Creato da saiens il 15/11/2011

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Didattica e Scienza

 

 

Dopo i 70 anni, troppe calorie uguale meno memoria

Post n°21 pubblicato il 11 Marzo 2012 da saiens
 

Nei soggetti di età superiore a 70 anni, un introito calorico giornaliero tra 2100 e 6000 calorie può raddoppiare il rischio di perdita di memoria o di deterioramento cognitivo lieve.
“Lo schema dose-risposta che abbiamo osservato è estremamente semplice: quanto più è elevato il consumo di calorie, tanto maggiore è il rischio di MCI, che rappresenta lo stadio intermedio tra una normale diminuzione della capacità mnemonica che accompagna l’invecchiamento e la malattia di Alzheimer”.

Dopo i 70 anni, troppe calorie uguale meno memoria

Lo studio ha coinvolto 1233 persone di età compresa tra 70 e 89 anni senza sintomi di chiara demenza, tutti residenti nella Contea di Olmsted, nel Minnesota. Di questi, 163 erano affetti da MCI. Ai volontari era richiesto di tenere un diario con il conteggio delle calorie assunte giornalmente con i cibi o le bevande, e sulla base dell’introito calorico sono stati suddivisi in tre gruppi di pari dimensioni. Un terzo dei partecipanti consumava tra 600 e 1526 calorie al giorno; un altro terzo tra 1526 e 2143 mentre l’ultimo consumava tra 2143 e 6000 calorie al giorno.

Dall’analisi dei dati disponibili
anche aggiustandoli per fattori confondenti quali livello d’istruzione, pregressi eventi di ictus e diagnosi di diabete, nonché per altri fattori in grado di aumentare il rischio di perdita di memoria – si è così riscontrato che il rischio di MCI è più che doppio nel gruppo con il maggior introito calorico. Nel gruppo caratterizzato

dal consumo medio, per contro, non è stato evidenziato alcun aumento del rischio.

“Leggendo i dati, potremmo quindi concludere che seguire una dieta equilibrata è anche un modo per prevenire la perdita di memoria nella terza età”, ha concluso Geda.

 
 
 

Neanderthal: già verso l'estinzione all'arrivo dei sapiens

Post n°20 pubblicato il 29 Febbraio 2012 da saiens
 

 

Le analisi del DNA fossile di alcuni soggetti neanderthaliani della Spagna settentrionale indicano infatti che 50.000 anni fa in Europa la maggior parte degli uomini di Neanderthal era già scomparsa. Successivamente, un piccolo gruppo di uomini di Neanderthal ricolonizzò l'Europa centrale e occidentale, dove sopravvisse per altri 10.000 anni prima che entrasse in scena l'uomo moderno.

Neanderthal: già verso l'estinzione all'arrivo dei sapiensConfronto fra uno scheletro di Neanderthal e di uomo moderno (Cortesia Ian Tattersall)"Che gli uomini di Neanderthal in Europa si fossero quasi estinti, per poi recuperare, e che tutto questo abbia avuto luogo molto tempo prima che venissero in contatto con gli esseri umani moderni, è stata una sorpresa. Ciò indica che l'uomo di Neanderthal potrebbe essere stato più sensibile di quanto si pensasse ai drammatici cambiamenti climatici avvenuti in epoca glaciale ", osserva Love Dalén, del Museo svedese di storia naturale a Stoccolma e primo firmatario dell'articolo.

 
 
 

Il pensiero positivo si impara dai genitori

Post n°19 pubblicato il 28 Dicembre 2011 da saiens
 

Che il "pensare positivo" sia di aiuto a sentirsi meglio lo capiscono già i bambini della scuola materna, e questo può non stupire. Ciò che è meno ovvio è che a dettare la capacità del bambino di assumere un atteggiamento positivo anche nelle situazioni difficili sia, più che la sua indole, l'atteggiamento verso la vita e la capacità di pensare positivo dei suoi genitori.

Ad appurarlo è stato uno studio condotto da ricercatori della Jacksonville University e dell'Università della California a Davis, che lo illustrano in un articolo pubblicato su "Child Development".

