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Cagliari - Retrospettiva antologica all'"Antico Caffè dal 1855" 15 maggio - 31 dicembre 2005


 Cagliari Antico Caffè dal 185516 maggio - 31 dicembre 2005 
La Rassegna è stata inaugurata dal compianto Andrea Parodi.Madrine sono state Emanuela Bernardini (97enne nonna paterna),Simonetta Picciau, Renata Manca--- ---Immagini
 
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La retrospettivaAcquerelli, smalti, pastelli, chine sanguigne, cromature essenziali. All’Antico Caffè di Cagliari spazio ai lavori di Marco Josto Agus.COME UN VAN GOGH DI SARDEGNAdi Roberto MuraDi lui è il rimasto il profumo nell’aria, un profumo che nemmeno un immenso campo di fiori può coprire. Marco Iosto Agus, giovane artista di origine sarda scomparso un anno fa, si compiacerà nel vedere con quanta amorevolezza e devozione sono curate le sue opere. Oli, acquerelli, smalti, pastelli, chine, sanguigne. Sono circa millecinquecento i lavori che Marco Josto ha prodotto nel suo percorso, parte dei quali, per tutta la settimana, saranno in mostra all’Antico Caffè di Cagliari. “Catalogheremo ogni traccia del suo passaggio, ogni schizzo, ogni parola. Niente deve andare perduto”, spiegano il padre e la figlia Alessandra. Completati gli studi in pittura all’Accademia delle Belle Arti di Roma, Marco Josto Agus ha frequentato per due anni il pittore cagliaritano Luigi de Giovanni, perfezionandosi nell’olio e nell’acquerello. In parallelo al percorso accademico, che l’ha condotto a specializzarsi in incisione, acquaforte, acquatinta e puntasecca, ha coltivato gli studi sulla figura umana, in particolare nella Scuola libera del nudo. Gli eredi del pittore metteranno presto in piedi una fondazione a lui dedicata e istituiranno un premio per studenti del primo anno del corso di incisione dell’Accademia di Belle Arti di Sassari e di Roma. “A prescindere dai profili accademici è la persona che risalta. Era la bellezza interiore attraverso il gesto, la generosità, l’altruismo. Il dio della sua religione era la persona, la dignità umana”, dice il padre mentre si sposta tra le tele firmate dal figlio. Le opere dell’artista erano spesso omaggi ai suoi maestri preferiti, Van Gogh per la pittura, Morandi per l’incisione. “Quando doveva dipingere si astraeva, suonava per ore il pianoforte incantando i vicini. La gente si sedeva fuori dal pianerottolo ad ascoltarlo”, ricorda Beniamino.Marco Josto credeva nell’arte. Negli oli amava il colore puro, acceso, in perenne scioglimento, portava nelle sue opere un contributo quasi materico. Allo stesso tempo viaggiava con la china nella tensione espressionista. Poi la forza degli acquerelli, di una torre che domina il mare da un promontorio. Suoi i nudi schematici dalle cromature essenziali; concepiti con tratto riflessivo e quasi grave, i volti dei letterati e dei filosofi, suoi sacri compagni. Grande era la sua passione per Dostoevskij - come lui credeva che la bellezza avrebbe salvato il mondo - e per le poesie di Saba.“Per lui era bello il non convenzionale, il non dogmatico, il non cattedratico”, racconta il padre.Tra gli amici di Marco Josto, Rossana Ruggiero, che gli ha dedicato la sua recente tesi di laurea, lo racconta così: “Aveva un sorriso nascosto. Ascoltava, osservava e assimilava tutto, ma senza giudicare. In ogni momento le sue mani erano sporche di colore, perché non faceva che dipingere. Estroverso, brillante, era luminoso come il sole”.Il giovane artista aveva anche un altro amico, forse il più intimo e profondo di tutti, si chiamava Vincent Van Gogh.Nel suo diario Marco Josto si rivolge a lui continuamente, indirizzandogli poesie, critiche erudite sull’arte, confessioni, evocazioni, impressioni sulla vita: “Oggi si tende più a valorizzare il pittore moderno, piuttosto che il paesaggista e il ritrattista. Perché? Le cose hanno perso i loro contorni, forse non esistono più uomini che lavorano, faticano e che val la pena ritrarre”, scrive l’artista in una di queste pagine. Tra le righe c’è la sua vita, di cui raccoglie ogni frammento: “E’ finita! Il sogno è durato ben poco, si è sgretolato di fronte alla prima difficoltà. Pittore? Disegnatore? Io? No, non più”.Ma la profondità di Marco Josto riesce a spezzare le catene, giungendo alle porte del mondo delle idee: “L’abisso azzurro sovrasta l’arancio cielo, tutto è invertito e sconnesso, il reale sembra lontano e cede il posto all’ideale, pian piano”.C’è una poetica avvolgente in tutta la sua opera, che batte i rintocchi dell’arte come la campana di una cattedrale, come un vento che consiglia e sprona all’impegno assoluto della conoscenza. “Crescono i giorni e passano lenti, inseguendo traguardi inesistenti, vivono soli con voglie nascoste, che difficilmente vengono esposte. Io cerco, trovo, perdo e sotterro tutto ciò che vedo, tutto ciò che prendo”, recita una delle sue poesie.“Marco Josto ha seminato amore ed è cresciuto amore”, confida il padre.E i frutti che sono nati, oggi pendono da alberi rigogliosi.Il Giornale di Sardegna Cagliari 19 maggio 2005  
Il Tempo 
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