studio e la certificazione
pubblica della qualità della formazione.*
 
In Italia, il vero pezzo di carta, con buona pace dei bocconiani,  è e sarà
la carta d’identità, familiare. La supposizione che il figlio di Bossi
possa usare la sua improbabile laurea testimonia che l’abolizione del
valore legale creerebbe una giungla nella quale non i migliori (dotati di
lauree conferite da atenei considerati “migliori”) ma i più forti
(privilegiati familisticamente, magari favoriti spudoratamente da atenei
interessati ad averli come allievi) sarebbero avvantaggiati. È solo il
valore legale, la rigida certificazione di percorsi di studio comparabili
(quale quello che porta al riconoscimento di lauree straniere) a garantire
dai peggiori abusi oltre a garantire il rispetto del diritto costituzionale
allo studio *dei capaci e meritevoli anche se privi di mezzi*.
 
Dopo vent’anni nei quali la Lega Nord ha violato i diritti civili di
migliaia di insegnanti meridionali, facendo barricate per impedire loro di
lavorare e farneticando di scuole padane dove insegnare il dialetto della
Val Brembana, proprio il figlio del capo va a prendersi la laurea in
Albania. È all’ennesima potenza una replica del caso di Mariastella
Gelmini, anch’essa sguaiatamente antimeridionale, che però prese
l’abilitazione d’avvocato a Reggio Calabria “perché più facile”.
 
Si capisce che un’Italia per decenni governata dal diplomato alla scuola
Radio Elettra Umberto Bossi o dalla pseudo-avvocato Gelmini abbia per anni
avuto nella scuola pubblica, nell’Università e nella ricerca scientifica il
peggior nemico. Quanta soggezione deve fare alla Gelmini un vero avvocato,
quanto marziano deve sembrare al Trota un vero laureato in marketing! Ciò
non c’entra nulla con la legittimità del non aver potuto studiare, per
censo o perché la vita ha scelto così. C’entra col non aver voluto studiare
ma volersi mostrarsi per quello che non si è. Potremmo farci un’alzata di
spalla delle frustrazioni di Gelmini o Bossi se non avessero contribuito in
questi anni ad affossare il sistema educativo e la ricerca italiana.
 
Avrebbero potuto mandarlo ovunque, gli Stati Uniti pullulano di college di
prima o di quarta serie dove i rampolli delle classi dirigenti mondiali
prendono i pezzi di carta con i quali subentrare ai loro papà. Ha scelto di
mandarlo in Albania, paese popolato da una razza inferiore per anni simbolo
della politica xenofobica della Lega. Dovremmo ringraziarlo il Rettore
dell’Università Kristal per aver venduto quel pezzo di carta a Renzo Bossi
pagato dai contribuenti di Bari e di Arezzo. Ha dimostrato quanto ipocrita
e strumentale alla preparazione culturale subalterna dei propri elettori
fosse (oltretutto) il razzismo della Lega. Un razzismo finalizzato al solo
mantenimento dei privilegi della classe dirigente per sé e per i propri
figli.
 
Il male assoluto di questo paese non appare così tanto essere l’infimo
livello della politica, la corruzione dilagante, l’evasione fiscale, ma
quella cristallizzazione premoderna di una società dove ognuno è destinato
a rimanere a vita nella casta di provenienza. Demolita la speranza del sole
dell’avvenire socialista e disciolto il sogno americano della promozione
individualista offerta dal neoliberismo, ognuno stia come sta. Senza
ascensore sociale (e non se ne conosce altro che l’istruzione) l’Italia è
destinata a essere governata dai Trota, dalle Mariastella e dai Piersilvio,
che restano “razza padrona”. Forse il Trota non sarà mai ministro
(speriamo…) ma la Porche in garage non gliela leva più nessuno.
 
C’è qualcosa di perverso in questa famiglia italiana che non si limita
(come fosse poco) a dare strumenti ai propri figli per farsi strada nella
vita ma, non appena può, lavora per costruire a questi autostrade tra le
macerie di un paese, l’Italia, che dobbiamo ricostruire da zero. Va da sé
che per ogni laurea comprata c’è un laureato vero che resta disoccupato,
per ogni figlio di papà imposto, c’è una vocazione altrui frustrata. È
anche per fare spazio ai trota (i trota figli di notai, medici, architetti,
politici, docenti universitari…) che un’intera generazione di bravi
laureati fugge all’estero o è confinata nella precarietà.
 
Bisognerebbe inventarsi qualcosa, magari mandarli fin da bambini in un
kibbutz in Galilea, questi figli tutt’altro che degeneri delle nostre
classi dirigenti. Chissà, magari in un kibbutz di quelli di una volta,
senza papà, senza scorta e senza laurea taroccata, forse anche Renzo Bossi
imparerebbe a vivere.

 
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