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Conte e il rinnovo, questione di fiducia


A giorni l'annuncio: contratto fino al 2015 per 3 milioni all'anno. Sarà il tecnico più pagato in Italia. Agnelli: combine? Gli crediamoCosì, dopo gli anni dell’inferno, la Juventus ritorna a essere un modello internazionale. La invitano in Inghilterra a parlare alla London Business School, università chicchissima incollata a Regent’s Park, dove hanno organizzato una cosa molto ambiziosa che si chiama «Global Leadership Summit». Che cosa lega il mondo dello sport e quello degli affari? Per rispondere hanno chiamato manager di mezzo mondo, soprattutto gli americani, che parlano di Nba e di Nfl, basket e football, ma come lo giocano loro, con le mani e dandosi un sacco di botte. Per il football come lo intendiamo noi invece ci sono i capoccioni della Premier League e poi Andrea Agnelli, che alle cinque di sera ha uno spazio suo. Mezzora di botta e risposta sulla Vecchia Signora, da Calciopoli alla Champions, passando per lo scudetto degli Invincibili. «L’ambizione non ci manca. Se hai la nostra storia vuoi vincere sempre».Sembrano passati cent’anni dal 2006 degli scandali. Agnelli e la Juve si erano sentiti isolati, come se una folata di vento avesse allontanato l’intero mondo da loro. Non è stato facile ritrovare la strada. «Abbiamo costruito uno stadio che è destinato a rivoluzionare il calcio italiano, inaugurato il nostro museo, vinto lo scudetto. È stato un viaggio straordinario. Ora aspettiamo che anche la giustizia rimetta le cose in pari. Chiedo semplicemente parità di trattamento. Non ci deve essere differenza tra noi e gli altri club». Su uno schermo gigante appare una domanda a cui anche il pubblico può rispondere. Sostanzialmente dice: nel calcio conta di più il gioco o gli affari hanno preso il sopravvento? Il presidente della Juve sceglie la risposta A. «Passione. Non esiste una famiglia che gestisce una squadra da tanto tempo quanto la nostra. Ci siamo dal 1923. Con noi sono arrivati 29 scudetti». Uno era arrivato prima. «Totale trenta». La sala è un enorme tendone bianco montato in mezzo al prato. Sedie di plastica nera, duecento persone a sedere. Professori universitari e investitori professionisti. Qualche studente. Da fuori arriva la musica leggera di un’orchestrina jazz. I ragazzi della scuola alberghiera servono champagne e finger food al tramonto. Bel mondo. Donne eleganti. Cravatte e doppiopetti. Eppure si parla di pallone. Il progetto Juve è chiaro. La gestione del club non può superare i 150-160 milioni di euro. Tra stipendi e ammortamenti, una cifra che dovrebbe garantire la permanenza costante tra i primi otto club d’Europa.Intanto, il primo tassello per il Gran Ballo Continentale è di nuovo Antonio Conte. Il suo contratto da 1,5 milioni a stagione scade a giugno 2013. È pronto il prolungamento, fino al 2015, a tre milioni: sarà il tecnico più pagato d’Italia. Si può ufficializzare a giorni. La risposta alle ombre del nuovo calcio scommesse: «Credo che il tecnico abbia ragione quando dice che per ora ci stiamo limitando a leggere opinioni uscite sui media. Aspettiamo. Se e quando qualcuno sarà convocato andremo a rispondere con fiducia agli organi inquirenti». È la prima volta che ne parla. Sul mercato invece svicola. «Per quello c’è Marotta». Lui si preoccupa dei conti, sapendo che è il momento di investire. Davanti ci sono Matri, Quagliarella, Borriello e Vucinic. Se vuoi migliorare, le possibilità non sono molte: Tevez, Suarez, Higuain, Van Persie. E Cavani, il cui agente ha lanciato messaggi. Van Persie ha ribadito ieri la sua disponibilità. Ma vuole 7,5 milioni a stagione. La Juve li avrebbe, ma poi sarebbe difficile spiegare ai compagni perché loro guadagnano la metà. L’equilibrio non è facile. La porta resta aperta, ma Higuain e Suarez, in ordine di preferenze, sembrano più in linea con l’architettura immaginata.Agnelli lascia il palco. Applausi. Lo braccano. Lo vuole la Bbc, per un quarto d’ora, poi anche ITV. Quindi i giornalisti italiani. «Se all’inizio dell’anno mi avessero detto che avremmo vinto lo scudetto e perso la Coppa Italia in finale ci avrei messo la firma. Forse dopo lo scudetto avremmo dovuto festeggiare di meno e concentrarci sul Napoli. Ma questo traguardo era troppo importante. Per me, per il club, per la squadra, per i tifosi. Era giusto lasciarsi andare». La rivincita di chi si è rifiutato dopo cento anni di gloria di sentirsi all’improvviso un ladro nell’universo domestico di qualcun altro. Un cameriere gli offre un calice di champagne. «Siamo tornati».