Laura Picchi

Processo a Marcello Dell'utri: sentenza di appello e Cassazione


Processo a Marcello Dell'utri: sentenza di primo gradoLa sentenza di appello integrale si trova al Link:http://antimafia.altervista.org/sentenze2/dellutri/dellutri_motivazione_secondo_grado.pdfpg 191 e ss. "Ed invece, per ammissione dello stesso imputato, l’assunzione diVittorio Mangano nella tenuta di Arcore avvenne proprio per l’interessamento del Dell’Utri dovendo pertanto ritenersi che la relativarichiesta, a lui rivolta dal Berlusconi, fosse originata da ben altre esigenzeche non quelle della semplice ricerca di un fattore o di un responsabile dellavilla e dei terreni circostanti.L’obiettivo reale era invece quello di assumere un soggetto dotato diadeguato e notorio spessore criminale la cui presenza sui luoghi avrebbedovuto porre al riparo da minacce ed attentati l’imprenditore milanese ilquale era entrato evidentemente nel mirino di organizzazioni malavitoseoperanti in quel periodo ed in quella zona, attratte dal suo crescente successoed arricchimento personale.Tale conclusione del Tribunale, che la Corte ritiene di condividere"Conclusioni:Così esaurita la disamina delle risultanze processuali la Corte rileva chele conclusioni cui è pervenuta la sentenza appellata sono dunque soloparzialmente condivisibili per le ragioni analiticamente sin qui esposte.Quanto all’imputato Gaetano Cinà, deceduto il 23 febbraio 2006 dopola pronuncia della sentenza di primo grado, rileva la Corte che alla streguadelle argomentazioni svolte e delle risultanze probatorie acquisite, nonemerga dagli atti la prova della sua estraneità agli addebiti, ovverodell’infondatezza degli stessi, nei termini richiesti dall’art.129 c.p.p..Ne consegue pertanto che deve dichiararsi l’improcedibilità dell’azionepenale nei confronti di Gaetano Cinà in ordine ai reati ascrittigli perchéestinti per morte del reo.Va confermata invece, ancorchè solo parzialmente, la condanna diMarcello Dell’Utri in ordine all’unico reato di concorso esterno inassociazione di tipo mafioso nei limiti temporali e giuridici appresso esposti(assorbita l’imputazione ascritta al capo A) della rubrica in quella di cui alcapo B) e limitatamente alle condotte commesse sino al 1992).Risulta in conclusione provato, come in precedenza già osservato, cheegli ha svolto, ricorrendo all’amico Gaetano Cinà ed alle sue “autorevoliconoscenze e parentele, un’attività di “mediazione” quale canale dicollegamento tra l’associazione mafiosa cosa nostra, in persona del suo piùinfluente esponente dell’epoca Stefano Bontate, e Silvio Berlusconi, cosìapportando un consapevole rilevante contributo al rafforzamento delsodalizio criminoso al quale ha procurato una cospicua fonte di guadagnoillecito rappresentata da una delle più affermate realtà imprenditoriali di quelperiodo, divenuta nel volgere di pochi anni un vero e proprio impero finanziario ed economico.Va riaffermato che l’imputato non ha svolto solo un ruolo dicollaborazione con l’imprenditore estorto al fine esclusivo di trovaresoluzione ai suoi problemi, ma ha invece coscientemente mantenuto neglianni amichevoli rapporti con coloro che erano gli aguzzini del suo amico edatore di lavoro, incontrando e frequentando sia Gaetano Cinà che VittorioMangano, pranzando con loro ed a loro ricorrendo ogni qualvolta sorgevanoproblemi derivanti da attività criminali rispetto ai quali i suoi amici edinterlocutori avevano una sperimentata ed efficace capacità di intervento.Non dunque un reato di “amicizia” per avere frequentato un soggettodalle parentele “ingombranti” ed un esponente mafioso in ascesa, bensi ilconsapevole sfruttamento di quell’amicizia e di quel rapporto che gli consentivano di porsi in diretto collegamento con i vertici della potentemafia siciliana.Marcello Dell’Utri ha così oggettivamente fornito un rilevantecontributo all’associazione mafiosa cosa nostra consentendo ad essa, conpiena coscienza e volontà, di perpetrare un’intensa attività estorsiva ai dannidel facoltoso imprenditore milanese imponendogli sistematicamente perquasi due decenni il pagamento di ingenti somme di denaro in cambio di“protezione” personale e familiare.Infatti, anche dopo la morte di Stefano Bontate nell’aprile del 1981 el’ascesa in seno all’associazione mafiosa di Salvatore Riina, l’imputato hamantenuto i suoi rapporti con cosa nostra