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Post N° 9

Post n°9 pubblicato il 06 Febbraio 2008 da gabry61

L'immagine
urbana della città si delineò nel 268 a.C. nella forma di una colonia
latina, sullo schema ortogonale di un'organizzazione castrense. Da
questo punto la preistoria divenne storia. 


Prima
non c'era altro che il mistero della città sannitica (irpina o
caudina?): il "malus eventus" del nome primitivo, Maleventum,
convertito nel "bonus eventus" del "nomen" sterminatore di Pirro:
Beneventum (Plinio, N.H., III, 11). 

 


Durante le guerre sannitiche era apparsa nel 314 sullo sfondo, mentre
accoglieva tra i suoi due baluardi fluviali i Sanniti scampati ad una
strage (Livio, IX, 27). E nel 297 aveva assistito allo sbaraglio degli
Appuli accorsi in aiuto del Sannio, nei suoi dintorni (Livio, IX, 27;
X, 15). Non sappiamo altro: assente persino nell'episodio delle Forche
Caudine. 

 


Tutto pare suggerire che non si fosse mai lasciata coinvolgere nel
duello sannitico con Roma, se non marginalmente; ma avesse seguito un
suo autonomo percorso, favorita dalla stessa barriera protettiva del
Sabato e del Calore, rivelando la diversità tipica di un "pagus"
fluviale, avente nell'acqua insieme la sicurezza e la ricchezza: un
vallo difensivo e un tramite di relazioni. Non sappiamo molto neppure
sul punto di ubicazione: probabilmente vicino alla confluenza dei due
fiumi; ma niente di sicuro. 


Solo
nel 268, dunque, la città, entrando nella storia, si salda per sempre
sul luogo in cui la vediamo ancor oggi, si circonda del perimetro
murario, rimasto pressoché uguale nei secoli; si riempie di monumenti,
di opere d'arte, di storiche testimonianze: esempio di lealtà e di
fedeltà verso Roma. 


Nei
momenti di crisi in cui le ribellioni sannitiche misero a repentaglio
il nome romano, Benevento non si trovò mai coi ribelli. Nella seconda
guerra punica, per la sua fedeltà, fu vittima di saccheggi cartaginesi
nel suo fertile territorio, anche se non subì mai occupazioni urbane,
per l'inaccessibilità del sito. Nel 216 Annibale devastò l"'agrum
beneventanum" (Livio XXII, 13); ma non riuscì a toccare la città; nel
214 Annone si accampò presso il Calore a tre miglia dal centro abitato;
ma Tiberio Gracco lo affrontò e sconfisse in campo aperto. 

 


Dopo la vittoria, i beneventani accolsero i vincitori, uscendo in gran
folla per incontrare i soldati sino alle porte, abbracciandoli,
congratulandosi, invitandoli nelle loro case (Livio XXIV, 14-16). Circa
due anni dopo, Annone ebbe bisogno ancora di cereali e minacciò di
nuovo Benevento. 

 


Ma i cittadini chiamarono in aiuto i consoli impegnati a Boiano, e la
città fu salva: in questa occasione essa rivelò più che mai la sua
natura di caposaldo, chiuso al nemico, ma aperto in tutte le direzioni
all'esercito di Roma da una rete stradale ampia ed efficiente. Nel 209
la prova di fedeltà venne premiata da un atto di glorificazione del
senato romano (Livio, XXVII, 10). 


In
occasione della guerra sociale, nella generale sollevazione dei "soci"
italici, tale prova si rinnovò. Municipio della tribù Stellattina, con
lo stesso " cursus honorum " di Roma, Benevento divenne presto un
centro sempre più ricco, popoloso, attivo. 

 


Nelle guerre civili patì forse qualche duro colpo. La deduzione della
colonia triumvirale, nel 42, guidata da Munanzio Planco, e poi la
ristrutturazione augustea con l'aggregazione dell'area caudina Julia
Concordia Augusta Felix), furono episodi che probabilmente non
avvennero senza traumi dolorosi.

 
Ma
la posizione felice continuò a giocare in suo favore nel recupero
dell'equilibrio vitale. La via Appia e la via Latina ne fecero il punto
più importante di passaggio per l'Oriente: di uomini, merci, eserciti.
Per l'Appia arrivarono a Benevento, nel 37, Orazio, Virgilio, Mecenate,
diretti per una missione diplomatica a Brindisi. Per l'Appia, Augusto
vi accompagnò Tiberio diretto nell'Illirico. 

 


Per l'Appia Nerone vi giunse ad esibirsi nell'anfiteatro cittadino (che
forse è quello scoperto da Johannowsky) nel '64 d.C. E tutti entrarono
in città attraverso quello che oggi si chiama ponte Leproso, la cui
forma rende testimonianza del suo passato. 

 


Per questo fenomeno di accentramento e di smistamento di uomini, mezzi
e merci Benevento potè essere anche un veicolo di culture diverse: i
suoi templi e monumenti, di cui si ammirano ancora i resti imponenti,
lo attestano. 

 


Lo attesta il tempio di Iside (88 d.C.) segno di una religiosità
mediterranea incentrata sul culto della Grande Madre e del suo paredro
Bue Apis, ma piegata da Domiziano alla deificazione del potere
imperiale. Lo attesta l'Arco Traiano, porta aperta sulla vecchia via
Minucia, poi via Traiana, verso l'oriente. 


Lo
attesta il monumentale teatro adrianeo, le terme, le basiliche, i fori,
i cui frammenti architettonici e figurativi occhieggiano oggi in
strutture di edifici e contesti diversi, a perpetuare una linea di
continuità tra l'antico e il moderno; un piano di coesistenza di tempi,
culture, stili molteplici, eppure familiari; un clima di incantesimo
che trasforma magicamente il testo di ieri nel contesto di oggi. 


Provata
periodicamente da insulti sismici, la città rinacque sempre sulle
stesse orme, recuperando i gioielli, i ricordi, i tesori di famiglia,
devotamente, per conservarli negli angoli delle sue case. 

 


Il Correttore della Campania Aurelio Simmaco in una sua visita rimase
stupefatto proprio di questo slancio di rinascita dei cittadini di
fronte agli effetti del terremoto del 369 (la città non faceva parte
più del Sannio ma della regione Campania). Lo slancio rilevato dal
magistrato romano sembra che prorompesse dalla fede cristiana, accesa
forse da un vescovo leggendario, considerato dai beneventani non solo
il loro pastore per eccellenza ma anche il loro figlio più caro: san
Gennaro. 

 


L'intellettuale pagano si stupì anche di questo: che la città fosse
piena di cristiani (Simmaco, Ep. I, 6): che stesse per morire il suo
mondo pagano, pur così ricco di valori, e prendesse principio un nuovo
verbo e un nuovo corso, che quel mondo si accingeva a recuperare e
redimere dallo sfacelo barbarico, pur celebrando la sua nascita nelle
tragedie di sangue e di fame della guerra gotico-bizantina, nel caos
delle migrazioni germaniche, nello strazio di un parto cruento di
distruzioni e stragi, nel clima apocalittico di un tramonto di
sangue.

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