Filosofia&Esistenza

La filosofia è l'esser coscienti d'essere, d'esserci; è il continuo progettarsi per essere ciò che si è il più autenticamente possibile, scegliendosi sempre nella propria libertà, facendosi liberi, senza attendere di diventarlo.

 

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Allontanarsi avvicinandosi

Post n°94 pubblicato il 15 Aprile 2007 da brokenheart74dgl
 

A volte si pensa di aver compreso tutto e invece ci si accorge di non aver compreso proprio nulla!
L'esistenza, questo esser gettati qui, in questo mondo; questa tonalità affettiva che ci satura e ci precede in ogni nostra interpretazione, funge da caleidoscopica lente che deforma, che ci plasma e filtra i nostri pensieri presuntuosamente ritenuti razionali. Finchè rimaniamo nell'ignoranza di questo velo, ignari dell'azione incisiva e costituente che l'appannaggio dell'emotività, dell'effettività aprioristica che l'essere
esseri fatti anke - se non soprattutto e in primo luogo - di passioni ha sulle nostre enunciazioni, asserzioni dialettiche; finquando non ci decidiamo a prendere coscienza del muro che separa ogni ascoltare dal semplice udire, ci riteniamo in possesso di risposte ad ogni problema e spalmiamo consigli come nutella su una fetta di pane perfettamente bianca, tenera, soffice, eppur croccante e senza sbavature. Poi, d'improvviso, quando con lo scalpello dell'umiltà in una mano e il martello dell'autocritica nella'altra, cominciamo a sbattere decisi contro l'alterigia della nostra boria per cercare di infrangere quel velo di pietra calcarea che si è sedimentata intorno all'autenticità del nostro essere, che ci rendeva così sicuri di noi, rivestendolo di uno strato di pregiudizi, di banali e facili truismi; allorché prendiamo una fetta di pane, ci accorgiamo che non è così croccante e tenera, ma eccessivamente friabile al punto che tende a sbricciolarsi al semplice tocco delle nostre dita grossolane e impacciate, fra le nostra mani. E quando cerchiamo di distribuirvi sopra la dolce crema di nocciole e cioccolato, dobbiamo usare una cautela estrema, una delicatezza indicibile, per non ritrovarci con un impiastro, un guazzabuglio appiccicoso di briciole e pastoso cioccolato appiccicato ai palmi delle nostre estremità prensili. Ci rendiamo conto che, per quanta attenzione – “cura” - ci metteremo, la nutella non sarà mai perfettamente distribuita su quella fetta di pane, che ci saranno inevitabilmente delle sbavature, degli strabordamenti, che dovremo, insomma, sporcarci le mani. Quanto spazio, quale incommensurabile distanza, quale iato separa l'idea dal reale! Se si erra nel pensiero, nella rappresentazione di un'idea, si possono sempre chiudere gli occhi e rappresentarsi un'altra idea, senza lasciare briciole in giro, ma se si sbaglia nell'effettività, nella pragmaticità di un reale, le cose sono assai più complicate, perchè ci si rende conto, con la propria superficialità, di aver causato dei danni irreparabili. Bisogna conoscere, sforzarsi di addentrarsi nella complicatezza intricata della realtà, uscire dal monoprospettico punto di vista che ci incatena a noi stessi e calarsi, immedesimarsi, per un attimo, nell'altro, che proprio perchè in quanto altro, non è noi. Se si riesce in questo progetto, se anke solo per un istante si riesce a trascendere la propria immanenza egoistica ed egocentrica, si è fatto un grande passo: si è cominciato a disfarsi di quel velo autoriflettente, per veder riflesso, nello specchio della propria anima, non più l'altro come noi lo vogliamo vedere, ma l'altro come esso è - pur sempre e imprescindibilmente "per noi" - "in sè".
Allora eccolo, finalmente, laggiù "l'altro", distantziato dal calamitante vortice del nostro io che tenta di inglobarlo, di risucchiarlo, di esisterlo al posto suo. Eccolo là, l'"altro": così distante epperò vicino come non mai prima d'ora! Una volta trascesa l'immanenza intimistica del nostro essere, ecco là, davanti a noi, un altro essere cono tutto il suo essere stato, il suo essere ora, le sue esperienze vissute e comprensibili solo a lui, perché solo dalui esistite. Fatto questo salto, accetata la rinuncia a voler essere l'altro, messo da parte - come diceva Kant - "il nostro caro io", abbiamo aperto il nostro essere, paradossalmente con questa distanza, all'avvicinamento; siamo passati dalla mera conoscenza dei suoi problemi, del suo vissuto, del suo vuoto esistito solo da lui, alla comprensione autentica e più profonda, comprensione che solo tramite la presa di coscienza di questa ineluttabile distanza può prendere forma e concretizzarsi. Insomma, proprio la distanza consapevole di noi dall'altro, ci permette di avvicinarlo, ci schiude la possibilità di incontrarlo in tutta la sua pienezza sostanziale, di cui è parte integrante anche quel vuoto che mai potremo fare nostro, ma solo accettare come irripetibile e unica essenza caratteristica del suo esserci nel mondo, solo suo: allontanando il nostro io dall'altro, liberiamo quest'ultimo, rendendolo a noi più vicino e autentico, o meglio, rendendoci più autentici l'un l'altro e riempiendo quel vuoto che lo caratterizza proprio tramite la consapevolezza che quello stesso vuoto rimarrà, per noi e per lui, sempre incolmabile: un mistero insondabile che allontanadoci, contro ogni ragionevolezza, avvicinandoci, ci unisce.
Solo quando ci si accorge di non aver compreso nulla, ecco che, in quello stesso momento, forse, si è cominciato a comprendere qualcosa.

M.P.

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