specchio

Post N° 253


Ho passato tempo a cercare medicine per non sentire il senso di solitudinesi lo dico senza perifrasare,  cosi come viene,come è scritto.Non che mi sia sconvolta molto per trovare alternative, mi mettevo in un vaso e come un fiore senza terra andavo di qua e di là.Arrivava il caldo la primavera i princìpi dell’estate: andare uscire vedere fare, qualcosa.Ticchettavo in testa, perchè le gambe erano particolarmente stanche, ma andava fatto,infondo tutto avevo sistemato o meglio quello che stato possibile aggiustare con colla e cucitrice, con aghi e fili, con stucco e pennellessa, bravina mi dicevo e non male, fregiata della medaglia di donna autonoma mi davo del Lei, parlavo in terza persona tra la scrivania la tastiera le mie favole e quell’essere ballerino che non mi dà tregua,mai.Ero piccola quando sono diventata grande.Mi accorgo ancora che mi metto addosso tutto quello che non ho potuto sfilare anni fa, colori stoffe spille e cappelli scompigliati,un inconsapevole desiderio di qualcosa che è sfuggito.Sono giorni cosi, dico sempre, giorni all’indietro, il clown si fa da parte e lascia posto a Medea o Ofelia anzi no, ho sempre fatto parti da Suonata o Folletto dispettoso dicevano che era per i miei capelli rossi.Dicevoho passato tempo a cercare di riempire i vuoti, addensare i pieni,  aspettare uno sguardo che mi dicesse “sono qui ora riposa puoi sognare”. Questo scritto non ha un finale, ci sono i puntini puntini, non si vedono perché oggi è un giorno così, un giorno stanco senza rime combaciate.