Laura Picchi

Seconda Pillola di Memoria: omicidio Mino Pecorelli- Sintesi sentenza primo grado dispositivo appello e cassazione


Primo Gradohttp://www.scribd.com/doc/100959872/Pecorelli-I-Grado-24-9-1999Appellohttp://www.scribd.com/doc/100960733/Pecorelli-II-Grado-17-11-2002Cassazionehttp://www.scribd.com/doc/100961065/Pecorelli-III-Grado-24-11-2003sentenza primo grado:pg 54 "Orbene non vi è dubbio che Pecorelli aveva rapporti congli ambienti più disparati come quello dei servizisegreti, quello della politica, della magistratura, delleforze armate, dei carabinieri e della polizia.Sul punto è sufficiente indicare, a modo di esempio, igenerali Miceli, Falde e Maletti del servizio segreto(SID), i politici Evangelisti, Bisaglia, Piccoli,Colombo, Danesi, Carenini, De Cataldo, il comandante deicarabinieri generale Mino, Federico Umberto D’Amato“dell’ufficio D affari riservati del ministero degliinterni”, i magistrati D’Anna, Alibrandi, Infelisi (vedisu questo ultimo nome Nosella e Patrizi -malgrado lasmentita dell’interessato-), Testi, gli industriali e/oaffaristi Walter Bonino e Flavio Carboni, e inoltreTommaso Addario dell’Italcasse, Ezio Radaelli impresariodegli spettacoli, l’avv. Gregori, gli alti ufficiali deicarabinieri Antonio Varisco e Carlo Alberto Dalla Chiesa"pg 55 "Basta controllare, alriguardo, gli articoli di OP sul contenuto del dossierMi.fo.biali, quelli sull’Italcasse, sui fratelliCaltagirone e su Nino Rovelli della Sir estratti dallarelazione della Banca d’Italia sulla ispezione a dettoistituto bancario, la pubblicazione delle lettere, conautentica in copia conforme, spedite dall’onorevole AldoMoro durante il suo sequestro nonché di altri documenticon apposta la sigla “Riservato” o “segreto”.pgg. 73-74 "Nei suoi articoli Carmine Pecorelli aveva sempre sostenuto che il coinvolgimento del generale Vito Micelinel c.d. Golpe Borghese era stato frutto di un piano diGiulio Andreotti per continuare ad esercitare il potere eche per attuare tale piano aveva scientemente omesso dimandare alla autorità giudiziaria tutte le informativedel generale Vito Miceli sul golpe (tra i documentipubblicati vi sono due lettere di Giulio Andreotti enella seconda questi dava atto dell'omesso invio di altromateriale facente parte della originaria informativa) esi era servito di Claudio Vitalone per colpire VitoMiceli.Carmine Pecorelli aveva affermato in particolare chel'inchiesta sul golpe Borghese era in realtà un golpebianco di un gruppo di politici che strumentalizzando unaparte della magistratura politicizzata voleva continuarea mantenere il potere e indicava nello stretto rapportotra Giulio Andreotti e Claudio Vitalone lo strumentoattraverso il quale cui primo otteneva il suo scopo33 eaveva inquadrato tutta la vicenda del coinvolgimento diVito Miceli nel golpe Borghese nella più ampia vicendaGiannettini/SID/Miceli/Maletti relativo al ruoloricoperto dal primo nella c.d. strage di Piazza Fontanaattribuendo a Giulio Andreotti e non a Rumor la decisionedi opporre il segreto di stato sull’appartenenza di GuidoGiannettini al Sid; egli, poi, aveva richiamatol’attenzione su uno strano furto subito da Aldo Moro nel1975 relativo a documenti che si dicevano inerenti alc.d. golpe Borghese; documenti che avrebbero dimostratocome il golpe borghese fosse stata una farsa montata daGiulio Andreotti"pgg.74-75 "Quanto detto a proposito del c.d. Golpe Borghese viene daPecorelli messo in relazione alla organizzazione dei servizi segreti che in quel periodo il governo presiedutoda Giulio Andreotti aveva approvato sino a mettere inluce come lo smantellamento dei vecchi servizi segreti(SID) era a tutto vantaggio dello stesso GiulioAndreotti, capo del governo e in secondo luogo diFrancesco Cossiga, ministro dell’interno all’epoca, iquali avevano messo a capo dei servizi personaggipolitici abituati al compromesso mentre