S_CAROGNEAvvertenze: questo è un blog, bipolare come i più comuni disturbi dell'umore |
Sara
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Vecchio Paz
Esistono persone al mondo, poche per fortuna, che credono di poter barattare una intera Via Crucis con una semplice stretta di mano, o una visita ad un museo, e che si approfittano della vostra confusione per passare un colpo di spugna su un milione di frasi, e miliardi di parole d'amore...
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Time Out
Post n°341 pubblicato il 10 Luglio 2008 da delilah79
Inadeguata, Indefinita e, soprattutto, irrimediabilmente Insicura. La mia vita è sempre stata un ibrido nel quale mi sono cullata comodamente senza mai sentire la necessità di collocazioni chiare. Veleggiavo sulla cresta dell’onda, libera di riposarmi o di cambiare corrente quando mi stancavo. Cresciuta dalle suore fino all’adolescenza; immersa nell’ambiente borghese/aristocratico cittadino, mi divertivo a giocare il ruolo dell’intellettuale con la puzza al naso, poco attenta alla ricchezza altrui. Gonfia e tronfia del mio riuscire a sottomettere figliolanze di papà con poco midollo. Il cambio netto di maschera c’è stato al liceo. Passare della borghesia destrorsa all’anarchia sinistrorsa - conseguenza confusa della politicizzazione liceale - imponeva che io trovassi un nuovo ruolo. Così, in virtù di un’opposizione attraente, eccomi trasformata nella “borghesuccia deretano stretto”, lontana anni luce dalla maglietta del Che. Sempre in classe a far lezione durante gli scioperi, anche se da sola, anche se odiata più che dai compagni (che probabilmente si dividevano tra chi compativa e chi ammirava) dai professori, costretti a far lezione a me, unica presenza dell’intero istituto. Diciamo il vero: ho avuto sempre grandi doti attoriali che mi hanno permesso di dare di me un’immagine ben lontana dalla realtà. Agli occhi dei più sono la giovane ragazza in gamba, intelligente, perché no, affascinante, sicura di me, capace. Da sempre valido punto di riferimento per le amicizie. Ho saputo divertirmi con gli uomini, far abboccare generi diversi al solo scopo di mettermi alla prova, di farcela e ce l’ho fatta. Ho vestito più panni in disparati ambienti, dai circoli esclusivi, alle bettole di periferia. Sono riuscita ad essere a mio agio ovunque e questo, mi ripetevo sempre, non è da tutti. Talvolta ho superato ostacoli senza avere reali capacità per farlo, sorridendo divertita per la fortuna che aveva aiutato me, l’audace! Tuttavia, il conto arriva sempre e, se non te lo presentano gli altri, te lo confezioni da te, nelle sere in cui un pensiero in meno, o una canzone in più riaprono sentieri che, al momento opportuno, non hai percorso o, se l’hai fatto, la maschera indossata nel tragitto ha lasciato che il tuo piede cadesse in fallo. E adesso è tardi. Non c’è più tempo per apprezzare Marx, per lottare contro i genitori e dormire a scuola durante l’occupazione. Non hai più i diciotto anni che ti consentono di provare la prima canna senza troppi sensi di colpa, ma con timorosa incoscienza; è passato il tempo della prima sbronza, o di fare la pazza per quel viaggio in macchina all’estero con le amiche. Anacronistica, sempre. E se tu recuperi, gli altri vanno avanti e quando li incontrerai di nuovo, avranno sempre dei passi in più. Peggio, dei passi in più consapevoli, mentre tu ti chiedi se stai disegnando la tua orma o ripercorrendo la loro. Mentre taci, o continui a bluffare. Tutto è nato dal fatto che tu, ricciolo d’oro, padre di questo cocomero che mi gonfia la pancia, sei a Milano. Rivedrai Lei. La lei che tutti gli uomini hanno nell’armadio (o, perlomeno, gli uomini che ho avuto io). Miss Perfezione, Miss Tempi Giusti. Quella che alle scuole medie faceva ciò che ci si aspetta da una bimba alle medie e che al liceo era schierata nettamente, che era, come minimo, rappresentante di scuola. Quella che lavora nell’università, ma non come me, in precariato totale, lei ha posto già fississimo. Lei, quella che non sai più quanti articoli, saggi, libri ha scritto e non importa se io, leggendoli, mi faccio due palle così, perché tanto sarò io a non essere obiettiva. Lei, quella che ti ha lasciato dopo quattro anni di convivenza e un’infinità di progetti futuri, riducendo il tuo cuore in poltiglia e lasciandoci impresso per sempre il dilemma del “come sarebbe stato se”. Lei, che, a sentir parlare te è una strafiga e, a letto, una grande. Lei che dai tuoi silenzi comprendo essere stata il condensato del desiderabile. Ecco, Valentina, sarà al convegno dove tu già sei. Io, che forse non sono così come penso, ma il guaio è che non so pensare di me diversamente, io, dicevo, come chi arriva sempre quando il treno è già partito, rimango qui ad aspettarne un altro. Aspetto di partorire e il mio unico desiderio è che tu, rivedendo lei dopo tre anni e trovando risposte per i tuoi ricordi assetati, non decida di ripercorrere la strada verso casa solo perché sto per darti un figlio. Trentottesima settimana. E ho una fottutissima paura del parto. |
Erba
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