I Sanniti

Post N° 9


L'immagine urbana della città si delineò nel 268 a.C. nella forma di una colonia latina, sullo schema ortogonale di un'organizzazione castrense. Da questo punto la preistoria divenne storia.  Prima non c'era altro che il mistero della città sannitica (irpina o caudina?): il "malus eventus" del nome primitivo, Maleventum, convertito nel "bonus eventus" del "nomen" sterminatore di Pirro: Beneventum (Plinio, N.H., III, 11).    Durante le guerre sannitiche era apparsa nel 314 sullo sfondo, mentre accoglieva tra i suoi due baluardi fluviali i Sanniti scampati ad una strage (Livio, IX, 27). E nel 297 aveva assistito allo sbaraglio degli Appuli accorsi in aiuto del Sannio, nei suoi dintorni (Livio, IX, 27; X, 15). Non sappiamo altro: assente persino nell'episodio delle Forche Caudine.    Tutto pare suggerire che non si fosse mai lasciata coinvolgere nel duello sannitico con Roma, se non marginalmente; ma avesse seguito un suo autonomo percorso, favorita dalla stessa barriera protettiva del Sabato e del Calore, rivelando la diversità tipica di un "pagus" fluviale, avente nell'acqua insieme la sicurezza e la ricchezza: un vallo difensivo e un tramite di relazioni. Non sappiamo molto neppure sul punto di ubicazione: probabilmente vicino alla confluenza dei due fiumi; ma niente di sicuro.  Solo nel 268, dunque, la città, entrando nella storia, si salda per sempre sul luogo in cui la vediamo ancor oggi, si circonda del perimetro murario, rimasto pressoché uguale nei secoli; si riempie di monumenti, di opere d'arte, di storiche testimonianze: esempio di lealtà e di fedeltà verso Roma.  Nei momenti di crisi in cui le ribellioni sannitiche misero a repentaglio il nome romano, Benevento non si trovò mai coi ribelli. Nella seconda guerra punica, per la sua fedeltà, fu vittima di saccheggi cartaginesi nel suo fertile territorio, anche se non subì mai occupazioni urbane, per l'inaccessibilità del sito. Nel 216 Annibale devastò l"'agrum beneventanum" (Livio XXII, 13); ma non riuscì a toccare la città; nel 214 Annone si accampò presso il Calore a tre miglia dal centro abitato; ma Tiberio Gracco lo affrontò e sconfisse in campo aperto.    Dopo la vittoria, i beneventani accolsero i vincitori, uscendo in gran folla per incontrare i soldati sino alle porte, abbracciandoli, congratulandosi, invitandoli nelle loro case (Livio XXIV, 14-16). Circa due anni dopo, Annone ebbe bisogno ancora di cereali e minacciò di nuovo Benevento.    Ma i cittadini chiamarono in aiuto i consoli impegnati a Boiano, e la città fu salva: in questa occasione essa rivelò più che mai la sua natura di caposaldo, chiuso al nemico, ma aperto in tutte le direzioni all'esercito di Roma da una rete stradale ampia ed efficiente. Nel 209 la prova di fedeltà venne premiata da un atto di glorificazione del senato romano (Livio, XXVII, 10).  In occasione della guerra sociale, nella generale sollevazione dei "soci" italici, tale prova si rinnovò. Municipio della tribù Stellattina, con lo stesso " cursus honorum " di Roma, Benevento divenne presto un centro sempre più ricco, popoloso, attivo.    Nelle guerre civili patì forse qualche duro colpo. La deduzione della colonia triumvirale, nel 42, guidata da Munanzio Planco, e poi la ristrutturazione augustea con l'aggregazione dell'area caudina Julia Concordia Augusta Felix), furono episodi che probabilmente non avvennero senza traumi dolorosi.  Ma la posizione felice continuò a giocare in suo favore nel recupero dell'equilibrio vitale. La via Appia e la via Latina ne fecero il punto più importante di passaggio per l'Oriente: di uomini, merci, eserciti. Per l'Appia arrivarono a Benevento, nel 37, Orazio, Virgilio, Mecenate, diretti per una missione diplomatica a Brindisi. Per l'Appia, Augusto vi accompagnò Tiberio diretto nell'Illirico.    Per l'Appia Nerone vi giunse ad esibirsi nell'anfiteatro cittadino (che forse è quello scoperto da Johannowsky) nel '64 d.C. E tutti entrarono in città attraverso quello che oggi si chiama ponte Leproso, la cui forma rende testimonianza del suo passato.    Per questo fenomeno di accentramento e di smistamento di uomini, mezzi e merci Benevento potè essere anche un veicolo di culture diverse: i suoi templi e monumenti, di cui si ammirano ancora i resti imponenti, lo attestano.    Lo attesta il tempio di Iside (88 d.C.) segno di una religiosità mediterranea incentrata sul culto della Grande Madre e del suo paredro Bue Apis, ma piegata da Domiziano alla deificazione del potere imperiale. Lo attesta l'Arco Traiano, porta aperta sulla vecchia via Minucia, poi via Traiana, verso l'oriente.  Lo attesta il monumentale teatro adrianeo, le terme, le basiliche, i fori, i cui frammenti architettonici e figurativi occhieggiano oggi in strutture di edifici e contesti diversi, a perpetuare una linea di continuità tra l'antico e il moderno; un piano di coesistenza di tempi, culture, stili molteplici, eppure familiari; un clima di incantesimo che trasforma magicamente il testo di ieri nel contesto di oggi.  Provata periodicamente da insulti sismici, la città rinacque sempre sulle stesse orme, recuperando i gioielli, i ricordi, i tesori di famiglia, devotamente, per conservarli negli angoli delle sue case.    Il Correttore della Campania Aurelio Simmaco in una sua visita rimase stupefatto proprio di questo slancio di rinascita dei cittadini di fronte agli effetti del terremoto del 369 (la città non faceva parte più del Sannio ma della regione Campania). Lo slancio rilevato dal magistrato romano sembra che prorompesse dalla fede cristiana, accesa forse da un vescovo leggendario, considerato dai beneventani non solo il loro pastore per eccellenza ma anche il loro figlio più caro: san Gennaro.    L'intellettuale pagano si stupì anche di questo: che la città fosse piena di cristiani (Simmaco, Ep. I, 6): che stesse per morire il suo mondo pagano, pur così ricco di valori, e prendesse principio un nuovo verbo e un nuovo corso, che quel mondo si accingeva a recuperare e redimere dallo sfacelo barbarico, pur celebrando la sua nascita nelle tragedie di sangue e di fame della guerra gotico-bizantina, nel caos delle migrazioni germaniche, nello strazio di un parto cruento di distruzioni e stragi, nel clima apocalittico di un tramonto di sangue.