Nello studio, i ricercatori hanno esaminato 90 bambini di età compresa fra i 5 e i 10 anni. I bambini ascoltavano sei storie in cui due personaggi provavano un'emozione dopo aver sperimentato qualcosa di positivo (ricevere in regalo un cucciolo), negativo (rovesciare il bricco del latte), o ambiguo (l'arrivo di un nuovo insegnante). Dopo ciascuna esperienza, un personaggio aveva un pensiero ottimista, inquadrando l'evento in una luce positiva, mentre l'altro aveva un pensiero pessimista, mettendo l'evento in una luce negativa. I ricercatori a questo punto chiedevano ai bambini di giudicare le emozioni di ogni personaggio e di fornire una spiegazione per quelle emozioni. In colloqui precedenti, i ricercatori avevano accuratamente valutato il livello di ottimismo e speranza di ogni bambino e dei suoi genitori.
 
Già dai 5 anni i bambini capiscono che le persone si sentono meglio dopo aver avuto pensieri positivi che non dopo aver avuto pensieri negativi, e dimostrano pure di comprendere l'importanza di avere pensieri positivi in situazioni ambigue, una comprensione quest'ultima che diventa più profonda con l'aumentare dell'età.

I bambini mostrano invece una maggiore difficoltà a comprendere come il pensiero positivo possa risollevare l'animo di qualcuno che sia coinvolto in situazioni negative, come per esempio cadere e farsi male. In queste situazioni, il livello di ottimismo e di speranza del bambino ha un ruolo significativo nella capacità di comprendere il potere del pensiero positivo, ma decisamente più grande lo ha l'atteggiamento dei genitori.

"Oltre all'età, il più forte predittore della comprensione da parte dei bambini dei benefici del pensiero positivo, non è il livello di speranza e di ottimismo del bambino stesso, ma quello dei suoi genitori", spiega Christi Bamford, che ha condotto lo studio.

I risultati, osserva la Bamford, sottolineano il ruolo dei genitori nell'aiutare i bambini a imparare a sfruttare il pensiero positivo per sentirsi meglio quando le cose si fanno difficili.

http://www.lescienze.it/news/2011/12/24/news/pensiero_positivo_bambini_genitori-756571/

 
 
 

Il ruolo della cultura nell'evoluzione umana

Post n°18 pubblicato il 23 Dicembre 2011 da saiens
 

 

Quando si considera l'evoluzione dell'uomo moderno, si presuppone solitamente che le forze evolutive che agiscono sulle popolazioni siano innescate quasi esclusivamente da cambiamenti ambientali esterni, come quelli climatici o geografici. Tuttavia, recenti studi antropologici hanno insinuato il sospetto che anche i cambiamenti nelle pratiche culturali possano promuovere in modo significativo l'evoluzione, attraverso i cambiamenti comportamentali e ambientali - fra i quali si possono far rientrare a pieno titolo quelli relativi alla presenza o all'eliminazione di eventuali barriere linguistiche - che determinano.

Gli studi specifici su questo tipo di interazione gene-cultura sono però ancora molto scarsi. Una nuova ricerca, condotta da antropologi e genetisti dell'Università federale di Rio Grande do Sul iniseme con altre università brasiliane ed europee e pubblicata sui "Proceedings of the National Academy of Sciences", permette ora di iniziare a chiarire alcuni aspetti di questo complicato rapporto.

Alla luce dell'enorme complessità di questi studi, i ricercatori hanno ritenuto che, per riuscire a sviluppare un modello dell'effetto della cultura sull'evoluzione biologica, il punto di partenza migliore fosse l'analisi dell'influenza delle pratiche culturali sui parametri demografici e genetici di piccoli gruppi, che sono di particolare interesse anche perché gli esseri umani hanno vissuto in piccoli aggregati per la maggior parte della loro storia evolutiva.