i servizi segretidovevano essere un fatto tecnico. In particolare facevariferimento ad una vecchia storia del Sifar e al golpe diDe Lorenzo che era scoppiato, secondo Carmine Pecorelli,perché Aldo Moro aveva allontanato nel 1966 GiulioAndreotti dal ministero della difesa per assegnargliquello dell'industria e riteneva che lo scandalo Sifarera stato il primo scandalo studiato a tavolino dall'altosotto la regia degli Stati Uniti d’America, che puntavanosul partito socialista, e di Giulio Andreotti che volevavendicarsi di De Lorenzo (capo del Sifar) che si erarivelato uomo di Moro.Carmine Pecorelli tornava una l'ultima volta sul ruolodei servizi segreti e commentando la condanna al processoper la strage di Piazza Fontana di Gianadelio Maletti eAntonio La Bruna per falsa testimonianza non comprendeval’assoluzione di Viezzer al contrario di Antonio La Brunae Gianadelio Maletti e il motivo per cui i due condannatiavrebbero dovuto coprire Giannettini che era una fonteimportante nel processo per il golpe borghese (inrelazione al caso Giannettini/SID/Maletti/ Miceli/Andreotti).Come si vede il “c.d. Golpe Borghese”, oggettivamente,porta a Giulio Andreotti e a Claudio Vitalone.Al primo perché è indicato come l’artefice delledisavventure del generale Vito Miceli avendo trasmessoalla magistratura il dossier sul c.d. Golpe Borghese e alsecondo perché di quel processo ne era stato il PM."pgg-78 e ss: Italcasse"In essa sono poi interessati sia Claudio Vitalone cheGiulio Andreotti e gli elementi che indicano un ruolo dicostoro nella vicenda Italcasse, complessivamentevalutata, sono i seguenti:1. La vicenda degli assegni emessi dalla Sir nel 1976.2. Il tentativo di soluzione della posizione debitoriadel gruppo Caltagirone che in quel momento era criticae si prospettava il fallimento delle loro società.3. La nomina di Giampaolo Finardi a successore diGiuseppe Arcaini nella carica di direttore generaledell’Italcasse.4. La cena al circolo privato La Famiglia Piemontese incui si era parlato della copertina di OP relativa atali assegni."pg.110 e ss: La vicenda Mi.fo.biali"Preliminarmente occorre precisare che con il termineMi.Fo.Biali si intende un dossier formato dal SID neglianni 1974/75 su Mario Foligni fondatore del Nuovo PartitoPopolare con cui questi voleva contrastare la DemocraziaCristiana, che, secondo quello che egli riteneva, eradegenerata perdendo i suoi originari valori.L’indagine su Mario Foligni era stata ampliata allaGuardia di Finanza durante la quale erano state fatteanche intercettazioni telefoniche ed ambientali illegali,perché non autorizzate dalla magistratura, anche se eranostate utilizzate strutture esistenti presso organipubblici. L’autorizzazione a indagare su Mario Foligni esul Nuovo Partito Popolare era stata data dal ministrodella difesa che, all’epoca, era Giulio Andreotti.Tale circostanza è affermata da Gianadelio Maletti edappare credibile, malgrado la smentita di GiulioAndreotti e l’astio che può avere spinto Maletti a faredichiarazioni contrarie all’imputato, perché GianadelioMaletti riferisce di avere appreso la circostanza dalcapo del servizio segreto ammiraglio Casardi e haannotato l’ordine di continuare a indagare su MarioFoligni e sul Nuovo partito Italiano e di riferiredirettamente o all’ammiraglio Casardi o a GiulioAndreotti; la circostanza peraltro è stata pubblicamenteammessa dal governo della repubblica italiana cherispondendo al senato e alla camera dei deputati, ha datonotizia della conoscenza del dossier da parte delministro e della sua autorizzazione all’indagineIl dossier era pervenuto nella mani di Carmine Pecorelli"pg 117 e ss. la vicenda di Michele Sindonapg.147 e ss. la vicenda di Aldo MoroConclusioni:"Quelli finora esposti sono gli elementi di fatto e leconclusioni a cui è giunta la corte nell’esaminare lerisultanze processuali che ha ritenuto rilevanti