specificamente adoperandosi, finoagli inizi degli anni ’90, affinchè il gruppo imprenditoriale facente capo aSilvio Berlusconi continuasse a pagare cospicue somme di danaro a titoloestorsivo al sodalizio mafioso in cambio di “protezione” a vario titoloassicurata.Ciò Dell’Utri ha potuto fare proprio perché ha mantenuto negli anni,mai rinnegandoli ed anzi alimentandoli, amichevoli e continuativi rapporticon i due esponenti mafiosi in contatto con i vertici di cosa nostra i qualihanno accresciuto nel tempo il loro peso criminale in seno al sodalizioproprio in ragione del fatto che l’imputato ha loro consentito di accreditarsicome tramiti per giungere a Silvio Berlusconi, destinato a diventare uno deipiù importanti esponenti del mondo economico-finanziario del paese, primadi determinarsi anche verso un impegno personale anche in politica.Marcello Dell’Utri, dunque, per circa due decenni, ogni volta chel’amico imprenditore Silvio Berlusconi subiva attentati ed illecite richiestead opera della criminalità organizzata, si è proposto come soggetto capace,in forza delle sue risalenti conoscenze, di risolvere il problema con l’unicosistema che conosceva, ovvero favorire le ragioni di cosa nostra inducendol’amico a soddisfarne le pressanti pretese estorsive.Egli è divenuto dunque costante ed insostituibile punto di riferimentosia per Silvio Berlusconi, che lo ha interpellato ogni volta che ha dovutoconfrontarsi con minacce, attentati e richieste di denaro sistematicamentesubite negli anni, sia soprattutto per l’associazione mafiosa cosa nostra che,sfruttando il rapporto preferenziale ed amichevole con lui intrattenuto daisuoi due membri, Gaetano Cinà e Vittorio Mangano, sapeva di disporre diun canale affidabile e proficuo per conseguire i propri illeciti scopi nonrischiando denunce ed interventi delle forze dell’ordine, quanto piuttosto conla garanzia di un esito positivo e dell’accoglimento delle proprie preteseestorsive.Tale condotta dell’imputato, che anche per la sua sistematicità vafondatamente ritenuto abbia consapevolmente contribuito al consolidamentoed al rafforzamento dell’associazione mafiosa, integra dunque il contestatoconcorso nel reato associativo che deve tuttavia ritenersi sussistente solofino ad epoca in cui, in forza delle risultanze acquisite, può ritenersi inconfutabilmente provato il pagamento da parte di Silvio Berlusconi dellesomme richiestegli in favore di cosa nostra.E’ stato evidenziato come la critica ed approfondita disamina delledichiarazioni dei collaboratori imponga di ritenere certamente provata lacorresponsione, da parte del Berlusconi per il tramite di Dell’Utri, di sommedi denaro a cosa nostra, fino al 1992, difettando invece elementi certi peraffermare che ciò sia avvenuto anche negli anni successivi ed in particolaredopo la strage di Capaci e nel periodo in cui, dalla fine del 1993,l’imprenditore Berlusconi decise di assumere il ruolo a tutti noto nellapolitica del paese.Mancano infatti per il periodo successivo al 1992 prove inequivoche ecerte di concrete e consapevoli condotte di contributo materiale ascrivibili aMarcello Dell’Utri aventi rilevanza causale in ordine al rafforzamentodell’organizzazione criminosa.Se infatti la giurisprudenza della Suprema Corte a Sezioni Uniteimpone che la prova da acquisìre ai fini della configurabilità del reato diconcorso esterno in associazione mafiosa debba riguardare ogni singolocontributo apportato dall’agente ed alla sua portata agevolativa rispetto agliscopi dell’associazione, risultando insufficiente ad integrare il reato unacondotta che configuri mera “disponibilità” o “vicinanza”, deve concludersiche per Marcello Dell’Utri il contributo penalmente rilevante apportato agliscopi dell’associazione è stato rappresentato, per le ragioni esposte, dalla comprovata condotta di mediazione, consapevolmente svolta per circa duedecenni consentendo a cosa nostra di estorcere denaro a Berlusconi, concertezza protrattasi solo sino al 1992.In difformità a quanto ritenuto dal primo Giudice, osserva infatti laCorte, all’esito dell’approfondita ed obiettiva analisi delle risultanzeacquisite, che non sussiste alcun concreto elemento ancorchè indiziariocomprovante l’esistenza di contatti o rapporti, diretti o indiretti, tra MarcelloDell’Utri ed i fratelli Filippo e Giuseppe Graviano, essendo risultatosostanzialmente inconsistente