Libera i Sahrawi!

Rapporto di Stefano Liberti di ritorno dal campo di Gdeim Izik poco prima del suo smantellamento


A un mese e mezzo dallo smantellamento violento del campo di Gdeim Izik, a 12 chilometri da Al Aaiun, capitale amministrativa del territorio del Sahara occidentale occupato dal Marocco, è utile ragionare su quella protesta e sulle rivendicazioni che l’hanno generata. Il campo era costituito da alcune migliaia di tende, almeno 5000 secondo gli stessi responsabili. La protesta, iniziata il 10 ottobre con una decina di tende e una cinquantina di persone, ha finito presto per gonfiarsi a dismisura: nei momenti di massima attività il campo è arrivato a contenere fino a 20mila sahrawi, provenienti da Al Aaiun, ma anche da altre città del Sahara occidentale occupato. Nei giorni che ho personalmente trascorso all’interno della tendopoli, ho potuto registrare una presenza di circa 4000-5000 persone. Una stima ovviamente imperfetta, ma abbastanza verosimile, dal momento che nel corso di un pomeriggio tutta la popolazione del campo si è riversata in uno spiazzo per accogliere la solidarietà dei lavoratori sahrawi del fosfato. Molti dei più attivi organizzatori della rivolta hanno avvalorato questa cifra, confermando che la gran parte delle persone faceva delle sorte di rotazioni. Passava cioè due-tre giorni nella tendopoli, per poi far ritorno ad Al Aaiun.  Il campo era completamente autogestito, con tre comitati che si dividevano compiti e funzioni. I tre comitati – uno incaricato dei negoziati con le autorità marocchine, uno della sicurezza, una della gestione propriamente detta (raccolta della spazzatura, distribuzione di alimenti e medicinali) – erano costituiti ognuno da nove persone. Tutti gli appartenenti a questi comitati erano giovani più o meno sulla trentina, che negli anni precedenti non si erano particolarmente distinti nelle proteste indipendentiste contro il Marocco. Dai colloqui avuti con i responsabili, sono emerse rivendicazioni a forte carattere sociale: la necessità di avere i propri diritti al lavoro, allo studio, alla proprietà equiparati a quelli dei coloni marocchini. Tutti lamentavano di essere cittadini di serie B e definivano l’esperienza del campo di Gdeim Izik come “la prima volta che ci sentiamo padroni a casa nostra”.  Il corollario di queste rivendicazioni sociali erano quelle di natura politica. Senza dirlo apertamente, tutti gli abitanti di Gdeim Izik con cui ho avuto modo di parlare appoggiavano l’opzione indipendentista e avevano come riferimento il Fronte Polisario. Ufficialmente, tuttavia, il comitato di negoziazione affermava di non occuparsi di questa questione – “dal momento che il rappresentante del popolo sahrawi è il Fronte Polisario e che il suddetto Fronte è impegnato in negoziati politici diretti con il Marocco” – e che pertanto le rivendicazioni erano prettamente di natura sociale. Nel momento in cui sono entrato io al campo, quattro giorni prima del suo smantellamento, la situazione era già molto tesa: la tendopoli era completamente circondata dai soldati marocchini, che avevano eretto un muro tutto intorno al territorio, in modo da controllare l’accesso. Per arrivare da Al Aaiun a Gdeim Izik bisognava passare tre posti di blocco marocchini, dove tutti i cittadini stranieri intercettati venivano rimandati indietro. Malgrado avessero costruito il muro, i soldati marocchini erano accampati all’interno della fortificazione, come forma di provocazione nei confronti degli abitanti del campo. Si mantenevano a una distanza di sicurezza di appena 100 metri dalla tendopoli, facendo sempre notare la propria presenza.  Anche le condizioni igieniche erano estremamente precarie. Non c’erano bagni e vi erano solo due cisterne per la distribuzione dell’acqua. Secondo i responsabili del campo, le autorità marocchine non autorizzavano l’ingresso del materiale per costruire servizi igienici né permettevano il trasporto di bagni chimici. Tutto il territorio intorno al campo cominciava a mostrare segni evidenti di deterioramento igienico. La mattina un gruppo di volontari ha fatto una mega-raccolta di rifiuti, che sono stati accatastati su due camionette e portati fuori. Nonostante la precarietà della situazione, all’interno del campo c’era grande entusiasmo. Tutti sostenevano di voler rimanere a oltranza – e almeno fino alla festa di fine Ramadan, prevista per il 15 novembre. L’intervento delle forze marocchine – l’8 novembre all’alba – ha interrotto questa esperienza brutalmente e prima del tempo.