per ladecisione.Alla luce delle considerazioni fatte, poiché è venutomeno per mancanza di prove il collegamento, all’epoca deifatti, tra Giuseppe Calò e Danilo Abbruciati, e diconseguenza è venuta meno la prova del ruolo dicollegamento a lui attribuito, secondo la tesiaccusatoria, tra Cosa Nostra e la banda della Magliana oquantomeno il gruppo dei “Testaccini”, e non vi è altroelemento probatorio che lo indichi come partecipe inqualunque modo all’omicidio Giuseppe Calò va assolto daldelitto a lui ascritto per non avere commesso il fatto.Sempre per mancanza di idonea prova, non essendo emersoalcun coinvolgimento di Cosa Nostra nell’organizzazionedell’omicidio, né alcun elemento probatorio, al di làdella sussistenza di un valido movente, che colleghiGiulio Andreotti alla banda della Magliana e all’omicidiodi Carmine Pecorelli, Giulio Andreotti va assolto per nonaver commesso il fatto.Pur sussistendo un valido motivo e la prova di rapportitra Claudio Vitalone e la banda della Magliana in personadi Enrico de Pedis, i predetti elementi probatori nonsono univoci e non permettono di ritenere riscontrata lachiamata in correità fatta nei suoi confronti.Claudio Vitalone va, pertanto, assolto dal delitto a luiascritto per non avere commesso il fatto.Pur sussistendo elementi probatori che riconduconol’omicidio di Carmine Pecorelli nell’ambito della bandadella Magliana, quantomeno del gruppo del Testaccio, eche sono indicativi di rapporti all’epoca dei fatti traMassimo Carminati e tale gruppo criminale, essi non sonoindicativi della sussistenza di un suo collegamento, aquel tempo, con Danilo Abbruciati e la mancanza di idoneie concreti elementi probatori che comprovino l’esistenzadi intermediari tra i due, impedisce di ritenereriscontrata la chiamata in correità nei suoi confronti.Massimo Carminati va, di conseguenza, assolto dal reato alui ascritto per non aver commesso il fatto.Le confidenze fatte da Gaetano Badalamenti e StefanoBontade a Tommaso Buscetta di un loro ruolo di mandantinell’omicidio di Carmine Pecorelli sono da considerarsiinattendibile in assenza di elementi che comprovino uncollegamento con la banda della Magliana, coinvoltanell’omicidio.Gaetano Badalamenti va, di conseguenza, assolto dal reatoa lui ascritto per non aver commesso il fatto.La mancanza di elementi probatori che indichino unapresenza di Michelangelo La Barbera a Roma all’epoca deifatti, la mancanza di elementi che lo colleghino allabanda della Magliana all’epoca dell’omicidio, l’assenzadi altri elementi probatori a suo carico, comporta che lachiamata in correità fatta nei suoi confronti è priva diriscontri.Michelangelo La Barbera va, di conseguenza, assolto dalreato a lui ascritto per non aver commesso il fatto.Restano alla corte alcune perplessità derivanti dallastrana coincidenza che i due tronconi probatoripresentano: l’identità del movente, indicato sia per la partefacente capo a Cosa Nostra che in quella facente capoalla banda della Magliana al pericolo che lapubblicazione di notizie poteva comportare per lostesso gruppo di persone. L’identità del gruppo di potere che avrebbecommissionato l’omicidio di Carmine Pecorelli. La fitta rete di rapporti, politici, sociali edeconomici, palesi od occulti (loggia P2, massoneriasegreta) che legano i vari personaggi coinvolti nellavicenda.Perplessità che non consentono di colmare, neppure concriteri logici, le lacune probatorie sopra indicate.P.Q.M.Visto l’art. 530 cppASSOLVEBADALAMENTI GAETANO, CALO’ GIUSEPPE, ANDREOTTI GIULIO,VITALONE CLAUDIO, LA BARBERA MICHELANGELO e CARMINATIMASSIMO dal reato loro ascritto in rubrica per non avercommesso il fatto.ORDINALa trasmissione degli atti relativi alla deposizione diMoretti Fabiola in dibattimento e quelli resi nella fasedelle indagini preliminari in ordine al reato di cuiall’art. 372 cp.ASSEGNAGiorni 90 per la redazione della