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« Appello di "Giustizia pe...scieri: la cassazione de... »

Caso Scieri articolo il Tirreno Pisa 16 febbraio 2021

Post n°2181 pubblicato il 23 Febbraio 2021 da laura561

 

Pietro Barghigiani PISA. Vogliono un processo rapido. Giudizio sulla base degli atti, a porte chiuse e, in caso di condanna, sconto di un terzo della pena. Convinti di poter dimostrare la loro innocenza con quello che è stato raccolto nelle carte, quattro dei cinque imputati per la morte di Emanuele Scieri, il parà di 26 anni trovato senza vita il 16 agosto 1999 nella caserma Gamerra dove era arrivato la mattina del 13 dopo il Car a Scandicci, stanno valutando il rito abbreviato per affrontare il processo che ieri ha avuto il primo snodo delle costituzioni di parte civile.Il giudice delle udienze preliminari del Tribunale di Pisa Pietro Murano ha accolto quelle della mamma Isabella e del fratello Francesco, rigettando la richiesta dell'associazione "Giustizia per Lele" perché è un organismo «che si è costituito dopo il fatto reato», mentre la legge precede che il soggetto deve essere preesistente.L'avvocato della famiglia Scieri ha chiesto la citazione a giudizio come responsabile civile del ministero della difesa, "colpevole" di non aver saputo tutelare e proteggere un giovane affidato dalla famiglia allo Stato.Sono accusati di omicidio volontario aggravato i tre ex caporali dell'epoca all'allora Smipar, la scuola di addestramento dei futuri parà, Alessandro Panella, 42 anni, di Cerveteri; Andrea Antico, 42 anni, residente in provincia di Rimini, ancora nell'esercito e Luigi Zabara, 43 anni, residente in provincia di Frosinone. Devono difendersi dall'ipotesi di reato di favoreggiamento il generale Enrico Celentano, 77 anni, nel 1999 comandante della Folgore e Salvatore Romondia, 74 anni, di Pisa, ufficiale alla Gamerra. Avrebbero saputo della morte per atti di nonnismo di Lele, ma si sarebbero mossi per non svelare l'episodio nella sua origine violenta poi coperta da una pavidità omertosa.«Non abbiamo mai cercato vendetta, vogliamo solo un giudice» confida Francesco Scieri, medico, 48 anni, fratello di Emanuele, una laurea in legge e un futuro da avvocato nella sua Siracusa. I sogni si interrompono la sera del 13 agosto 1999 ai piedi della torre di asciugatura dei paracadute dentro la caserma. Per l'accusa, i tre "nonni" lo vedono nel piazzale mentre sta telefonando. Lo portano nell'area dismessa, quasi una discarica. E qui prima viene picchiato, facendogli alzare la maglietta e colpito sul dorso. Poi le flessioni. Lui scappa e sale sulla torre e dall'interno, è la ricostruzione della Procura, qualcuno lo anticipa sugli scalini pestandogli le mani sulle nocche con gli anfibi. Cade e muore per la rottura dell'osso del collo. I "nonni" coprono il corpo con un tavolo e restano in silenzio sparendo nella notte. Un silenzio mai intaccato in oltre vent'anni di indagini aperte e archiviate sommerse da reticenze e memorie labili.«Quel giorno, il 13 agosto, eravamo in licenza» è la difesa dei tre accusati di omicidio. Le carte lo certificano, ma non viene ignorata la prassi dell'epoca di restare in caserma da civile anche nei giorni di permesso.Una commissione parlamentare d'inchiesta, costituita dopo anni di lotta dell'associazione "Giustizia per Lele", di fatto fa riaprire l'inchiesta alla Procura. È il 2018. Siamo al primo passaggio della richiesta di rinvio a giudizio e in parallelo è allo stesso grado anche il tribunale militare a Roma. Deciderà la Cassazione chi dovrà celebrare il processo. Il fratello di Scieri non è animato dall'odio. «Credo che un processo che accerti verità e giustizia ridarebbe dignità non solo a Lele (gli inquirenti e la Folgore ipotizzarono il suicidio la prova di forza finita male, ndr), ma anche ai militari - afferma -. Non siamo contro lo Stato. Siamo cresciuti con il senso del dovere. Ma le gerarchie non devono degenerare in prevaricazioni. Lele è stato ucciso per un atto di nonnismo. Non accusiamo l'esercito, ma quei tre commilitoni». --© RIPRODUZIONE RISERVATA 16 febbraio 2021 sez.

 

 
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