I ricercatori si sono così concentrati sul confronto di dati genetici, fenotipici, geografici e climatici di sei popolazioni indigene (Xavànte, Kayapó, Yanomami, Kaingang, Ticuna, e Baniwa) del Mato Grosso, l'altopiano centrale dell'Amazzonia brasiliana, correlandoli ai tipi di struttura sociale, alle pratiche culturali e alle strategie

di sussistenza.

Si è così rilevato che una di queste popolazioni, gli Xavànte, dal momento della separazione dal gruppo maggiormente affine, quello dei Kayapó, avvenuta circa 1500 anni fa, ha sperimentato una significativa evoluzione morfologica (in particolare craniometrica) significativa, avvenuta a un ritmo di gran lunga maggiore a quello che ci si sarebbe potuti aspettare.

Questa rapida differenziazione, osservano gli autori, non appare dovuta all'introduzione di nuovi genotipi provenienti da altre popolazioni, né indigene né tanto meno di origine europea. I cambiamenti sarebbero invece legati alle forti differenze culturali e di organizzazione sociale (valutate sula base di un ampio spettro di categorie, come alta/bassa endogamia, discendenza patrilineare, residenza patrilocale, poliginia, ecc.) che si sono sviluppate da quel momento in poi nelle due popolazioni, ripercuotendosi sui meccanismi di selezione sessuale.

"I nostri risultati - scrivono gli autori - suffragano precedenti affermazioni sulla verosimiglianza della coevoluzione di geni e cultura, rivelando spesso modelli e tassi di variazione che fuoriescono da quelli caratteristici della teoria di genetica delle popolazioni convenzionale. Le dinamiche geni-cultura sono in genere più veloci, più forti e operano su una gamma più ampia di condizioni rispetto alle dinamiche evolutive convenzionali, suggerendo che la coevoluzione geni-cultura possa costituire la modalità dominante dell'evoluzione umana."

Da "Le Scienze" http://www.lescienze.it/news/2011/12/20/news/evoluzione_cultura_geni_fenotipo_struttura_sociale_xavante_yanomami_selezione_sessuale-749025/

 
 
 

2012: il (non) rischio di un'esplosione di supernova vicina

Post n°17 pubblicato il 19 Dicembre 2011 da saiens
 

Anche se la maggior parte delle persone in questa fine anno è preoccupata più da possibili catastrofi economiche che da quelle cosmiche, con l'avvicinarsi del 2012 - anno fatale secondo la leggenda del "calendario maya" - è previsto un ritorno di fiamma delle stucchevoli fantasie millenaristiche che vorrebbero che con la fine del 2011 si avvicini anche la fine del mondo. E una tra le idee più gettonate dai catastrofisti sia che l'apocalisse possa venire da un evento cosmico distruttivo, come l'esplosione di una supernova proprio dietro casa nostra.

Nella speranza di stroncare sul nascere la diffusione di queste dicerie, gli scienziati del Goddard Space Flight Center della NASA hanno diffuso le stime sul rischio reale di simili eventi.

Data la quantità incredibile di energia rilasciata in un esplosione di una supernova - corrispondente a quella che il Sole emette nel corso della sua intera vita - un evento simile che avvenga in prossimità del nostro sistema solare comporterebbe effettivamente dei rischi. In particolare, la radiazione X e gamma radiazione proveniente dalla supernova potrebbe danneggiare lo strato di ozono che ci protegge dai raggi ultravioletti nocivi raggi del Sole. Ma perché l'esplosione provochi danni significativi allo strato di ozono della Terra, l'esplosione di supernova dovrebbe avvenire a meno di 50 anni luce di distanza.

Considerato che tutte le stelle "vicine" potenzialmente in grado di dar origine a una supernova sono però molto più lontane - la supernova più vicina a noi che sia esplosa in tempi moderni è la Supernova 1987, che si è manifestata nella Grande Nube di Magellano, una galassia satellite della Via Lattea, distante poco meno di 160.000 anni luce - e che nella nostra galassia si presentano da una a due supernove al secolo, gli astronomi escludono qualsiasi rischio reale di un simile catastrofe.

 
 
 
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