sentenza.Perugia 24.9.1999Il Giudice Est. Il PresidenteSentenza appellodispositivoP.Q.M.visti gli articoli 591, 592 codice di procedura penale,D I C H I A R Ainammissibile l’impugnazione proposta dall’imputato Claudio Vitalone elo condanna al pagamento delle spese cui ha dato causa.Visti gli articoli 539,542,592,605 codice di procedura penale, 28 codicepenale,in parziale riforma della sentenza in data 24.9.1999 dalla corte di assisedi Perugia nei confronti di Calò Giuseppe, Andreotti Giulio, VitaloneClaudio, Carminati Massimo, Badalamenti Gaetano e La BarberaMichelangelo, appellata dal Procuratore della Repubblica presso il tribunaledi Perugia, dalle parti civili Pecorelli Andrea, Pecorelli Rosina e, in viaincidentale, da Pecorelli Stefano,D I C H I A R ABadalamenti Gaetano e Andreotti Giulio colpevoli deldelitto di cui agli articoli 110, 575, 573, n. 3 codice penale e,concesse le circostanze attenuanti generiche, ritenuteequivalenti alla circostanza aggravante della premeditazione,esclusa la circostanza aggravante di cui all’art. 112, n.1.c.p,CONDANNAciascuno dei predetti imputati alla pena di anni ventiquattrodi reclusione, con interdizione perpetua dai pubblici uffici,nonché al pagamento in solido delle spese processuali dientrambi i gradi di giudizio e di quelle sostenute dalle particivili che liquida, quanto a Pecorelli Stefano, in euro 24.200,di cui euro 2.200 per spese determinate forfettariamente, oltreiva e cap come per legge, nonché al risarcimento dei danni daliquidarsi in separato giudizio civile, assegnando al predetto, atitolo di provvisionale, immediatamente esecutiva inter partes,euro 100.000, quanto a Pecorelli Rosina, per entrambi i gradidi giudizio, in euro 42.900, di cui euro 3.900 per spesedeterminate forfettariamente, oltre iva e cap come per legge,nonché al risarcimento dei danni, da liquidarsi in separatogiudizio civile, assegnando a titolo di provvisionale,immediatamente esecutiva inter partes, euro 50.000, e quantoa Pecorelli Andrea in euro 24.200, di cui euro 2.200 per spesedeterminate forfettariamente, oltre iva e cap come per legge,nonché al risarcimento dei danni da liquidarsi in separatogiudizio civile, assegnando a titolo di provvisionale,immediatamente esecutiva inter partes, euro 100.000.CONFERMAnel resto l’appellata sentenza nei confronti di Calò Giuseppe, VitaloneClaudio, Carminati Massimo e La Barbera Michelangelo.Visto l’articolo 544, comma 3°, codice di procedura penale,considerata la particolare complessità del caso e, conseguentemente,della motivazioneA S S E G N Ail termine di giorni novanta per il deposito della motivazione dellasentenza.Perugia, 17 novembre 2002IL PRESIDENTE ESTENSOREGABRIELE LINOVERRINAIL CONSIGLIERE ESTENSOREMAURIZIO MUSCATOSentenza Cassazionepgg-18-22 "Orbene, passandoall’esame dell’episodio omicidiario de quo, osserva il Collegio che, pur essendo precluso in questa sede il sindacato sull’interpretazione dei dati probatori concernenti il controverso intreccio tra i rapporti del generale Dalla Chiesa conil giornalista Pecorelli e i presunti segreti del “caso Moro”, con riferimento agli articoli sull’argomento apparsi sulla rivista OP, all’incontro notturno di Pantalera fra Dalla Chiesa, Pecorelli e Incandela, al successivo rinvenimento daparte di quest’ultimo di taluni documenti nel carcere di Cuneo ed alla consegna di essi a Dalla Chiesa, resta tuttavia aperto l’interrogativo circa il legame inferenziale che si è inteso attribuire all’intera vicenda rispetto alla prova delmandato omicidiario da parte di Andreotti. Erano infatti da provare, mentre sono rimasti non dimostrati all’esito dell’istruzione dibattimentale, i dati, assolutamente rilevanti secondo la prospettazione accusatoria, che riguardavanole seguenti circostanze di fatto:a) quale fosse il reale contenuto della busta chiusa contenente i documentiasseritamente rinvenuti