anche il contributo offerto nel presentegiudizio di appello da Gaspare Spatuzza, le cui dichiarazioni, al di là delrisalto mediatico oggettivamente assunto, si sono palesate prive di ognieffettiva valenza probatoria, sia per l’inutilizzabilità processuale delle merededuzioni ed inammissibili congetture che hanno caratterizzato l’esame delpredetto, sia soprattutto per la manifesta genericità dell’unico concretoriferimento alla persona dell’imputato.La Corte infine ribadisce che l’obiettivo e rigoroso esame dei datiprocessuali acquisiti, costituiti prevalentemente da plurime dichiarazioni dicollaboratori di giustizia, non ha evidenziato prove certe idonee a supportarela grave accusa contestata a Marcello Dell’Utri di avere stipulato nel 1994un accordo politico-mafioso con cosa nostra nei termini richiesti per laconfigurabilità della fattispecie di cui agli artt.110 e 416 bis c.p. nel caso paradigmatico del patto di scambio tra l’appoggio elettorale da parte dellaassociazione e l’appoggio promesso a questa da parte del candidato.Non risulta infatti provato né che l’imputato Marcello Dell’Utri abbiaassunto impegni nei riguardi del sodalizio mafioso, né che tali pretesiimpegni, il cui contenuto riferito da taluni collaboranti (generica promessa diinterventi legislativi e di modifiche normative) difetta di ogni specificità econcretezza, siano stati in alcun modo rispettati ovvero abbiano comunqueefficacemente ed effettivamente inciso sulla conservazione e sulrafforzamento del sodalizio mafioso.L’imputato va dunque assolto dall’imputazione ascritta, relativamentealle condotte contestate come commesse in epoca successiva al 1992, perchéil fatto non sussiste.Passando alle statuizioni concernenti la condanna dell’imputato, ritienela Corte che debba essere accolta la richiesta subordinata della difesa diassorbimento in un unico reato associativo di natura permanente dei duecontestati reati di cui agli artt.416 e 416 bis c.p., escludendosi pertanto lacontinuazione ed il conseguente aumento di pena.Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte, infatti, qualora lacondotta sia stata posta in essere fin da prima dell'entrata in vigore dellalegge 13 settembre 1982 n.646, che ha introdotto la fattispecie criminosa dicui all’art.416 bis c.p., si configura un unico reato associativo di naturapermanente, con esclusione della continuazione fra i reati previsti dagli artt.416 e 416 bis c.p. ed applicazione, anche per il periodo precedenteall'entrata in vigore della predetta legge 646/1982, della pena previstadall'art.416 bis c.p. (Cass. Sez. II sentenza n.2963 dell’8/2/1996).Il reato di associazione per delinquere di tipo mafioso, invero, purautonomo rispetto a quello dell'associazione per delinquere previstodall'art.416 c.p., ne costituisce un'ipotesi specifica, in quanto la finalitàperseguita con la pratica del metodo mafioso è pur sempre quella dicommettere delitti, analogamente a quanto avviene nel delitto diassociazione per delinquere.Ne consegue che, stante la natura permanente del reato associativo,tutta la condotta incriminata, se cessata in epoca successiva all'entrata invigore della norma speciale, è soggetta alla disciplina da questa dettata.L'applicabilità dell'art.416 bis c.p. si estende pertanto anche a condotteche, pur inquadrabili nelle previsioni di detta norma, siano state poste inessere prima della sua entrata in vigore e proseguite come nel caso in esameanche in epoca successiva, senza che ciò comporti la violazione dell'art.2c.p., non verificandosi in tal caso il fenomeno della retroattività, ma soloquello della naturale operatività della nuova specificante qualificazione diuna medesima condotta la quale altrimenti, per la parte pregressa,rimarrebbe autonomamente sanzionabile, con svantaggio per l'imputato, inbase alla più generica norma incriminatrice preesistente, costituitadall'art.416 c.p. (cfr. Cass. Sez. I sentenza n.80 del 30/1/1992). Resta pertanto assorbito nel delitto di cui all’art.416 bis, quale reatoprogressivo permanente, il reato meno grave di associazione per delinquereeventualmente in precedenza già sussistente.Giova inoltre rilevare come il momento consumativo dell’unico reatoprogressivo permanente, che in generale si verifica all'atto del recessovolontario del partecipe all'associazione, nel caso del concorso esterno inassociazione mafiosa, integrato