da Incandela nel carcere di Cuneo su indicazione di Pecorelli e consegnati a Dalla Chiesa;b) se i documenti si riferissero effettivamente alle “carte di Moro”;c) se Pecorelli, tramite Dalla Chiesa, ne fosse poi venuto in possesso per l’eventuale pubblicazione sulla rivista OP;d) se Pecorelli avesse manifestato a terzi l’intenzione di fame oggetto di pubblicazione sulla rivista;e) se Andreotti ne fosse aliunde venuto a conoscenza;f) se Andreotti avesse, di conseguenza, esternato ad altri timore o preoccupazione per le conseguenze che la pubblicazione di essi avrebbe potuto avere sulla sua carriera politica. Ebbene, pur essendo rimasti senza alcuna risposta tali quesiti, cruciali per l’identificazione di un “movente” certo, significativo e coerente con l’indiretta chiamata in reità di Buscetta, la Corte di assise d’appello ha apoditticamente qualificato come “indizio”, secondo la tradizionale ed ormai ripudiata teoria del “cui prodest”, la generica ed equivoca individuazione di un’area di“interesse” all’eliminazione del giornalista, facente capo ad Andreotti. Situazione, questa, che, ai fini dell’affermazione di responsabilità dell’imputato quale mandante dell’omicidio, potrebbe al più definirsi una mera ragione di sospetto, una supposizione o un argomento congetturale, tenuto conto altresì dell’incerta prova circal’esclusività o la molteplicità dei moventi e dell’impossibilità di risalire al mandante attraverso l’identificazione delle persone degli esecutori materiali e dei legami di costoro con il mandante o con gli intermediari dello stesso.Conclusioni e DispositivoLe statuizioni conclusive Il momento genetico di quello che il Pg, nella sua requisitoria, ha definito “un caso di infedeltà del testo al processo” va individuato nelle premesse logico-giuridiche della motivazione della sentenza impugnata, laddove la Corte di assise di appello, disancorandosi consapevolmente dalle ipotesi antagoniste prospettate dall’accusa e dalla difesa ed esimendosi dall’obbligo istituzionale di sciogliere i nodi del confronto dialettico sviluppatosi, sia sulle ipotesi che sulle prove, nel corso del giudizio di merito, ha deciso di sottoporre a verifica giudiziale un proprio “teorema” accusatorio, da essa formulato in via autonoma e alternativa, in violazione sia delle corrette regole divalutazione della prova che del basilare principio di terzietà della giurisdizione, anche rispetto ai problemi implicati nel caso giudiziario. L’originaria ipotesi accusatoria, benché fosse notevolmente complicata e controvertibile per l’intersecarsi e il sovrapporsi di più piani tra la fase dell’ideazione e quella dell’esecuzione dell’omicidio, si da essere efficacemente messa in crisi dalle difese degli imputati nel contraddittorio dibattimentale, poteva, tuttavia, ritenersi legittimamente prospettata dal Pm alla luce dei dati investigativi raccolti nelle indagini preliminari, letti nell’ottica dell’astratta postulazione di un possibile interesse o movente di Andreotti all’uccisione del giornalista.Assumevano rilievo a tal fine, innanzi tutto, gli elementi di natura dichiarativa e documentale relativi alla figura e al ruolo di Chichiarello e la scoperta del deposito di armi e munizioni nei sotterranei del Ministero della Sanità,conducenti alla causale della banda della Magliana e della destra eversiva romana; poi, la chiamata in reità di Buscetta, conducente invece alla causale mafiosa, legata all’asserito intreccio dei rapporti Dalla Chiesa - Pecorelli con il caso Moro e con l’interesse di Andreotti ad eliminare lo scomodo giornalista; infine, le propalazioni deicollaboratori Carnovale, Moretti, Mancini e Abbatino, che segnalavano l’esistenza di collegamenti fra taluni membri della banda della Magliana, esponenti della destra eversiva e personaggi mafiosi nell’esecuzione del delitto. E però,a fronte delle motivate statuizioni della sentenza di primo grado che, nel rispetto dei limiti del principio del libero convincimento, aveva fatto corretta applicazione della garanzia estrema dell’“oltre ogni ragionevole dubbio”, igiudici di appello non hanno tratto la lineare conclusione che l’ipotesi dell’apporto sinergico dei due sodalizi nella realizzazione del crimine, seppure legittimamente formulata dal Pm, non aveva retto all’urto del contraddittoriodibattimentale e che analoga sorte era stata riservata alla teoria della divisione delle causali omicidiarie. Gli stessi giudici, per contro, svincolandosi sia dall’originaria imputazione contestata sull’assunto di un intreccio operativo trale due organizzazioni criminali, sia dalla struttura motivazionale della sentenza di primo grado, che aveva postulato in subordine la tesi della divisione delle causali ma ne aveva escluso la concreta efficacia dimostrativa, hanno prima(ri)formulato autonomamente l’ipotesi accusatoria nel senso che «... le risultanze processuali consentono di affermare che parteciparono alla perpetrazione del delitto sicuramente tre persone, Andreotti, Badalamenti e Bontade ed almeno una quarta persona quale esecutrice, mentre non consentono di ritenere che altre persone abbiano partecipato al delitto». E poi, tradendo il modello argomentativo del giudizio di fatto, secondo lo schema epistemologico racchiuso nelle proposizioni normative degli articoli 192.1 e 546.1 lettera e) Cpp sulla valutazione della prova (Sezioni unite, 10 luglio 2002, Franzese), hanno verificato la tenuta della – nuova ipotesi all’interno di un ragionamento probatorio condotto mediante cadenze procedurali giuridicamente errate, le cui conclusioni, quanto alla conferma dell’ipotesi ricostruttiva sullo specifico fatto da provare, si sono rivelate prive di logiche inferenze esorrette da argomentazioni giustificative congetturali e apodittiche.L’annullamento della sentenza impugnata va pronunziato senza rinvio nei confronti di Andreotti e Badalamenti, perché le lacune e la manifesta illogicità del ragionamento probatorio, risultanti dal solo esame del testo, dimostrano di per sé la mancanza di prove del mandato omicidiario e, perciò, l’insormontabile difficoltà eimpossibilità di pervenire altrimenti a una conclusione diversa dall’assoluzione con l’ampia formula liberatoria “per non aver commesso il fatto”. Ed invero, considerate le esigenze di economia processuale sottese alla previsione di cui alla lettera l) dell’articolo 620 Cpp, l’annullamento della sentenza di condanna va disposto senza rinvio allorché un eventuale giudizio di rinvio, per la natura indiziaria del processo e per la puntuale e completa disamina del materiale acquisito e utilizzato nei pregressi giudizi di merito, non potrebbe in alcun modo colmare la situazione divuoto probatorio storicamente accertata. Principio giurisprudenziale, questo, già affermato dalle Sezioni unite in altre occasioni (Sezioni unite, 22327/02, Carnevale), che merita di essere condiviso ed applicato soprattutto quandola sentenza di condanna, come nel caso in esame, sia fondata su dichiarazioni accusatorie di un collaboratore rimaste prive di elementi esterni idonei a corroborarle, essendo esse l’unica fonte di prova e non delineandosi, neppure sullabase di una rinnovata valutazione dei fatti da parte del giudice di rinvio, la possibilità di rinvenire ed utilizzare ulteriori emergenze processuali.P.Q.M.La Corte Suprema di Cassazione, a Sezioni unite,annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di Giulio Andreotti e Gaetano Badalamenti per non avere commesso il fatto.Rigetta il ricorso del Pg della Repubblica presso la Corte d’appello di Perugia.Così deliberato in Roma il 30 ottobre 2003.Il consigliere estensore Il Presidente(Giovanni Canzio) (Nicola Marvulli)Depositata in Cancelleriain data 24 novembre 2003Il Cancelliere