dai singoli contributi apportati dall’agenteagli scopi del sodalizio, deve individuarsi, anche per quanto rileva ai fini deldecorso del termine di prescrizione, nella data dell’ultimo contributo fornitodall’agente e dunque, per l’imputato Marcello Dell’Utri, nell’anno 1992.Ritiene la Corte che all’imputato non possano riconoscersi le invocatecircostanze attenuanti generiche in ragione sia del precedente penale da cuirisulta gravato, sia soprattutto avuto riguardo all’estrema gravità dellacondotta criminosa addebitata concretatasi nell’avere apportato uncontributo sistematico protrattosi nel tempo per circa due decenniall’associazione mafiosa cosa nostra, tra le più pericolose e ramificateorganizzazioni criminali operanti nel nostro paese.Ritiene la Corte che la pena da infliggere all’imputato, considerandol’esclusione della continuazione e la pronuncia parzialmente assolutoria,debba pertanto determinarsi in anni sette di reclusione che, pur superiore aiminimi edittali previsti dal reato aggravato ai sensi dei commi 4 e 6dell’art.416 bis c.p., risulta conforme ai parametri di cui all’art.133 c.p. ed adeguata in particolare alla rilevante gravità dei fatti contestati costituitidall’instaurazione e dal mantenimento di stabili ed illeciti rapporti criminosi,dal 1974 al 1992, con l’associazione mafiosa cosa nostra e con alcuni deisuoi esponenti di maggiore rilievo.Non merita accoglimento invece la richiesta di aggravamento della penaformulata con l’atto di appello incidentale proposto dal Procuratore dellaRepubblica di Palermo e reiterata dal P.G. nel presente giudizio di appello.Il sostanziale e tutt’affatto irrilevante ridimensionamento, anche sotto ilprofilo del tempus commissi delicti, delle condotte criminose per le quali èstata confermata la penale responsabilità dell’imputato, assolto invece perinsussistenza del fatto da quella parte dell’imputazione, contestata e ritenutaprovata dalla sentenza appellata, che addebitava a Marcello Dell’Utri lastipula con l’associazione mafiosa di un patto politico-mafioso, impone dinon accogliere la richiesta di aggravamento del trattamento sanzionatorioformulata dal P.G. procedendo invece ad una pur contenuta riduzione dellapena.La sentenza appellata va confermata nel resto condannandosi l’imputatoMarcello Dell’Utri alla refusione delle spese sostenute dalle parti civilicostituite Provincia Regionale di Palermo e Comune di Palermo nei terminidi cui al dispositivo.La particolare complessità del processo, avuto riguardo alla gravitàdelle imputazioni ed alla rilevante mole degli atti processuali da esaminare e valutare, contenuti in oltre 140 faldoni, ha imposto la fissazione del terminemassimo (90 giorni) per il deposito della motivazione della sentenza. P.Q.M.Visti gli artt. 150 c.p., 530, 531 e 605 c.p.p.;in riforma della sentenza del Tribunale di Palermo dell’11 dicembre2004 appellata da Cinà Gaetano e Dell’Utri Marcello ed incidentalmente dalProcuratore della Repubblica di Palermo;dichiara non doversi procedere nei confronti di Cinà Gaetano in ordineai reati ascrittigli perché estinti per morte del reo;assorbita l’imputazione ascritta al capo A) della rubrica in quella di cuial capo B), assolve Dell’Utri Marcello dal reato ascrittogli, limitatamentealle condotte contestate come commesse in epoca successiva al 1992, perchéil fatto non sussiste e per l’effetto riduce la pena allo stesso inflitta ad annisette di reclusione.Conferma nel resto l’appellata sentenza.Condanna Dell’Utri Marcello alla refusione delle spese sostenute dalleparti civili costituite Provincia Regionale di Palermo e Comune di Palermoche si liquidano per ciascuna di esse in complessivi euro 7.000,00 oltre spesegenerali, IVA e CPA come per legge.Indica in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione.Palermo, 29 giugno 2010Il Cons. estensore Il PresidenteDott. Salvatore Barresi Dott. Claudio Dall’AcquaL’intera sentenza della Cassazione del processo Dell'utri, divisa in 4 parti è a questi link:Prima parteSeconda parteTerza parteQuarta partepqmDichiara inammissibile il ricorso del Procuratore generale presso la Corte di appello di Palermo. Annulla la sentenza impugnata nel capo relativo al reato del quale l'imputato è stato dichiarato colpevole e rinvia,per nuovo giudizio su di esso, ad altra sezione della Corte di Appello di Palermo.Così deciso, 9 marzo 2012